Un amico cinefilo mi chiede: «Cosa non vorresti più vedere in un film italiano?». Passo per un critico benevolo, più estatico che estetico, specie verso il cinema nazionale. Ma devo riconoscere che, nel confronto con gli altri Paesi, i nostri film spesso sono inadeguati, poveri di stile, timorosi, di taglio televisivo, furbetti. Ci ho pensato un po’. Ecco, per “il Secolo XIX”, un possibile catalogo. S’intende squisitamente personale, vergato con intenti lievi e sbarazzini, senza pretese di oggettività, solo per il piacere di sfottere un po’ i vizi di un cinema di commedia che magari fa ottimi incassi, come “I soliti idioti” e “La peggior settimana della mia vita”, ma volentieri si ripete sul piano delle gag, delle trovate, delle strizzatine d’occhio. Un commedificio stanco, esangue, spremuto. Il discorso vale anche per il cinema d’autore: dove capita, penso a “Terraferma” di Emanuele Crialese premiato a Venezia, che un giovane pescatore siciliano abituato a vedere le turiste in costume ignori ancora oggi il significato di topless. Possibile? S’era partiti dall’idea di un decalogo, ma poi, ruminando un po’ sul tema, la selezione delle cose insopportabili è cresciuta fino a 25.
1) Fabio De Luigi macchietta di se stesso, sia che reclamizzi un detersivo sia che reciti in un film. Si crede un mix di Peter Sellers e Rowan Atkinson. Sbaglia. Di solito quando si trova in una situazione imbarazzante, tipo una ex fidanzata che si nasconde nuda nel suo letto mentre lui sta per sposarsi, De Luigi se la cava così: inorridisce, guarda in primo piano la cinepresa, piccola pausa e si mette a gridare «Ahhhhh!». Crede sia molto spassoso.
2) Un vecchio hit di Mina, Ricchi e Poveri o Raffaella Carrà, o anche Al Bano, Battiato, Peppino di Capri e Alan Sorrenti, che qualcuno inserisce nel lettore cd in cucina: e tutti si mettono a cantare a squarciagola mentre preparano gli spaghetti. Ma non è “Il grande freddo”.
3) Il balletto in camera da letto, di solito in coppia. Vedi “La kryptonite nella borsa” al suono di “These Boots Are Made For Walkin'” versione italiana di Dalida. In generale gli anni Settanta come li racconta il cinema: abiti a rombi e righe, maionese Kraft, macchine da cucire Singer, Fiat 850 verde pisello, pantaloni a zampa di elefante, minigonne, collanine e Clarks.
4) Il Nord-Est visto come un luogo d’inferno, vorace e barbaro, una sorta di “Friuli Tristezza Giulia”, per dirla con Elio Germano, dove piove sempre, i ricchi si ingrassano e i poveri diventano razzisti, mentre gli immigrati arabi sono tutti buoni, poeti, colti e gentili. S’intende fregati dalla cattiveria degli italiani meschini.
5) Vincenzo Salemme che non cambia mai: mosse, sospensioni, faccette. Poco importa se muta il personaggio: vigile urbano in “Baciato dalla fortuna”, europarlamentare pdl in “Ex. Amici come prima”, maestro cioccolataio in “Lezioni di cioccolato 2”. Vale anche, in misura diversa, per Giuseppe Battiston, Margherita Buy, Alba Rohrwacher, Gabriella Pession.
6) Il povero Alessandro Gassman, un altro che va col pilota automatico quando fa lo sciupafemmine frescone, abbigliato in modo ridicolo da Gabriella Pescucci in “La donna della mia vita”: quasi una sfilata di moda per coprire il vuoto del personaggio.
7) Le scene di sesso dove nessuno si spoglia mai e tutti tengono le mutande anche sotto le coperte mentre fingono di darci sotto.
8) Gli occhi bistrati di Nicola Vaporidis, i tatuaggi di Laura Chiatti, lo sguardo smarrito di Carolina Crescentini, la sofferenza scorticata di Valeria Solarino, l’aria eternamente scocciata di Libero De Rienzo, il repertorio comico di Paola Cortellesi. Soprattutto Claudia Gerini con i capelli scuri, perché fa più solitudine post-moderna, in “Il mio domani”.
9) Riciclare per l’ennesima volta, in tutte le salse, l’immortale battuta che chiudeva “A qualcuno piace caldo”. Diceva: «Nessuno è perfetto!». Ma bisogna essere Billy Wilder per non renderla un’ovvietà.
10) Una canzone inglese a ogni attacco di scena, anche se siamo in Italia e non c’entra nulla con la storia. Solo per rafforzare l’atmosfera in chiave di nostalgia generazionale o di puro sostegno a dialoghi spesso inconsistenti. Tutta colpa di Gabriele Salvatores.
11) Gli amici distrutti dalla morte di un amico che tornano a sorridere, tutti insieme, guardando il mare all’alba, sedendosi su muretto assolato, giocando a ping-pong, gettandosi tra le onde.
12) Il product placement che si mangia una buona porzione di film, anche se ti spiegano che il marchio è stato messo abilmente al servizio della storia: vedi la Perugina in “Lezioni di cioccolato 2”. Per la cronaca: all’epoca di “Il mio miglior nemico” il produttore Aurelio De Laurentiis, nella speranza di vendere il film di Verdone all’estero, dovette tagliare tutta la pubblicità Vodafone che vi aveva spremuto dentro.
13) La Puglia come sfondo di ogni storia grazie alla sinergia tra Domenico “Fandango” Procacci e l’Apulia Film Commission.
14) Pierfrancesco Favino che potrebbe essere il nuovo Volonté, perché è davvero bravo; e invece, se non sta attento all’istrionismo dialettale, rischia di diventare Noschese.
15 ) I titoli dei film presi dalle canzoni e con la parola amore dentro. Serve elenco?
16) Erica Blanc e Sydne Rome nei film di Pupi Avati ambientati negli anni Trenta, come “Il cuore grande delle ragazze”. Hanno facce gonfie, devastate dal botox e dal lifting, eppure interpretano l’una una vecchia madre contadina e l’altra un’acciaccata prostituta cieca. Chi ci crede?
17) Toni Servillo con o senza parrucchino. Interprete meraviglioso e carismatico, ma almeno per un po’ si astenga dal girare film o si faccia dirigere sul serio.
18) L’assenza di qualsiasi riferimento politico o sociale all’Italia di oggi. Vedi “Immaturi”. I sette non leggono giornali, non parlano di politica, tv, sport, vivono come sospesi dentro una campana stagna, e naturalmente fanno mestieri come il neuropsichiatra, la chef, la manager, il disc-jockey. Nessuno che lavori mai in fabbrica.
19) Ricky Memphis nei panni del bamboccione sfortunato con le donne che non vuole mollare i suoi genitori. In un film teorizzava «L’amore è solo un castigo che ci punisce per non essere rimasti a casa con mamma e papà» e faceva sorridere. Urge cambio di personaggio.
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20) Hassani Shapi ormai ingaggiato per fare solo e sempre l’arabo buono, ironico e comprensivo, che brontola in nome della tradizione ma in realtà è tiranneggiato dalla moglie. Vedi “Lezione di cioccolato” 1 e 2.
21) Tutti quelli, specie Fausto Brizzi e i fratelli Vanzina, che firmano commedie corali sui temi dell’amore litigarello e citano sempre e solo “Love Actually” pensando di essere bravi come l’inglese Richard Curtis.ù
22) Il gay in costumino giallo che si masturba al suono di “Maledetta primavera” di Loretta Goggi nel film “Il compleanno” di Marco Filiberti. Stracult.
23) Una frase come «Fatti morbido, Velé» nell’epilogo di “Il paese delle spose infelici”. Nel romanzo di Mario Desiati funziona, al cinema stona.
24) I numeri 2 e 3. Gli americani sanno rivitalizzare i seguiti, risuolare le storie. Noi raschiamo il fondo del barile. Vedi “Manuale d’amore”: partito benissimo e finito maluccio col terzo episodio. Gli annunciati altri due infatti non si faranno.
25) Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, la coppia rivelazione dei “Soliti idioti”. Un tempo si rideva, anche amaro, con “I soliti ignoti”. Cambiano due lettere e il risultato, intonato ai
gusti giovanili, è questo. Almeno non facciamo sociologia su una frescaccia. L’intera storia si mantiene su un lieve equilibrio di superficie, lasciando allo spettatore il compito di indagare la propria coscienza e là trovare le risposte alle domande poste nella trama del racconto. A tutti sarà capitato di vedere qualcora di strano, ma non tutti hanno il desiderio di guardare una seconda volta, e di capire meglio quel che hanno visto.
Questa storia è quindi indirizzata in primo luogo a quella parte di noi che si disinteressa del mondo e di tutto quello che non conosce, a totale di difesa del proprio territorio sicuro e nel costante rischio di inaridimento causato dalla mancanza di apporti vitali, dati dalla semplice scoperta di cose di cui non sappiamo ancora nulla.

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