ATENE. Dietro alla scrivania dove Alexis Tsipras lavora, all’ultimo piano di un palazzo immerso nel centro più multiculturale di Atene, campeggia una grande tela. Su uno sfondo a tinte rosso fuoco, due tori selvaggi si osservano pronti alla carica. “Sono i negoziati fra noi e la Troika” dice lui e scoppia a ridere. “Scherzo, davvero scherzo” scuote la testa “Scherzo perché l’artista lì ha richiamato altre storie, fra cui quella di Europa rapita da Zeus nelle sembianze di un toro. Ma soprattutto, vede, se noi vinceremo le elezioni e riceveremo un mandato di governo chiaro, non ci sarà nessun negoziato con la Troika. Perché dovrei sedermi a un tavolo con questi funzionari a discutere del nostro futuro? Non si tratta di un’istituzione europea, che io sappia. Non ha ricevuto nessuna legittimazione dall’Europa. Io chiederò di incontrare i partner degli altri ventisette paesi dell’Unione, discuterò nelle sedi appropriate, presenterò il mio progetto e ascolterò quello che ciascuno ha da dire. Ma con la Troika no”.

È probabile che, se quel giorno verrà, come tutti i sondaggi sembrano anticipare, gli altri ventisette leader (fra cui una sola unità – Tsipras lo ha sempre ripetuto – una sola su ventotto è rappresentata da Frau Merkel) non saranno impreparati. Quel che Syriza – il partito della sinistra radicale di cui Tsipras è presidente – chiede, del resto, è noto da tempo e gira principalmente attorno a due mosse: la cancellazione della maggior parte del debito greco, esattamente come si fece per la Germania prostrata dalla guerra con la Conferenza di Londra del 1953, e una “clausola di sviluppo” per pagare la restante parte non indebitandosi ulteriormente ma in relazione alle entrate prodotte dalla crescita economica del Paese. È difficile immaginare oggi come potrebbero andare quei negoziati. Una cosa è certa: Alexis Tsipras non ha limitato la portata delle sue richieste a quella che potrebbe sembrare la mossa più semplice e vantaggiosa per il proprio Paese che, sessant’anni dopo la Germania, è a sua volta prostrato da cinque anni di austerità che assomigliano a una guerra. La sua idea si inscrive in un progetto ben più ampio, in cui – ne è sicuro – rientra il destino dell’Europa tutta, della sua autonomia, della sua esistenza come idea fin dalle origini. Perché sarà in quel momento, in quegli incontri da cui i funzionari della Troika saranno tenuti lontani, che sarà possibile capire se l’Europa ha un futuro, se si vuole continuare con “l’estremismo dell’austerità” o si vuole costruire un’unione fondata sulla solidarietà, la democrazia, la coesione sociale. Tsipras sembra avere pochi dubbi. Come chi sente di avere in mano il suo stesso destino.

“La parola “crisi” in cinese ha due facce” dice e forse è fiero di non ricorrere all’etimologia greca antica del termine “Da una parte c’è il pericolo, dall’altra la possibilità, la speranza. Finora abbiamo vissuto la crisi come un pericolo. Direi che è arrivato, per tutti, il momento della speranza. Dico per tutti e intendo per tutti in Europa. Perché è chiaro che fino al 2012 si è guardato alla crisi come un fenomeno soprattutto greco, ma poi è diventato evidente che la questione riguardava l’Europa in generale. Ora, la teoria economica prevede tre modi per affrontare la crisi del debito pubblico. Il primo è l’austerità e dopo quattro anni possiamo constatare che la medicina ha peggiorato la malattia del paziente: avevamo un debito del 120 per cento sul PIL e oggi è cresciuto fino a sfiorare il 180 per cento. Sarebbe grottesco continuare su questa strada. Il secondo è il contrario del primo e prevede una politica di espansione, di aumento della spesa pubblica. Il terzo è il taglio del debito. Ossia quel che proponiamo noi, ma attenzione: i risultati non li vedrà solo la Grecia o solo l’Italia che ha un debito del 132 per cento del PIL ma di gran lunga maggiore quantitativamente rispetto al nostro. Dei risultati godrà tutta l’Europa. Da qui infatti partirà finalmente l’effetto contagio che si è sempre temuto, ma il contagio stavolta andrà inteso in termini positivi, il famoso effetto domino, certo, ma che non porta caduta, al contrario. Quello di cui c’è bisogno infatti è fiducia, sviluppo, un nuovo clima anche sui mercati”. Gli avversari politici di Tsipras liquidano le sue parole come ingenuità, illusioni, vaneggiamenti che porteranno soltanto disastro. Lui non si lascia scalfire dalle accuse e le giudica alla stregua di reazioni disordinate e quasi disperate. Da una parte perché percepisce la fiducia che si è creata attorno a lui anche da parte di un elettorato che tradizionalmente gli era avverso e che – dice – “ha provato sulla sua pelle le menzogne di chi li ha governati in questi anni”. Dall’altra perché sta ricevendo dall’estero un sostegno più ampio di quanto si prevedesse. Giornali per natura lontani come il Financial Times non sembrano avere nessuna paura di un suo prossimo governo. Economisti più tradizionalmente vicini, come Thomas Piketty, autore del bestseller Il capitale nel XXI secolo, approvano, chiedendosi dove sarebbe andata a finire la Germania se invece di vedere il suo debito tagliato dal 200 al 30 per cento del PIL nel 1953 fosse stata costretta alle politiche di austerità che pretende di imporre ora.

“La paura” ripete oggi Alexis Tsipras “non è più dalla nostra parte. Nel 2012, una campagna selvaggia di ricatto aveva spinto la maggioranza dei Greci a credere al fantasma del cosiddetto Grexit, l’uscita della Grecia dall’euro. Merkel e gli altri leader che intervennero pesantemente nella nostra campagna elettorale volevano che diventasse premier Samaras, uno su cui potevano contare perché erano certi che non avrebbe ostacolato le loro politiche. La paura sparsa a arte fu un’arma letale. Oggi questa paura ha cambiato fronte: è passata dalla loro parte. Perché sanno che noi non ne abbiamo più. E sanno che il giorno dopo le elezioni, quando sarà evidente che la nostra vittoria non porta terremoti né scenari apocalittici, un’onda positiva si libererà sui mercati e il cambiamento avrà inizio. Di quel cambiamento hanno paura. Perché, come ho già detto, le cose sono destinate a trasformarsi in tutta Europa”.

In Grecia, se Tsipras riuscisse a vincere e a conquistare una maggioranza salda (l’ipotesi più difficile da prevedere perché la legge elettorale qui è un complicato gioco di numeri), i primi passi del suo governo sono stabiliti da un programma presentato a Salonicco ben prima che l’ipotesi di andare al voto diventasse concreta. È un programma d’impatto, teso innanzitutto a cercare di porre rimedio al dramma umanitario che la Grecia sta vivendo. Di questi giorni è la notizia che tre famiglie su dieci vivono sotto la soglia di povertà, dove si intendono famiglie da due a quattro membri con meno di diecimila euro all’anno (gli altri dati che certificano il dramma greco a fine pagina). Elettricità, casa, buoni pasto, assistenza medica, trasporto pubblico, riscaldamento per i più colpiti dalle misure di austerità sono fra i primi punti del programma (dettagliatamente riportato nei libri di Synghellakis e Deliolanes in uscita in questi giorni), un programma che si estende poi ai primi investimenti per il rilancio dell’economia e dell’occupazione e si chiude sulla riforma della politica.

“Quello di cui abbiamo bisogno è una vera e propria rinascita” spiega Tsipras “E soprattutto la ricostruzione di un ponte ormai in macerie che unisca i cittadini e il sistema politico. Perché, vede, la Troika ha imposto tante riforme ma nessuna ha cercato di colpire, per esempio, i grandi evasori fiscali o chi porta i soldi in Svizzera. La Troika non ha mai cercato di spezzare quello che io chiamo “il triangolo del peccato”, ossia quel circolo vizioso che in Grecia ha portato rovina: il potere politico (lo stesso da quarant’anni, i due partiti che si sono alternati al governo: i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Demokratia), i banchieri (sempre gli stessi anche dopo la bancarotta), i massmedia. Con i politici che davano soldi ai banchieri e i banchieri che li davano ai media i quali a loro volta offrivano supporto a politici e bancarottieri. Questo triangolo la Troika non ha mai voluto spezzarlo. Ma ci penseremo noi. Per avere meritocrazia, giustizia, diritti democratici per tutti. È evidente che questo non ci distinguerà in nessun modo da Paesi in cui prevalgono politiche liberiste. Ma è necessario che le condizioni del nostro Paese tornino in uno stato di normalità per avviare la ricostruzione dei diritti del lavoratore, calpestati in questi ultimi anni, una ricostruzione che porteremo avanti all’interno delle organizzazioni europee per i diritti del lavoro. La Grecia non diventerà un soviet, insomma”.

Di strada ne ha fatta, Alexis Tsipras, quarantenne ateniese, ingegnere, da quando sei anni fa divenne Presidente di quella che era nata come l’alleanza di molte sigle della sinistra radicale e che faticava a superare la soglia di sbarramento fissata dalla legge elettorale al tre per cento. Le stanze dove nel 2009 lo incontrai per il Venerdì erano disseminate di scatoloni zeppi di volantini. Giovani si aggiravano frenetici interrompendolo in ogni momento e lui con pazienza già mi spiegava come le socialdemocrazie europee si stessero dissolvendo nel liberismo, mentre le élites politiche avevano perso il polso della realtà, rinchiudendosi in una vita asettica lontana dalla strada. Nessuno però dentro Syriza avrebbe mai pensato che il governo potesse diventare una prospettiva realistica in così pochi anni. Certi di un eterno lavoro di opposizione, si divertivano a leggere sondaggi che assegnavano al loro giovanissimo leader un consenso già allora strabiliante. Poi venne la crisi e con essa le politiche di austerità, la troika, un “protettorato che non siamo in nessun modo disposti a sopportare”. Oggi quelle stanze sono cambiate, ma il partito è sempre immerso nel turbinio di migranti che popolano piazza Koumoundourou, anche detta Piazza Eleftherias, ossia della Libertà.

Di nazionalizzazioni non si parla più, qui, ma quello su cui Tsipras è irremovibile è che le privatizzazioni devono finire: “Certi beni, come l’acqua e l’energia devono restare nelle mani dello Stato, senonaltro per garantire la sicurezza e la difesa dei cittadini. Dell’Ente voluto dalla Troika per vendere beni statali invece posso dire soltanto che è servito a un esperimento neoliberale estremo ma che faremo fallire: privare completamente un Paese delle sue proprietà pubbliche”. La vendita di isole, spiagge, litorali incontaminati che ha sconvolto l’opinione pubblica, sarà interrotta. “Anche perché finora non ha portato soldi ma solo svendite, semplici cambi dei titoli delle proprietà: da pubbliche a private. Come per l’immensa area di Ellinikò (il vecchio aeroporto cittadino dismesso) la cui vendita è stata trattata per quattro volte meno del prezzo di mercato”.

Quanto a mantenersi in contatto con la società civile, Syriza non può cambiare. Non ci si può rinchiudere nelle stanze di partito. C’è una dimensione personale e spirituale che non si deve mai abbandonare. Tsipras è reticente a parlarne. Le polemiche della campagna elettorale greca hanno puntato spesso il dito sul suo ateismo, lui che non è sposato e ha due figli non battezzati di cui uno di secondo nome fa addirittura Ernesto… Ma non c’è molto da rispondere a polemiche del genere, secondo lui. I fatti parlano da sé. E i fatti raccontano che in questi giorni in giro per la Grecia, Tispras ogni sera torna nel suo semplice appartamento del quartiere popolare di Kypseli, dalla sua famiglia. Su religione e spiritualità non si specula. “Innanzitutto perché in questi tempi in cui assistiamo a un’escalation di volenza del fondamentalismo è necessario un sereno confronto fra forze politiche e esponenti religiosi. Eppoi perché io ho i miei principi e il mio modo di vivere la spiritualità ma non lo metto sul tavolo della propaganda politica”. Gli sarebbe facile. È stato uno dei primi politici a incontrare il Papa, ha visitato il Monte Athos dove per tre giorni si è adeguato alla vita monastica e conosce molto bene l’attivismo della Chiesa che in Grecia, in questi anni, ha contribuito in maniera speciale a erigere un argine contro il dramma umanitario. “In periodi di crisi così acuta, la sinistra e la Chiesa inevitabilmente si incontrano e cooperano per essere vicini a chi soffre e per strutturare la solidarietà. Con Papa Francesco abbiamo parlato proprio di questo”. Di più, Tsipras non vuole dire. Insisto: “Ho letto che dopo il vostro incontro il Papa ha commentato: “le sue parole sono una melodia di speranza”. Tsipras apre le mani e solleva le sopracciglia in un gesto tipicamente greco, poi ripete: “Prevaleva la paura nel 2012. Adesso c’è solo la speranza. La speranza vincerà la paura. I problemi saranno enormi e difficili da affrontare, inutile negarlo, i numeri lo dicono chiaramente. Ma cambierà l’atteggiamento psicologico in Grecia eppoi cambierà anche in Europa. E quello che pochi vogliono ricordarsi è che l’economia per metà è psicologia. Dunque anche l’economia riceverà i frutti salutari di questo straordinario cambio di atteggiamento”.

NOTA:

2010-2015: I numeri della Grecia dall’inizio degli “aiuti” della Troika:

-Il debito pubblico è passato dal 124% al 175% del PIL.
-Il PIL è sceso del 20%.
-La disoccupazione è passata dal 15 al 27% (tra i giovani è al 62%).
-240.000 piccole e medie imprese hanno chiuso (erano 745.677).
-I senzatetto di Atene erano circa 3000. Ora sono circa 35000.
-La spesa sanitaria è scesa del 25% (3 milioni – sui quasi 11 milioni di abitanti – sono privi di copertura sanitaria).
-330.000 sono le case senza elettricità.
-150.000 i giovani che hanno lasciato il paese.
-I suicidi sono cresciuti del 43%.

Pubblichiamo l’intervista di Matteo Nucci  ad Alexis Tsipras, leader della sinistra greca. L’intervista – l’unica concessa a un giornalista italiano alla vigilia delle elezioni politiche che si tengono in Grecia oggi, 25 gennaio – è stata pubblicata dal Venerdì di Repubblica,

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