Abbiamo visto “ Giovane e bella “ regia di Francois Ozon.

Jung ha scritto “ La comprensione non ha nulla a che fare con la vita “, e questa frase ci può salvare da tante risposte insulse e stereotipate su comportamenti inspiegabili degli esseri umani.  Cosa può spingere la diciassettenne Isabelle, studentessa di liceo molto bella, di famiglia borghese parigina, con qualche amica e senza grandi conflitti umani a scegliere di fare la escort con uomini che hanno anche l’età del nonno piuttosto che frequentare i coetanei, le loro feste e le loro fregnacce giovanili ?  Non certo il denaro che accumula senza spendere e di cui non ha nessun bisogno; nemmeno il bisogno di esibizionismo che normalmente riguarda più le attrici porno; nemmeno un conflitto-competizione con la madre e quindi con le donne, tantomeno la ricerca della figura paterna.  Le cose spesso avvengono senza avviso e senza una reale spiegazione psicanalitica.  E come studia al liceo Isabelle, sui versi di Rimbaud, “A diciassett’anni non si può esser seri, se ci son verdi tigli lungo la passeggiata “. 

Ozon è uno dei registi francesi più prolifici e talentuosi, ( ben 14 film dal 1998 , l’ultimo è del 2012: “ Nella casa “ ), ottimo realizzatore, bravissimo nel dirigere gli attori, mai uno sguardo moralistico su ciò che racconta, idee originali e gran gusto.  Ha quel distacco quasi algido che hanno parecchi francesi, ma lui l’utilizza al meglio per seguire una storia senza mai cadere nel banale o nello psicologismo da gossippari, segue Isabelle prendendo atto di ciò che succede e basta, senza ricami o moralismi.  Se gli dovessimo fare una critica su questo film, narrativamente parlando, è quella di essere un po’ troppo borghese e con qualche spunto intellettualistico.  Come per Il personaggio della vedova del cliente morto durante l’atto che da’ appuntamento alla putain e si incontrano nella stanza d’albergo dove tutto è successo e lì c’è una dolcezza e una complessità di  comprensione della donna verso la giovane fuori dal comune e sembra quasi invidiarla.

Isabelle  ( l’attrice e modella francese Marine Vacht ) trascorre l’estate dei diciassette anni al mare con i genitori, con una loro coppia di amici e il fratellino che l’adora ( Fantin Ravat ).  Tra sole sulla spiaggia, nuotate, mangiate in compagnia e qualche chiacchiera, Isabelle probabilmente sente che il suo corpo sta sbocciando e sta per diventare una donna.  Al primo appuntamento con un ragazzo tedesco ci finisce a letto e perde la sua verginità con distacco, al punto che durante l’atto si sente sdoppiata e da lì probabilmente matura il suo futuro.  Ritorna a Parigi e riprende la vita di studentessa senza grandi cambiamenti ( la storia è divisa in quattro capitoli, come Le Quattro stagioni di Vivaldi, solo che Ozon preferisce quattro canzoni di Francoise Hardy, famosa cantante degli anni sessanta: L’amour d’un garçon, À quoi ça sert, Première rencontre e Je suis moi. ), se non che un caso fortuito la fa decidere di prostituirsi e di farsi chiamare Lea, come la nonna.  Inizia a frequentare alberghi a cinque stelle e clienti danarosi di tutte le età, ma solo per almeno trecento euro: come se valutasse la sua bellezza in termini economici.  Ha clienti frettolosi, qualcuno è un po’ volgare e tra tutti si distingue Georges ( Johan Lysen ), un uomo anziano, con i capelli bianchi ma ancora tonico nonostante i problemi cardiaci.  Lei lo preferisce agli altri perché è gentile, le fa qualche domanda, le offre un bicchiere di champagne e non è frettoloso.  Quindi la vita di Isabelle trascorre su un doppio binario che non si incrocia mai, di giorno studentessa, di pomeriggio prostituta, di sera figlia e brava studentessa.  Tutto procede senza scossoni fino a quando non succede qualcosa che porta le due vite ad incontrarsi e naturalmente a svelare il tutto e a provocare un conflitto tra lei e la madre.  Ma la ragazza non prova alcun imbarazzo per quello che fa, non si pente neanche quando la madre le chiede ragione oppure quando è interrogata dalla polizia o parla con uno psicologo, e i suoi occhi sono fieri e provocatori di fronte al patrigno, un uomo così buono da essere evanescente. Forse ciò che la smuoverà è un fatto del tutto imprevisto, la vedova del cliente che le è morto a letto inaspettatamente le fissa un appuntamento, la paga e la porta nella camera in cui il marito è morto e lì le due donne condivideranno l’affetto verso quell’uomo.

Il regista sembra volerci dire provocatoriamente che per vendersi bisogna non essersi venduti del tutto.  E che in fondo Isabelle è meno corruttibile di tutta quella sana borghesia che sembra equilibrata ma che in fondo ha accettato le regole dell’ipocrisia, del non vedere, del tradimento morale verso di sé e gli altri.

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