Il soggetto Castro non è stata una mia scelta, è venuto fuori quando un produttore argentino, Fernando Sulichin, me lo ha proposto. Siamo andati con una piccola troupe spagnola e con il cineasta messicano, Rodrigo Prieto e di fatto abbiamo girato uno speciale tenendo a mente l’idea di un uomo che guarda indietro alla sua vita passata. Avevo già avuto modo di incontrare Castro nel 1986 all’Havana Film Festival dove “Salvador” venne proiettato con enorme successo. In quell’occasione Castro mi era sembrato un uomo cordiale ed esuberante, una persona interessata alla cultura e alla vita.

Pensai che questo incontro, a 16 anni di distanza dal primo, mi avrebbe dato la possibilità di approfondire, di capire meglio ciò che la vita aveva significato per un uomo vissuto come un guerriero e un ribelle di successo, un uomo che porta con orgoglio le sue cicatrici, che è ancora alla guida del suo paese e che è stato il padre della rivoluzione. Un uomo forte che si è guadagnato quello che i francesi potrebbero definire un certo rispetto. Si può non condividerlo, lo si può odiare, ma di certo è impossibile ignorarlo. È una forza della storia.Per alcuni si tratta ormai di storia datata, sorpassata, per coloro che si sono fatti beffe degli anni ’60, di Che Guevara, della rivoluzione comunista, ma non capiscono che l’influsso segreto della storia è molto più forte delle loro profezie e delle loro accuse. È l’influsso segreto della storia la vera forza del cambiamento. È la voce che viene dalla gente del mondo. Possono parlare sottovoce ai banchieri che gestiscono il mondo occidentale e cercare di gestire così anche quello orientale, ma marginali come sono, stanno diventando una forza che può scrivere la parola fine sul sistema bancario occidentale che ha intrappolato gran parte del Secondo e del Terzo Mondo e sembra ora in procinto di portare al fallimento il Primo.

Ho potuto rivolgere a Castro tutte le domande che volevo, ho spaziato dalla filosofia alla politica e ho trovato un Fidel Castro particolarmente intuitivo, perspicace, preciso sulla crisi missilistica cubana (Cuban Missile Crisis) e molto lucido su tutti gli argomenti politici dal momento che legge ed è bene informato. Abbiamo parlato di tutto: dall’Angola alle armi nucleari in Sudafrica, dall’embargo di Cuba alle trame e alle macchinazioni del Pentagono, di Kennedy, e soprattutto della politica di Nixon contro Cuba. Abbiamo parlato della nascita del terrorismo contro Cuba fomentato dalla Cia. Castro mi ha ricordato che i primi aerei a essere mai stati dirottati o fatti esplodere, furono proprio aerei cubani attaccati dalla Cia che appoggiava la mafia cubana.Personalmente ritengo che l’embargo americano contro Cuba sia stato e continui ad essere una tragedia. Rispecchia la politica di vendetta verso il Vietnam del Nord e le sanzioni illegali imposte all’Iraq dopo la guerra del golfo del 1991. È veramente triste che l’America senta di dover sferrar calci contro nemici esterni quando è ormai piuttosto chiaro ed evidente che il nemico si trova all’interno degli Stati Uniti e deve essere combattuto dall’interno come un cancro. Stiamo soltanto indebolendo il “corpus sanctus” facendo convogliare le nostre energie contro gli altri.

Da quando è iniziata la guerra in Iraq, Cuba è di nuovo in prima pagina. In meno di una settimana, si sono verificati contemporaneamente tre dirottamenti aerei, poi il dirottamento di un traghetto e alla fine dei processi molto duri.
«I pirati di quel traghetto sono stati arrestati dalle autorità cubane».

C’è stato un rapido processo al termine del quale i dirottatori sono stati dichiarati colpevoli e quindi condannati alla pena di morte. Meno di otto giorni dopo, sono stati giustiziati.
«Sì, esatto».

Secondo le leggi del diritto internazionale, si tratta di un periodo di tempo eccessivamente breve, soprattutto dopo un processo senza possibilità d’appello.
«È vero, ma praticamente siamo in una situazione di guerra».

L’emozione era grande, l’America si apprestava ad invadere l’Iraq e improvvisamente, dopo anni di calma, a Cuba c’è stata un’esplosione di azioni terroristiche.
«È strano. Il primo dirottamento ha avuto luogo due ore prima dell’inizio della guerra, dopo 19 anni durante i quali non c’era stato un solo dirottamento. Alle 7,05 della sera abbiamo appreso che un aereo passeggeri in viaggio da Nueva-Gerona all’Avana, era stato preso in ostaggio da sei uomini armati di coltelli. Non ne abbiamo saputo più nulla dal momento che sono stati arrestati in territorio americano dove hanno automaticamente ottenuto il diritto di asilo».

Secondo lei esiste un collegamento fra la guerra in Iraq e la ripresa dei dirottamenti aerei a Cuba?
«Sono semplicemente estremamente sospettoso… Il secondo apparecchio è stato dirottato il 31 marzo, il primo era stato dirottato il 19. Fra queste due date i giudici di Miami hanno sollevato i pirati cubani da tutte le accuse di terrorismo e li hanno liberati».

Per quale motivo?
«Perché lo Stato della Florida è governato da una mafia. È lì che si trovano gli estremisti che vogliono creare un conflitto con Cuba. Ora vogliono provocare una crisi come quella del ’94, un massiccio esodo».

Io non ci capisco nulla. L’ America ha dichiarato guerra al terrorismo e poi rilascia i terroristi!
«È una delle conseguenze della legge “Cuban Adjustment Act” che dà automaticamente diritto agli emigrati cubani di stabilirsi negli Stati Uniti. Inoltre, il giudice in questione era Lawrence King, lo stesso che non voleva che il piccolo Elian Gonzales tornasse a Cuba, la sua patria natale».

L’80 per cento degli americani sostenne il governo cubano in quella faccenda. In compenso perché avete ordinato così rapidamente l’esecuzione degli autori del dirottamento navale?
«Per arrestare l’ondata di azioni terroristiche, bisognava tagliare il male alla radice. Effettivamente a Cuba ci sono persone che sono state condannate alla pena capitale che aspettano da due a tre anni, ma in questo momento non viviamo certo nel migliore dei mondi!».

Cosa temete, un attacco su una raffineria, sulla televisione?
«Abbiamo perso l’abitudine di avere paura. Siamo stati minacciati anche con armi nucleari».

Torniamo alla rapidità dell’esecuzione dei pirati dell’aria. Perché?
«Non sono spietato, né inaccessibile alle domande di grazia, ma il nostro primo dovere è di difendere il nostro popolo. Per questo non possiamo esitare. Anche se i condannati a morte non sono così colpevoli come coloro che li hanno spinti a compiere l’atto».

Ovvero?
«Il governo americano, è chiaro. Bush è circondato da estremisti come Otto Reich che il Senato americano rifiuta di accreditare come assistente del segretario di Stato per via del suo passato di orrore e menzogna in America centrale. Mi ha fatto male mandare a morire quella gente, ma era necessario. Oggi, un mese e 10 giorni dopo quei sinistri avvenimenti, non c’è più stato un solo dirottamento aereo o navale».

Come mai allora fa una distinzione fra i pirati dell’aria, che lei definisce criminali, e i dissidenti? Di recente ne ha mandati in prigione 75 e per periodi di tempo piuttosto lunghi.
«Quella gente vuole distruggere la rivoluzione cubana e per questo riceve molti soldi dagli Stati Uniti».

Cos’è un dissidente? Avete condannato a 28 anni di prigione un giornalista!
«È la propaganda internazionale che li ha fatti diventare giornalisti. In verità dei 34 dissidenti presentati come personaggi della stampa, solo quattro erano in possesso di un diploma da giornalista. Per anni siamo stati tolleranti, abbiamo persino perdonato i 1.500 aggressori americani della Baia dei Porci, che sono stati liberati dopo due anni di prigionia, in cambio – è vero – di un’importante consegna di derrate alimentari. Ma oggi viviamo sotto la minaccia di una superpotenza come mai ne sono esistite fino a ora, una superpotenza che annuncia raid preventivi contro oltre 60 paesi del mondo. Non bisogna dimenticare che Cuba fa parte di quella maledetta lista e che ciò è il risultato della mafia cubana a Washington!».

Reagendo troppo duramente non rischia di cadere nella trappola di Bush?
«Il mondo è guidato dalla legge della giungla. Se navigando incrociate un barracuda e questo vi raggiunge, se avete paura e tentate di riguadagnare la riva, siete spacciato. Al contrario, se lo fissate dritto negli occhi, l’uccisore se ne va. Un po’ come accade con i cani. Ben inteso, non faccio alcun paragone con il presidente degli Stati Uniti. Ma è il principio di tutti i cubani: mai girare le spalle all’aggressore. Da molto tempo difendiamo con dignità questa minuscola isola. Se le sanzioni sono così pesanti è dovuto alle circostanze. Da notare che non si parla mai dei cubani che sono in carcere in Florida. Erano degli agenti incaricati di lottare contro i terroristi che preparavano delle azioni contro Cuba. Vengono trattati in modo piuttosto crudele».

MINACCE AMERICANE

Mai prima d’ora, eccetto durante la presidenza di Nixon e quella di Kennedy, la rivoluzione cubana è stata tanto minacciata. Le elezioni presidenziali americane sono previste per il 2004, e i falchi che sono intorno a Bush faranno di tutto per vincerle, compreso scatenare una guerra se necessario. Provocare Castro, portarlo a sbagliare, scatenare una vasta campagna d’opinione contro il regime castrista, fa parte dei loro piani.
«Consiglierei a Bush di non fare mai l’errore di attaccare Cuba. Non abbiamo né armi nucleari, chimiche o biologiche, né super bombardieri, tuttavia abbiamo il nostro popolo, uno dei meglio educati al mondo, e il suo senso di patriottismo. Se i nemici di Cuba intraprendessero questa via, sono sicuro che l’intelligenza trionferebbe sulla forza».

Dimentichiamo la guerra, parliamo delle tappe che potrebbero condurci a una guerra. Bush ha appena vietato ai cubani di Miami di inviare denaro ai loro parenti sull’isola, nel frattempo la situazione in Venezuela ha causato un serio taglio al vostro approvvigionamento di petrolio. L’economia cubana riuscirà a resistere?
«Prima di tutto una correzione: contrariamente a quanto si racconta, il Venezuela non ci fornisce greggio gratuitamente. Ora, è vero che le seccature e le preoccupazioni di Chavez ci hanno obbligato ad acquistare petrolio a prezzi più elevati, ma noi stiamo incentivando e sviluppando la produzione locale, quest’anno ne abbiamo prodotto 700 mila tonnellate in più. Da un punto di vista energetico siamo molto meno dipendenti oggi di quanto lo fossimo all’epoca del crollo dell’Unione Sovietica».

E i versamenti di Miami?
«A Miami non c’è che una minoranza di estremisti che vogliono la morte di Cuba, nella maggior parte dei casi, gli esuli sono dispiaciuti di non poter aiutare le loro famiglie che vivono ancora sull’isola».

Cuba riesce a resistere senza il denaro proveniente dagli Stati Uniti?
«Abbiamo attraversato situazioni ancora più dure. Prima, potevamo rischiare di rimanere completamente isolati, oggi, con le mail, siamo costantemente in contatto col mondo».

La vostra risposta allo scatenamento anti-cubano al momento dell’esecuzione dei pirati e del processo dei dissidenti, è stata pubblicata su due colonne in basso a pagina 5 del “New York Times”. È un po’ poco.
«Non bisogna essere paranoici, né scoraggiarsi. Per un giornale che mente, ce n’è un altro che ristabilisce la verità. Su Internet si trova tutto».

L’ORIGINE DEL TERRORISMO

Il primo aereo al mondo ad essere dirottato è stato un aereo cubano. Il dirottamento fu eseguito da agenti della mafia di Miami.
«L’epidemia del terrorismo che colpisce il mondo dagli anni ’70 risale direttamente ai rimaneggiamenti mafiosi della Cia alla fine degli anni ’50, giusto dopo la Rivoluzione. E questo continuerà a lungo. Pensate all’esplosione in volo di un aereo cubano con a bordo 75 passeggeri; era il 1975. Fra settembre ’68 e dicembre ’84, sono avvenuti 71 dirottamenti di aerei cubani. In un primo momento, i 69 pirati dell’aria sono stati condannati a pene da tre a cinque anni, poi dopo l’accordo di estradizione con gli americani nel ’73, le sanzioni sono salite fino a 10 anni. Risultato, dopo 19 anni i dirottamenti aerei sono praticamente cessati».

Una domanda un po’ bizzarra: lei è stato un guerrigliero, non è mai stato indotto in tentazione da azioni di questo genere ?
«Sì, una volta, quando eravamo in esilio in Messico. Abbiamo comprato un battello, il Gramma. Il seguito della storia lo conoscete già. A ogni modo, noi non pensavamo a un dirottamento aereo come a un’arma, ma semplicemente come a un mezzo per raggiungere Cuba».

Anche lei ha un sosia come Saddam ?
«Mi piacerebbe molto. Ci si potrebbe dividere il lavoro!».

Cosa pensa della situazione in Iraq? Una guerra di 23 giorni, con poche perdite.
«La difficoltà sarà governare il paese. Guardate gli algerini, voglio dire l’esercito francese… ha perso».

Avete inviato truppe in Algeria?
«Sì, abbiamo aiutato coloro che lottavano per l’indipendenza. Abbiamo inviato delle armi affinché i marocchini scortassero le mine di ferro algerine. Fino a quel momento il Marocco aveva intrattenuto buoni rapporti con Cuba. Ciononostante il Marocco aggredì la giovane Repubblica algerina. Allora abbiamo inviato qualche carro armato».

Il vostro più grande impegno in Africa resta l’Angola? Quanti uomini avete perso?
«Sì, l’Angola e l’Etiopia. Circa 2 mila, contando quelli che sono morti con il Che, gli operai di Granada, i nostri consiglieri in Nicaragua. In Africa, la nostra vittoria sui sudafricani è stata determinante per la fine dell’apartheid».

In che modo?
«Avevano veramente paura che li invadessimo. Gli americani erano molto annoiati, e anche i russi».

Vuole dire che i sudafricani si sentivano molto vulnerabili?
«Sì, psicologicamente erano sconfitti».

È un interessante punto di vista storico. È per questo che siete vicino a Mandela?
«Sì».

A Cuba ci sono veterani dell’Angola?
«Sì. E dei monumenti alla memoria in ogni comune».

In un certo senso le vostre guerre africane sono il vostro piccolo Vietnam. A lieto fine però.
«La cosa più straordinaria è di essersi battuti, così lontano da Cuba come da Mosca, contro uno Stato che possedeva l’arma nucleare».

È vero che Kissinger vi ha offerto la fine dell’embargo in cambio di un vostro ritiro dall’Angola?
«Gli americani ce l’hanno proposto molte volte, anche nei conflitti dell’America centrale in cui siamo presenti. Sapete, gli americani non sopportano che ci si arrenda. Come hanno fatto i sovietici. Tutto o niente. Chi sono quelli che sono stati salvati dagli americani? Gli haitiani?».

I MOTIVI DELL’IMMIGRAZIONE

Chi sono coloro che vogliono lasciare Cuba?
«Il 95 per cento della gente che vuole emigrare lo fa per motivi prima di tutto economici, come nel caso dei messicani, perché sperano di guadagnare 50 volte di più facendo lo stesso mestiere. Sognano di avere un’automobile e tutta una serie di beni materiali. Non si preoccupano né della salute, né dell’educazione. E quelli che non riescono ad ottenere un visto tentano di uscire illegalmente».

Lo fanno perché gli americani accordano i visti più difficilmente, o perché temono, presentandosi come candidati ufficiali all’emigrazione, di essere tacciati come contro-rivoluzionari?
«Gli americani non hanno mai veramente rispettato i nostri mutui accordi. In questo periodo ne avrebbero dovuti dare 10 mila, ne hanno dati 700, cioè meno del 10 per cento.

“PRIGIONIERI DI COSCIENZA” O AGENTI AMERICANI?

Cos’è questo Progetto Varela che è stato riconosciuto dalla Ue e ha ricevuto il premio Sakarov, dal nome del famoso dissidente russo?
«Niente più di una delle numerose macchinazioni per creare a Cuba un’opposizione con una parvenza di legalità. Ciò fa parte dei nuovi metodi americani per abbattere la rivoluzione».

Dov’è la novità?
«Gli anni ’60 erano gli anni dei piani di invasione, basta ricordare la Baia dei Porci, la crisi dei missili. Voglio dire, è la stessa politica portata avanti con altri metodi. Klausewitz diceva che la guerra è la politica con altri metodi, qui è il contrario: la politica è la guerra con altri metodi».

Senta, 75 dei 95 dissidenti recentemente arrestati sono sempre in prigione. Sono stati tutti condannati a pesanti pene in seguito a processi estremamente rapidi. Si tratta di giornalisti, librai…
«Ed ecco che il signor Stone distorce i fatti! Dove avete pescato simili menzogne?».

È scritto ovunque.
«Goebbels ha fatto lo stesso, ripetere e ancora ripetere, in questo modo le menzogne passano per la verità».

Il 19 aprile l’agenzia Reuters, che non è americana, annunciava che Cuba aveva rifiutato la visita degli ispettori dei diritti dell’uomo.
«È vero. Prima sappiate però che Cuba è il paese che fa più proposte all’Onu in materia di diritti umani. Quindi rifiutiamo questo genere di ispezioni come abbiamo d’altronde rifiutato quelle sui missili. Cuba non accetta questo genere di interventi dall’esterno».

Perché?
«Non abbiamo tempo da perdere. E poi è una questione di onore».

Eppure sulla lista redatta da Amnesty International, l’organizzazione dei diritti dell’uomo, Cuba è lontano dall’essere il peggiore dei paesi. Vi si rimprovera solo la detenzione di “prigionieri di coscienza”, come lo si rimprovera al Messico, al Perù e all’Argentina.
«D’accordo per i “prigionieri di coscienza”, ma Amnesty o l’Onu hanno indagato sulle decine e decine di morti ordinate da Bush con il pretesto della lotta anti-terrorismo, senza parlare degli attentati che sono stati orchestrati contro la mia persona dai diversi governi americani? In più, mentono, questi famosi “prigionieri di coscienza” sono in realtà dei mercenari».

Siete certo che i 75 dissidenti condannati avevano tutti ricevuto del denaro dagli Stati Uniti?
«In un modo o nell’altro, è stato provato».

Ma molti cubani ricevono soldi dall’estero, dalle loro famiglie, dai loro parenti. È facile essere accusati, no…
«Se non riusciamo a provare che il denaro inviato dai vostri cugini viene dal governo americano, non prendiamo nessuna misura contro di voi. Solo per l’anno 2002, l’agenzia USAid ha inviato qui circa 2,5 milioni di dollari».

Ma perché non spiegarlo alla luce del sole, perché questo processo a porte chiuse? Lei rischia di cadere nella trappola tesa da Bush, che vuole farla passare per un tiranno alla Saddam Hussein.
«In passato abbiamo avuto molti processi pubblici, questa volta si trattava di una situazione di urgenza, bisognava reagire in modo radicale di fronte a questa gente che sfidava apertamente la legge, era necessario mettere un freno all’insolenza della sezione degli interessi americani a Cuba che organizza gli incontri con queste persone. Sa non è che si riunissero per festeggiare degli anniversari!».

Erano legati al Progetto Varela?
«Solo un terzo di loro. Ma questo non ha niente a che vedere con la loro imputazione».

Perché Osvaldo Paya, portavoce del Progetto Varela, non è stato indagato?
«Il governo rivoluzionario ha il diritto di non svelare le ragioni per le quali fa arrestare alcuni e non altri. È un privilegio di Stato».

Il Progetto Varela ha ricevuto il premio Sakharov conferitogli dall’Unione europea.
«Ne sono profondamente desolato. I cosiddetti dissidenti cubani rappresentano lo 0,2 per cento della popolazione».

Voi dite che il signor Paya non rappresenta niente, ma lui ha il sostegno dell’opinione internazionale, rischia di diventare un nuovo Mandela!
«Stone, di grazia, come si fa a paragonare quell’individuo a Mandela, un uomo che ha vissuto 25 anni in prigione!».

Perché non vi incontrate con il signor Paya?
«Per fare che? Non ho l’abitudine di perdere tempo con cose stupide».

LA CRITICA DEL SOCIALISMO

Castro accetta le critiche?
«Sì, quelle che sono in buona fede».

Ad esempio?
«Io non me ne ricordo, ma fra i nostri intellettuali ci sono diverse concezioni su come costruire il socialismo».

Accettereste che qualcuno dicesse che la rivoluzione, una grande e bella idea, è stata tradita da Castro?
«Penserei che quella persona si sbaglia».

Una simile idea potrebbe essere resa pubblica?
«Sapete qui noi rendiamo pubblici anche i discorsi di Bush! E, regolarmente, i cubani possono esprimere i loro punti di vista alla tv».

Anche i più radicali?
«Si tratta di persone pagate dagli Stati Uniti, mi pare evidente».

No, io parlo di chi critica la rivoluzione. Fino a dove si può arrivare?
«L’ex presidente Usa Carter è venuto di recente a Cuba, e il suo discorso è stato trasmesso in diretta. Come quello del papa».

Sono stranieri però.
«I cubani possono fare altrettanto. Durante la visita del papa, l’arcivescovo di Santiago, cubano di nascita, ha fatto un discorso molto duro, ha affermato che l’anno migliore per Cuba è stato il 1958, l’anno in cui Batista ha ucciso molte persone, nessuno l’ha interrotto e nemmeno criticato. La gente ha semplicemente lasciato il proprio posto, non è rimasto nemmeno uno spettatore».

Immaginate ch’io sia un giovane regista cubano. Voglio fare un film sui guerriglieri della Sierra Maestra nel 1958-59. La mia idea è mostrare che, dietro la bella immagine romantica degli eroi, ci sono stati dei seri conflitti. Il mio film potrebbe essere proiettato?
«No, perché questo giovane non troverà mai nessuno disposto a collaborare con lui».

Per paura?
«Al contrario, perché i cubani sanno la verità sugli uomini che hanno la responsabilità di questo paese».

Onestamente, non c’è mai stato abuso di potere?
«Senza dubbio, ma mai con spargimento di sangue. Qui non c’è mai stato un caso di tortura, sono pronto a pagare tutto il denaro che volete. Eppure milioni di volte è stato scritto il contrario. Ma noi siamo vaccinati contro questo tipo di menzogne».

Potrei fare un film su Ochoa, il generale che voi avete accusato di abuso di potere?
«Non posso farvi delle promesse, ma possiamo prenderlo in considerazione».

E se io fossi cubano?
«Non ce n’è uno che non abbia avuto l’idea, e a ogni modo, non sono io che decido. È faticosa questa abitudine “Castro ha detto, Castro ha ucciso”. Nessuno parla mai del Consiglio di Stato, un organismo di 31 membri, 31 onorevoli cittadini».

LA SUCCESSIONE

Immaginiamo un giovane alla guida di Cuba. Sarebbe una ventata d’aria fresca, senza rimettere necessariamente in discussione la rivoluzione. Il tempo di vedere come vanno le cose e l’immagine di Cuba all’estero potrebbe apparire migliore. Non crede?
«Precisiamo due cose: innanzitutto, non sono disposto a fare alcun piacere a Bush. Secondariamente, noi abbiamo ottimi rapporti col mondo intero. Rappresentiamo una sfida per l’opinione pubblica internazionale. Nei più gravi momenti della sua storia, Cuba si è sempre salvata non grazie a quel che pensavano di noi all’estero, ma in virtù dell’eroismo e della tenacia del suo popolo. Quando il blocco socialista si è disgregato nell’Europa dell’Est, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sopravvivenza della rivoluzione cubana. L’opinione pubblica americana, composta da più di 200 milioni di persone, ha sicuramente un grande peso, e noi abbiamo del resto molti amici negli Stati Uniti, ma ne abbiamo moltissimi anche in Cina, che conta oltre un miliardo e mezzo di abitanti, come pure fra i 500 milioni di africani, le centinaia di milioni di indiani, indonesiani, singalesi. I paesi più sviluppati rappresentano soltanto il 20 per cento della popolazione mondiale».

Qualcuno dice: “Castro fa molto nel campo sociale, ed è una buona cosa, ma quando lo stomaco è vuoto non si ragiona bene”. Qui si parla di fame, è vero o no?
«Sì, ma non è la stessa cosa che da voi. Qui si può mangiare ogni giorno, magari non una bistecca, certamente, ma non c’è un solo cubano che non goda di una protezione sociale».

Gli americani hanno un’idea fissa: i “valori democratici”. Dopo quattro mandati consecutivi di Roosevelt, hanno modificato la Costituzione per ridurli al massimo a due. Il cambiamento di governo è considerato come un fatto salutare. Lei invece è al potere da più di 40 anni.
«No, è il popolo che è al potere da 44 anni».

Lei però è il “caudillo”.
«Rifiuto questa definizione. Io sono una sorta di padre spirituale, non sono neanche presidente della Repubblica, ma soltanto del Consiglio di Stato. Non posso nemmeno nominare un mio amico ambasciatore. Rappresento, essenzialmente, un’autorità morale. Ma se vogliamo parlare dei “valori democratici” americani, allora diciamo che solo il 50 per cento dei cittadini va a votare, e che il presidente viene eletto con meno del 25 per cento dei suffragi. Da noi almeno l’affluenza alle urne è del 94,5 per cento, anche se il voto non è obbligatorio».

Le sembra normale che un leader resti al potere così a lungo?
«Dipende. Pensi alla regina Vittoria o, in epoca più recente, alla signora Thatcher, che ci è rimasta per 16 anni. Fino a quando c’è il consenso popolare».

Mandela ha lasciato la guida del governo a Mbeki e a quanto pare, almeno sul piano economico, ciò è stato benefico. Ma pur essendosi fatto da parte, continua a essere rispettato. Lei non riesce a immaginare un’uscita di scena analoga?
«Sì, ma solo il giorno in cui l’impero americano cesserà di costituire una minaccia per Cuba. Allora potrò andarmene a pesca, leggere, divertirmi…».

Non crede che un giovane leader potrebbe svolgere le sue funzioni meglio di lei?
«Vuole che glielo dica francamente? No. Oggi mi sento meglio che all’epoca della Sierra Maestra. Sono meno ambizioso d’un tempo. E sono contento, perché ho fatto molti progressi sul piano morale. Sono meno egoista. Se avessi amato il potere per il potere, non avrei accettato di correre tanti rischi. Non amo gli onori. Spero solo di riuscire a capire, quando verrà il giorno, se invece d’esser d’aiuto al mio popolo, rappresenterò un fardello».

L’esperienza dimostra – penso ad esempio ad Alessandro Magno che morì senza aver designato un delfino – che bisogna organizzare la propria successione.
«Da cinquant’anni a questa parte non faccio altro che addestrare i giovani. Molto prima della Moncada, avevo organizzato un movimento di 12 mila giovani, con i quali avevo condiviso il carcere e l’esilio, e dopo il nostro trionfo nel 1959, ho continuato a svolgere quest’azione educativa, che è lo scopo della mia vita. Sono pronto all’idea della mia morte, e ho una grande fiducia nel futuro».

VIVA LA RIVOLUZIONE

Parliamo degli aspetti positivi di Cuba. Cominciamo con l’istruzione.
«Il 100 per cento dei bambini va a scuola. Abbiamo istituti specializzati per i giovani handicappati, che sono circa 50 mila nel nostro paese».

Anche i giovani adulti possono riprendere gli studi.
«Sì, c’è un nuovo programma per quelli fra i 17 e i 30 anni. Hanno diritto a borse di studio e quelli che già lavorano continuano a percepire interamente il salario».

A Cuba c’è il maggior numero di insegnanti al mondo in rapporto alla popolazione.
«Il doppio che nel continente americano. In media, un professore ogni venti studenti. Solo la Danimarca è più avanzata di noi».

Voi utilizzate molto la radio.
«Sono convinto che gli 800 milioni di analfabeti esistenti oggi nel mondo potrebbero imparare a leggere e scrivere in meno di 5 anni grazie a questo tipo di programmi radiofonici che abbiamo messo a punto».

Cuba vanta un record anche nel campo sanitario.
«Abbiamo 70 mila medici per 11 milioni di abitanti. Il tasso di mortalità infantile, che era del 60 per mille prima del 1959, è sceso al 6,5 per mille. In America è il 7 per mille».

La vita media su quale età si aggira?
«È salita da 61 a 76 anni e speriamo di arrivare ben presto agli 80».

Cuba è famosa anche per i suoi “dottori” sparsi nel mondo.
«Più di 3 mila medici, pagati dal governo, lavorano all’estero, la maggior parte in regioni molto remote che i loro colleghi occidentali sarebbero incapaci di raggiungere. Questo è quello che io chiamo il nostro capitale umano. I paesi occidentali, dove invece il capitale finanziario viene al primo posto, non potrebbero inviare tanti medici così lontano».

A Cuba non esiste lo sport professionistico.
«Lo sport è un diritto del popolo, un mezzo per migliorare le sue condizioni fisiche e abituarsi allo spirito di sacrificio. Noi possiamo vantare la più alta percentuale pro capite al mondo di medaglie olimpiche».

La pubblicità è proibita, come il divismo.
«Salvo per le campagne contro il fumo, non è consentita a Cuba. Il culto della personalità l’abbiamo bandito fin dai primi giorni della rivoluzione. Nessun nome di un leader vivente può essere utilizzato, ad esempio, per battezzare una scuola o una strada».

Non ci sono manifesti né statue di Castro.
«Nemmeno una. E neanche foto ufficiali».

La popolazione è coperta al 100 per cento da una rete di protezione sociale. E, cosa ancor più sorprendente per un paese socialista, l’85 per cento dei cubani ha una casa in proprietà.
«Nel nostro sistema socialista vi sono persone che ne possiedono anche più d’una, mai decine. L’alloggio non dev’essere un business».

Chi sono i più ricchi a Cuba?
«Gli agricoltori che vendono sui mercati privati e depositano i loro risparmi in banca a un tasso d’interesse dell’8 per cento. Ci sono anche artigiani che lavorano in proprio. E questo crea a volte delle gelosie».

Non ho visto armi da fuoco in circolazione.
«È vero. Gli atti di violenza qui sono rarissimi. Non rientrano nella nostra cultura. Questo dipende, io credo, dalla buona educazione della popolazione».

L’11 SETTEMBRE

Quali sono state le sue prime reazioni dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001?
«Detto sinceramente, mi hanno profondamente ferito».

Ha subito pensato agli arabi?
«No, non esattamente. Innanzitutto, gli afgani non sono arabi. E poi, generalmente, questi atti demenziali vengono compiuti in Medio Oriente a causa del conflitto fra israeliani e palestinesi».

Gli americani sapevano dell’esistenza di Bin Laden, vi sono stati degli avvertimenti provenienti dalla Francia, dalla Germania… Bush avrebbe soffocato sul nascere qualsiasi inchiesta seria poiché avrebbe inferto un colpo fatale al suo governo e alla sua immagine, già scalfita dall’esito delle elezioni presidenziali del 2000, che lei aveva definito fraudolente.
«Sono stati commessi molti errori. Hanno sottovalutato l’avversario sopravvalutando le loro possibilità. Inoltre, tutta l’attività dei loro servizi segreti è basata sul denaro, e soltanto su di esso. Sono tutti sul libro paga, gli agenti, le spie, confidenti. Anche i sovietici erano caduti nella stessa trappola. Noi abbiamo un modesto servizio d’informazioni, basato però sulla cooperazione spontanea, che è più affidabile. Gli americani sono ossessionati dalla moltiplicazione e dall’immagazzinaggio dei dati, possono intercettare 2 miliardi di telefonate contemporaneamente, possono avvistare un’automobile, che dico!, un piattino, dai loro satelliti. Ma il problema, in definitiva, è che spetta sempre all’uomo selezionare tutte queste informazioni, analizzarle e prendere una decisione».

Il vostro è stato il primo paese a esprimere la sua solidarietà agli Stati Uniti.
«Ho subito pensato che con la chiusura di tutti gli scali sul loro territorio vi sarebbe stato un grosso problema per gli aerei civili che si apprestavano ad atterrare quel giorno. Così, abbiamo proposto agli americani di mettere a loro disposizione i nostri aeroporti».

Come hanno reagito?
«So che sono venuti a conoscenza della nostra offerta, e ne hanno talvolta fatto cenno nei loro comunicati. Ma, come lei sa, quel giorno non vi era più alcun governo ufficiale negli Usa, non si sapeva nemmeno dov’erano il presidente e il suo vice».

Cuba è stata anche il primo paese a condannare la “risposta” di Bush al terrorismo.
«L’11 settembre è stato soltanto un pretesto. La politica aggressiva di Bush già preesisteva a quei terribili avvenimenti. Il discorso tenuto in seguito a West Point mirava a instaurare una dittatura mondiale. Non credo che la guerra sia la “risposta” giusta per eliminare il terrorismo. Al contrario, può soltanto provocarne l’ulteriore diffusione».

IL TERRORISMO AMERICANO CONTRO CUBA

A parte Israele, Cuba è il paese che si è trovato più spesso alle prese con il terrorismo. Per lungo tempo, la politica estera Usa nei vostri confronti si è svolta all’insegna di attentati d’ogni genere. A cominciare dal marzo del 1960 con il sabotaggio della nave francese LaCouvre nel porto di Lisbona. Le armi e munizioni che trasportava erano state legalmente acquistate in una fabbrica belga dal giovane governo cubano. Gli agenti della Cia fecero esplodere il cargo in modo spettacolare. Nel marzo del ’61, la raffineria Hermanos Diaz di Santiago viene attaccata, in aprile il più grande emporio commerciale del paese, El Encanto, è distrutto da un incendio doloso, e il mese successivo vengono lanciate bombe sulla città di Santa Clara. Nel frattempo, i dirottamenti aerei di cui abbiamo parlato prima si moltiplicano. L’azione più atroce risale all’ottobre del 1976, quando un aereo di linea cubano esplode in pieno volo con 57 persone a bordo, tutte di nazionalità cubana, più 24 membri dell’equipaggio.
«Purtroppo, quel che lei dice è vero. Senza contare i 700 attentati che sono stati orditi contro di me! In 14 mesi, dal novembre del ’61, poco prima dello sbarco alla Baia dei Porci, al gennaio ’63, sono state compiute 5.780 azioni terroristiche contro Cuba, tra cui 717 attacchi molto pesanti contro i nostri impianti industriali, con 234 vittime. Il bilancio complessivo è stato di circa 3.500 morti e più di 2 mila mutilati».

Bush ha dichiarato guerra a Saddam Hussein perché sospettato di possedere armi biologiche, ma già molto tempo prima, gli americani stessi hanno usato queste armi ignobili contro l’Iraq. Nel 1971, sotto la presidenza di Nixon, è stato introdotto a Cuba il virus della peste suina e voi avete dovuto abbattere 500 mila maiali per stroncare l’epidemia. Una fonte non autorizzata della Cia ha parlato di un container contaminato proveniente da Fort Gulik, una base americana situata nella zona del canale di Panama.
«Questo flagello, di origine africana, che non aveva mai colpito la nostra isola, è stato disseminato per ben due volte. Ma c’è stato di peggio: il virus della febbre rossa che provoca emorragie mortali per l’uomo. Nel 1981, contagiò 350.000 persone, provocando 158 vittime, di cui 101 bambini. Nel 1984, il capo di Omega 7 ha riconosciuto che era stato introdotto intenzionalmente a Cuba».

LE ACCUSE AMERICANE

Bush vi imputa il possesso di armi batteriologiche.
«Non è Bush che ci accusa di questo, ma Bolton, il funzionario del Dipartimento di Stato che si occupa delle armi strategiche. Un giorno, ha stabilito che stavamo sviluppando un programma di ricerca su questo tipo di armi e che inoltre trasferivamo tecnologie a paesi in cui trovano rifugio gruppi di terroristi. È ridicolo. I nostri laboratori collaborano con scienziati americani per produrre farmaci contro la meningite e alcuni tipi di tumori».

Bush ha lanciato queste accuse proprio nel momento in cui l’ex presidente americano, Jimmy Carter, vi stava facendo visita.
«Evidentemente, lo ha fatto per irritarlo, ma Carter è una persona seria e fortunatamente, visto che si trovava sul posto, abbiamo potuto invitarlo a compiere un sopralluogo nei nostri impianti».

Ken Alibek, l’ex direttore dei programmi sovietici sulle armi batteriologiche, che vive oggi negli Stati Uniti, sostiene che voi possedete ordigni di questo tipo fin dall’inizio degli anni ’90.
«Siamo seri! Innanzitutto, potremmo essere fieri di venir considerati una grande potenza in grado di produrre armi del genere. Ma è completamente falso. Per due ragioni: in primo luogo, i nostri scienziati sono stati formati con lo scopo di salvare le vite, e qui lei non troverà mercenari capaci di fabbricare sostanze mortali in cambio di soldi. Secondariamente, non crede che sarebbe davvero folle, per un piccolo paese come il nostro, tentare di metterci in concorrenza con gli Stati Uniti per produrre armi di questo tipo? Oltre ad andare incontro a un disastro economico, ciò sarebbe per noi un suicidio di fronte a uno Stato che possiede migliaia di testate nucleari».

IL MIO DESTINO

Lei ha dichiarato che il suo destino era quello di combattere senza tregua contro gli americani.
«Sì. Era un pomeriggio del ’59. Avevo appena visto degli aerei bombardare delle fattorie sulle montagne. Sia chiaro che non ce l’ho col popolo americano. I cubani, grazie al loro grado d’istruzione, hanno imparato a distinguere fra la politica seguita da un governo, e i semplici cittadini di un dato paese».

Si considera un dinosauro?
«L’esatto contrario. Mi sento come un uccello che esce dal nido. Io volo verso l’eternità. E a volte mi dico che sarei molto contento di ritrovarmi ancora qui nel 3000».

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