Abbiamo visto “ Dieci inverni “ regia di Valerio Mieli.
Sono venticinque anni che esiste il Premio Solinas, un premio intitolato a uno dei maggiori sceneggiatori europei morto precocemente nel 1982 ( suoi sono, tra gli altri, gli script di film come Una Vita Violenta, 1962, La Battaglia Di Algeri, 1966, L’Amerikano, 1974, Il Sospetto,1975 ). Nel tempo sono cambiati i giurati e sono cambiate nello stile le sceneggiature vincitrici. Sono stati realizzati quasi cinquanta film dalle storie giunte in finale o vincitrici. Tra queste nessun capolavoro, qualche film buono, qualche opera interessante, qualche film marginale. Tra quelli che ricordiamo come felici debutti o ottimi film, Vito e gli altri, Soldati, 365 all’alba, Marrakech Express, Le mille bolle blu, La discesa di Aclà, Cento Passi. Tra le sceneggiature vincitrici ( 2007 ) c’è anche Dieci inverni che è diventato anche un romanzo. Non abbiamo letto la sceneggiatura, nemmeno il romanzo; abbiamo visto il film, e scusate se lo anticipiamo, raramente abbiamo visto una storia emotivamente più sgangherata e sconclusionata di queste. Una storia così mal sviluppata ( non nella regia ) inconcludente e fastidiosa da far tracimare il nostro amore per il cinema in intolleranza e in voglia d’alzarsi e andarsene. Ma il nostro alfierismo “ volli, fortissimamente volli “ ci ha fatto rimanere fino al finale nella sala.
La storia è molto simile a un altro film italiano, ‘Un amore’ di Tavarelli ( unico pregevole film di questo regista torinese ) che però divideva in dodoci splendidi e coraggiosi piani sequenza
una storia d’amore sviluppata negli anni. In “ Dieci inverni “ invece sono dieci blocchi che vanno dal 1999 al 2008.
Camilla, una semplice ragazza di paese, si trasferisce a Venezia per frequentare l’Università. Sul vaporetto, che la porta di sera alla sua nuova casetta bohemienne e malandata, incontra Silvestro, giunto a Venezia perché ha una zia: ha idee confuse e infantili ( vorrebbe iscriversi a Giapponese (?) o a Ingegneria o… – anche se d’inverno è poco probabile che ci si possa iscrivere all’Università ). Lui scende alla stessa fermata di vaporetto della ragazza, la segue, suona alla sua porta. Lei è apparentemente afasica; lui, apparentemente simpatico e invadente. Passano la notte nello stesso letto, intirizziti dal freddo e stanchi. La mattina lui vorrebbe… lei fa finta di dormire e allora il ragazzo va via “offeso”. Si incontrano su una spiaggia, lei gli sorride e lo saluta, lui fa il risentito e non se la fila. Si rincontrano in una casa di amici, lui sta con un’altra lei è in imbarazzo ma naturale. Sarebbe questo l’inizio di un amore complesso e difficile che impiega quasi dieci anni per essere dichiarato da entrambi. In questo frattempo quando si incontrano per caso si definiscono amici, a turno. Lei va a Mosca, ci vive un paio d’anni, va a vivere con un maturo regista russo e ogni tanto comunica con e-mail, vaghe e amichevoli con Silvestro. Lui si presenta all’improvviso a Mosca e appena capisce che lei sta con un altro se ne torna arrabbiato e risentito all’aeroporto senza che lei faccia nulla per chiarirsi. Si ritrovano a Venezia, si riperdono di vista, si ritrovano di nuovo e mentre vivono le loro esistenze con fidanzati e amici comuni dovrebbero sentire tra loro amicizia, paura, consapevolezza individuale, dubbi, impennate di orgoglio, gelosia, rabbia. Non riescono ancora a ‘comprendersi’ e a dichiarare i loro veri sentimenti. Lei rimane incinta di un altro e lui le chiede se sono amici, poi durante una festa ubriaco picchia il compagno di lei, anche suo amico, in un impeto di gelosia che ancora una volta però non disvela l’arcano tra i due. Si riperdono di vista, lei pentita di aver fatto un figlio lo ammolla al padre e torna in famiglia a viversi un po’ di depressione che naturalmente le passa immediatamente appena ( altri due anni ? ) la viene a trovare lui. Adesso è talmente consapevole dei suoi sentimenti che gli salta addosso per la prima volta e vuole farlo nel furgoncino, ma lui adesso non se la sente, ha paura di tanta passione e di tanto “ impegno “ affettivo ed emotivo. Passa altro tempo, un altro inverno ?, e i due si ritrovano all’asta della vecchia casa, vorrebbero entrambi comprarla ma non ci riescono e allora decidono di andarla a vedere un’ultima volta. Finalmente…
Raramente abbiamo visto un esordio così immaturo narrativamente e allo stesso tempo maturo nella regia, sempre se le due cose possono essere ben divise. La frammentazione della struttura narrativa è un’operazione coraggiosa ma che deve avere nell’autore una maggiore consapevolezza, una maturità personale e professionale. L’idea di far vedere all’inizio per strada la ragazza con una lunga lampada ( Diogene al femminile che deve scoprire il mondo dei sentimenti ? ), il ragazzo con in mano una pianta molto buffa ( Adamo e la mela ? ) e l’atmosfera periferica di una Venezia invernale ci avevano fatto sperare in qualcosa di nuovo che invece ci ha tradito immediatamente.
Gli interpreti sono Michele Riondino ( Fortapasc, Il passato è una tera straniera ) e Isabella Ragonese ( Nuovo Mondo, Tutta la vita davanti, Viola di mare ) due giovani attori che corrispondono credibilmente ai personaggi pensati. Contraddittorio e caciarone lui, quasi un ragazzo anni settanta, che ha paura di crescere anche con i sentimenti. Provinciale, semplice, malinconica lei, una giovane donna che non riesce a imporsi con i suoi sentimenti ma sembra una barca spinta dalle correnti. Nel film c’è la malinconica presenza di uno dei migliori cantanti italiani Vinicio Capossela che sembra il fautore dello scoppio delle contraddizioni sentimentali dei due protagonisti.

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