Abbiamo visto “ Colonia “ regia di Florian Gallenberger.

Con Emma Watson, Daniel Brühl, Michael Nyqvist, Richenda Carey, Vicky Krieps. Thriller,  durata 110 min. – Lussemburgo, Francia, Germania 2015.

Florian Gallenberger è un regista tedesco assai interessante, racconta storie particolari e nascoste che danno l’idea di cosa voglia dire essere interessato al mondo da un’angolatura laterale e con prospettive essenziali. Il suo debutto è stato nel 2000 con Quiero ser ( mai giunto in Italia ), storia di due ragazzi poveri che girano per le strade di Città del Messico, uno cantando e l’altro vendendo palloncini e tentando di arricchirsi; si ritroveranno venti anni dopo, uno sempre cantante povero di strada mentre l’altro si è affermato nella vita. Ha collaborato poi, l’anno successivo, a un film a episodi intitolato Honolulu; per poi realizzare Shadows, ambientato nella Calcutta prima dell’Indipendenza e in cui due bambini, un maschio e una femmina, lavorano in una fabbrica di tappeti. Ora giunge in Italia, il suo ultimo film Colonia, anche questa una storia laterale e minimale, fatti storici veramente accaduti, ai tempi dell’orrore di Pinochet, nel Cile del 1973, forse un po’ meno vera la storia dei due protagonisti. Una parte della critica non ha accolto bene il film ( certo non siamo dalle parti del maestro Pablo Larrain o di Andrés Wood e nemmeno del Costa Gavras degli Anni Settanta ), e segnala perplessità a livello stilistico e sbavature nella sceneggiatura. Ma come si fa a non tenere presente la scelta coraggiosa di raccontare oggi una storia terribile ( per fortuna non raccontata in modo terribile ) dell’ennesima oscenità che ha prodotto la dittatura in America latina. La Colonia Dignidad è un lager presentato come villaggio di una comunità religiosa, situato a 350 chilometri dalla capitale Santiago, fondato nel 1961, ma dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet si è trasformato in un kampo operativo di tortura ed eliminazione di dissidenti e oppositori politici sul genere Garage Olimpo argentino e secondo Simon Wiesenthal, per un certo periodo, vi ha vissuto anche il famigerato Joseph Mengele. Il periodo allendista è stato forse l’ultimo sogno di socialismo realizzabile per via democratica, in cui metà dei cileni hanno creduto che un altro mondo fosse possibile, ma che è stato spezzato prima ancora che dal boia Pinochet, dai figuri Nixon e Kissinger con l’avallo di quella cariatide sovietica che prendeva il nome di Brežnev.

Dopo le immagini di repertorio sui titolo di testa, in cui si può vedere il presidente Allende e il popolo che scende in piazza per difendere il governo dal primo tentativo di golpe del giugno del 1973 ( Allende, Allende, el pueblo te defiende ) e alcune immagini in cui si vedono degli scontri popolo-esercito, il film si apre su alcune hostess tedesche e un pilota della Lufthansa, che dall’aeroporto si stanno recando in auto in albergo, ma la strada è interrotta da un comizio e una delle ragazze, Lena ( Emma Watson ), riconosce sul palco il suo ragazzo, Daniel ( Daniel Bruhl ), anche lui tedesco, fotografo e simpatizzante dell’esperienza allendista. Lei scende dall’auto e lo raggiunge, possono passare quattro giorni assieme e poi torneranno in Germania. Ma proprio in quell’ultimo giorno c’è il colpo di stato, le strade vengono presiediate, chi è per strada viene arrestato e anche loro due finiscono nell famigerato Estadio Nacionl. Lui verrà riconosciuto da un uomo col cappuccio, portato via in autoambulanza, lei viene liberata ma non ha nessuna intenzione di tornare in Germania senza di lui. Si rende conto che nessuno può fare nulla, nemmeno i suoi compagni che stanno per entrare in clandestinità e allora va in un ufficio di Amnesty per avere notizie e scopre che Daniel, probabilmente, è finito alla Colonia Dignidad, ufficialmente solo una specie di comune religiosa nascosta nella campagna del sud del Cile. Lena si veste quasi da suora e decide di entrare nella missione e far parte della setta per cercare il suo ragazzo e scappare via assieme. Nel frattempo Daniel è stato sottoposto da parte della polizia segreta della DINA a violente torture con l’elettrochoc che lo hanno ridotto in fin di vita, e quando inizia a riprendersi finge di aver subito danni cerebrali e di essere instupidito, per poter così avere minore controllo durante le attività quotidiane della comunità. Lena entra in contatto col capo di questa setta, Pilus ( nella realtà si chiamava Schafer – un convincente e invecchiato Michael Nyqvist ), un predicatore violento, misogino, pedofilo, amico e complice del regime.   Lena subisce una specie di interrogatorio e, anche se con qualche diffidenza, viene accolta in questo villaggio tedesco assai simile ad un campo di concentramento. Lei farà di tutto per entrare in contatto con Daniel e dopo mesi riesce a trovarlo proprio il giorno in cui tutti devono accogliere e festeggiare il generale Pinochet in visita.   E con la scoperta di un tunnel sotterraneo alla fine riusciranno a scappare, ma non sarà finita per loro, perché l’ambasciatore tedesco da cui sono andati tenterà di tradirli.

Un film che ha indiscutibilmente delle pecche, perché parte come un film politico, si trasforma in una storia d’amore con sfondo epico-politico, per poi virare sul prison-movie, senza tuttavia affondare i bisturi nell’orrore e poi sfiorare il melodramma romantico con finale un po’ da fuga di mezzanotte. Tuttavia una storia così nera e greve – importante che qualcuno ce la racconti – è stata sviluppata con delicatezza, fermandosi sempre prima di scivolare nell’horror o nell’insostenibile per lo spettatore. Alcuni passaggi narrativi sono un po’ grezzi e la descrizione del luogo ( che riteniamo aderente alla realtà ) rende questo garage olimpo più simile ad una setta religiosa isolata che non a un luogo in cui sono passati migliaia di prigionieri politici per essere torturati e uccisi.

Se volete assaporare un briciolo di giustizia, vi informiamo che Paul Schäfer è fuggito in Argentina nel 1997 perché accusato di pedofilia nei confronti di 26 bambini e per la scomparsa di un professore ebreo americano. E’ stato arrestato nel 2004, estradato in Cile dove è stato condannato a 33 anni di carcere. E’ morto in prigione a Santiago nel 2010. Nel luglio 2000 la polizia cilena ha trovato due depositi di armi dentro o nelle vicinanze della colonia. Il primo conteneva mitragliatrici, fucili automatici, lanciarazzi e una grande quantità di munizioni, alcune vecchie di 40 anni. Un carro armato è stato trovato sotto terra. I ritrovamenti sono stati definiti il più grosso deposito d’armi in mani private in Cile. Il secondo deposito, trovato fuori dalla colonia, conteneva lanciarazzi e granate.

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