Abbiamo visto “ Happy family “ regia di Gabriele Salvatores.
Al suo quattordicesimo film, dopo tre film ‘duri’ e più o meno ben riusciti come “ Io non ho paura “ (2003), “ Quo vadis baby ? “ (2005) e “ Come Dio comanda “ (2008), Salvatores realizza una commedia all’italiana con uno sguardo oltre oceano, agli States. Lo intitola all’inglese “ Happy family “, sceglie la splendida colonna sonora del film “ Il Laureato “ di Mike Nichols e inserisce brevemente una scena simile ( Lei che corre da lui dall’altare, in questo caso dal camerino del concerto ). Ma la Famiglia non sembra Happy, né in senso ironico tantomeno serio o bonario: non sembra critica sociale né una descrizione sopra le righe della realtà d’oggi. Tuttavia prende più che spunto da “ I sei personaggi in cerca d’autore “ di Pirandello: i protagonisti compaiono sul computer al giovane sfaccendato, annoiato e ricco di famiglia, che vuole scrivere una sceneggiatura anche per ammazzare il tempo e poi nel pieno della storia i suoi personaggi gli entrano in casa e gli contestano il finale con la minaccia di piazzarsi nel suo loft e non lasciarlo più. Nella breve storia che si svolge praticamente intorno ad una cena tra due famiglie i cui figlioli di sedici anni vogliono annunciare il loro matrimonio, una serie di gag un po’ facili ma che fanno sorridere e una serie di fatti un po’ prevedibili. Il film ‘prima di iniziare’ ha un prologo, con un monologo del protagonista, sulla scia di Trainspotting, questa volta sulla Paura, che tuttavia nel film non emerge da nessuna parte ( né da uno dei protagonisti a cui hanno diagnosticato un tumore maligno né tantomeno da un’adolescente evidentemente omosessuale ma che si vuole sposare con una coetanea, tantomeno da nessun altro protagonista che al massimo teme la noia e il tran tran ). Dicevamo Pirandello ma c’è anche un’occhio , forse involontario, a “ I vicini di casa “ di John G. Avildsen con John Belushi più che a “ I Tenenbaum “ di Wes Anderson. Tuttavia giacchè non rischierà l’Oscar o qualche Gran Premio, potete capire quali sono i vincitori nel confronto. In più Salvatores dichiara, attraverso il protagonista, che ha fatto un film d’autore ma che un occhio all’incasso.
Potremmo dire che l’Oscar che Salvatores ha raccolto quasi vent’anni fa è stato un premio a doppia valenza, anche un po’ forviante per le attese. Da un lato il divenire uno degli autori italiani più importanti, attesi e conosciuti, ma dall’altro lato l’attesa dei suoi film hanno spesso deluso chi li guardava. Forse quel premio richiedeva una maggiore attenzione o forse il buon Salvatores, pur grato del premio, ha continuato lungo la sua strada, cercando nuove strade senza trovarne una ben chiara, e confondendo qualche buona idea di regia con lo stile. Siamo comunque certi che ‘la vita’ e ‘la verità’ riescano ad emergere con Salvatores più negli ultimi film che non in questo e che tematiche importanti come la Paura, la Famiglia, l’Età che avanza, la Morte debbano essere affrontate con uno stile appena più forte e intenso, sinceramente non crediamo che la leggerezza ‘delle canne’ o la vista del mare possano essere da rimedio al dolore del mondo.
Il protagonista si chiama Ezio ( Fabio De Luigi ), ha trentotto anni, è stato lasciato dalla donna da nove mesi, frequenta massaggiatrici cinesi, non ha amici né un lavoro, ma una ricca eredità familiare e vive in uno splendido loft dalle parti dei Navigli. Decide di scrivere una sceneggiatura d’autore ma che incassi ( quest’inizio è un omaggio ad Allen per inquadrature e per voce in off ). Lo script di Ezio racconta di due adolescenti di sedici anni – Filippo e Marta -che hanno deciso di sposarsi e lo annunciano ai genitori; le loro famiglie sono molto diverse tra loro per ceto e rapporti sociali ma si incontrano a cena anche per capire le vere intenzioni dei figli, C’è la famiglia di ricchi formata dall’avvocato Bentivoglio e dalla sua seconda rigida moglie Margherita Buy; l’altra famiglia, quella un po’ sbandata, frickettona e apparentemente scoppiata composta da Abatantuono e dall’isterica Signoris. I primi sono privi di passioni e annoiati, gli altri sono uno skipper PeterPan, trasandato e con la canna sempre tra le labbra. La storia a questo punto si mischia tra realtà e fantasia, l’autore dello script e i personaggi della sua fantasia si mischiano, Ezio entra nella trama e ne diviene uno dei protagonisti. Forse perché si innamora della figlia maggiore di Bentivoglio, una bellissima giovane donna, grande pianista, ma estremamente insicura di sé nei confronti degli uomini. A un certo punto però lo scrittore si stanca di narrare la storia e la chiude a metà con un finale “aperto”. Ma i suoi personaggi non ci stanno e si ribellano, escono ancora una volta da uno schermo, come fanno quelli di Buster Keaton o Woody Allen, anche se questa volta lo schermo è quello di un computer, entrano a casa sua e allora… Ezio dovrà dimostrare a se stesso soprattutto di avere il coraggio di portare a termine il suo lavoro e il suo innamoramento per il suo personaggio femminile. Ma le tematiche forti, quelle tra lo scontro tra realtà e narrazione, tra autore e personaggio, tra vero e falso, tra idealizzazione e formalizzazione resta nel vago e scompare nella leggerezza di un happy and.
Il film è visivamente molto curato, la fotografia di Petriccione gioca con i colori, con il bianco e nero e con le citazioni. La musica è montata bene e mai invasiva ma sempre al servizio delle scene anche se rafforza una certa mielosità di alcune inquadrature. Nel cast ben scelto si fa notare per raffinatezza interpretativa Fabrizio Bentivoglio.

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