Torna il Premio Von Rezzori e tornano i Discorsi sul metodo di Vanni Santoni. Si riparte con Vladimir Sorokin. Nato a Bykovo nel 1955 e considerato tra i maggiori scrittori russi contemporanei, il suo ultimo libro edito in Italia è La giornata di un opričnik (Atmosphere libri 2014)

Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?

Se sto scrivendo un romanzo comincio al mattino presto e lavoro senza sosta fino all’ora di pranzo. Dopo cerco di staccare. Ma attenzione: lavoro ogni giorno. Ogni singolo giorno. Mi aspetto da me stesso una o due pagine, duemila, tremila battute, ma buone. Non di più.

Dove scrivi? Hai orari precisi?

Come ho detto, lavoro al mattino. Non ho un luogo fisso, lavoro bene anche in viaggio, è sufficiente che abbia un posto tranquillo e nessuno a tiro che possa disturbarmi.

Fai preproduzione o scrivi di getto?

Idea e struttura sono tutto. Realizzo uno scheletro del mostro, molto preciso, e solo dopo lo riempio con la carne. Ogni giorno aggiungo più carne, poi sangue, lacrime, sperma, finché non prende vita. Quando è vivo, ho finito. Ma tutto questo può avvenire solo se si progetta prima nel dettaglio lo scheletro.

Quante riscritture fai? Tendi giù a buttare giù prima tutto o cesellare passo passo?

Scrivo pulito perché scrivo senza fretta. Direi che il 95% del testo esce già pulito, già come deve essere. Non mi capita mai di cancellare o buttare via delle parti o anche solo delle frasi, ma in realtà è una questione di esperienza. Oggi, quando mi metto a scrivere, so quello che voglio: ho l’idea e la voce e lo scheletro, e solo a quel punto scrivo. Dunque, quando scrivo, scrivo pulito. Perché se c’è l’invenzione, tutto quello che segue è pura e semplice realizzazione.

Scrivi più libri in contemporanea?

No. Non sono Dostoesvskij. Grazie a Dio. Non mi sono mai messo addosso una furia esistenziale di concludere la mia ‘opera complessiva’. Al contrario, per me è importante fare pause tra i romanzi. Ora sono in mezzo a una pausa di due anni.0-vladimir-sorokin

Carta o computer?

Normalmente uso il laptop, ma se scrivo poesie uso la carta.

Tic o rituali per favorire la concentrazione?

Credo in Dio ma non nei riti. Niente, quindi. Anche se in realtà qualcosa c’è. Reputo molto importante distribuire le forze. Non bisogna mai disperdere le forze. Mai. Uno scacchista deve controllare tutte e sessantaquattro le caselle, sempre. Dunque per bilanciare bene i lavori di un romanzo, per avere sempre sotto controllo ogni aspetto, è essenziale capire il tipo di sforzo richiesto da ognuno di essi e saperlo distribuire all’interno del tempo di lavoro. Non è esattamente un rituale, ma non è neanche solo metodo. È una disciplina interiore. Infatti quando poi scrivo, anche se vengo da una pausa molto lunga, scrivo ogni giorno, assolutamente ogni giorno, senza intervalli.

Come hai esordito?

La Coda,
il mio primo libro, fu pubblicato da una casa editrice di russi emigrati a Parigi. Avevo ventotto anni e il libro era stato scritto nell’83, in epoca sovietica, in un periodo peraltro difficilissimo. Un romanzo del genere era impossibile da pubblicare in patria. Inoltre il manoscritto non doveva cadere nelle mani del KGB. Volle il fato che una slavista che conoscevo fotocopiasse la mia unica copia e la desse a questo editore tramite l’ambasciata francese. Il romanzo capitò in mano alla segretaria di Sinjavskij, e quando lo lessero lui e sua moglia Maria Rosanova, decisero di pubblicarlo. Sia lodato il Signore: mai ho dovuto proporre personalmente un mio testo a una casa editrice, o peggio ancora perorarne la causa. So che si tratta di una evenienza molto fortunata.

Come è cambiato il tuo modo di lavorare da allora?

Il mio modo di lavorare cambia completamente a ogni mio libro. Quando si parla di stile la cosa fondamentale per me è che ogni nuova opera ricominci dalla pagina bianca. Non deve tanto parlarsi con le precedenti, ma corrispondere a ciò che sarà il proprio contenuto. Forma e contenuto. Forse per questo i critici conservatori dichiarano che non ho uno stile: in realtà cambio stile deliberatamente perché ogni idea deve avere la propria intonazione. Faccio pause tra un romanzo e l’altro anche perché prima di mettermi a scrivere devo cogliere questa intonazione, questa melodia stilistica e formale e mettermi completamente al suo servizio. Posso paragonarmi a un serpente che esce dalla vecchia pelle e se la lascia dietro per generarne una nuova a ogni libro. Per questo oggi scrivo in modo diverso non solo da allora, ma dai periodi in cui ho scritto ogni altro mio libro.

Le opere che più ti hanno influenzato per quanto riguarda la pratica e il mestiere della scrittura.

Tutte e nessuna. Non c’è un libro sopra gli altri. Nel mio studio tutti i grandi classici della letteratura russa sono alle mie spalle e ogni tanto inclino la sedia e ci appoggio le spalle sopra, per riposare.

“Esisti” online?

Internet è solo uno strumento di lavoro, non di identità. Lo uso sempre, ormai sarebbe ipocrita dire che non è uno strumento cruciale per qualunque scrittore. Ma lo uso esclusivamente per la ricerca.

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