Fachinelli dialogò con Pasolini in pubblico (cfr. Id., Al cuore delle cose. Scritti politici 1967-89, a cura mia, DeriveApprodi 2016) e in privato. Non meraviglia quindi che all’indomani dell’assassinio egli si sia impegnato a fondo in un tentativo di analisi psicopolitica che occupò per una decina di giorni pagine intere del suo diario (ne sto curando la pubblicazione col valido aiuto della figlia Giuditta).

Qui riporto quattro stralci ad hoc dal quaderno del 1975:

 3.11. “Assassinio di Pasolini. Sembra un sacrificio, una vittima offerta alla violenza di cui ha scritto in questi mesi. E così ne parlano i commentatori – in modo pasoliniano. Anch’io sono colpito. Ma in ciò che si scrive sento come una trappola. […] In tutta questa storia, apparentemente così chiara, e così coerente con le tesi “sociologiche” di Pasolini, c’è una verità chiusa, solitaria, che non riesce a venir detta”.

4.11. “[…] la conclusione di chi ci vede un episodio di vita d’omosessuale, con un tentativo di furto o simili, non è diversa dalle voci degli intellettuali che in questi giorni riempiono i giornali con le loro dichiarazioni. Qui c’è una trasfigurazione mitica di Pasolini che funziona come la sua banalizzazione comune, serve agli stessi scopi; ma dopotutto con minore sobrietà”.

6.11. “[Sto] scrivendo un articolino per ‘Rosso’ su Pasolini, richiestomi da Balestrini”.

9.11. “Ieri, in macchina – dopo l’uscita del giornale con l’articolo steso il giorno prima, e dopo una telefonata di Toni [Negri] in cui ho colto una debole invidia – senso di una pienezza non gonfia, lucida, una capacità tranquilla”.

 L’articolo, scritto dunque tra il 6 e 7, uscì effettivamente l’8 novembre 1975 sul terzo numero di “Rosso: giornale dentro il movimento” – solo che uscì anonimo, e solo grazie alla scoperta del diario attribuibile ora a Fachinelli. Lo offriamo quindi volentieri ai lettori in insolita anteprima:

 

L’AMORE E LA PREDA

C’è stata in Italia una violenta divaricazione tra registrazione scritta e commento parlato dello stesso evento, la morte di Pasolini. Nella prima, la cultura letteraria italiana, con solo qualche eccezione, ha reagito riaffermando affannosamente, contro le “miserie della vita”, la durata dei propri valori. Dal manifesto al Giornale, abbiamo visto un quasi concorde invito a “leggere i testi”, scartando il resto. Di rado è venuto così chiaramente in luce lo spiritualismo che, quale ideologia di giustificazione, permea l’istituzione letteraria italiana.

Nel discorso parlato, la morte di Pasolini ha creato invece un’improvvisa espansione del lessico erotico. In tutti i bar, nei treni, nelle famiglie davanti a figli, gli italiani hanno fatto circolare termini come: inculare, inculato, darlo, prenderlo, metterlo in culo, in bocca, venire, non venuto, ci sta, non ci sta, culo giovane, culo vecchio…

Scriviamo queste parole per la totale assenza nella scrittura colta, il che conferma ciò che si è detto prima, e perché la loro immissione forzata nel discorso comune ci avvicina alla verità su e intorno a Pasolini; quella verità che proprio i suoi disperati discorsi degli ultimi mesi, come quelli fatti su di lui, contribuiscono ad allontanare.

Che cosa vogliamo dire? Se osserviamo da vicino questi termini, essi forniscono nel loro insieme gli estremi di un particolare rapporto interindividuale, di cui accennano anche la parte economica e politica. Dare e prendere in culo non indicano solo pratiche erotiche, scambievoli e reciproche. Alludono a rapporti di forza e di potere, che per quanto variabili non sono mai assenti nel rapporto sessuale e che proprio Pasolini aveva eliminato dai propri discorsi.

La tragedia di Pasolini nasce da questa eliminazione. Non intendiamo solo riferirci all’elemento più vistoso della vicenda di Ostia: l’Alfa d’argento, il fascino del regista, la promessa implicita, per chi ci sta, di avere o poter avere accesso privilegiato alla più importante industria romana, il cinema. Intendiamo riferirci a qualcosa di interno al rapporto stesso.

Per il suo solo presentarsi, Pasolini trasforma la natura di questo rapporto. La violenza simbolica contenuta nel prestigio, nel denaro e nella promessa diventa accecante. Pasolini chiede un rapporto d’amore, si offre come corpo d’amore. Ma perché è Pasolini, egli diventa corpo di preda. La differenza di classe appare in tutta la sua forza e dà origine a ciò che Marx individua, nei Manoscritti del 1844, come l’invidia e la rabbia del comunismo rozzo. Ora, Pasolini, misconoscendo la sua posizione attuale all’interno del rapporto, vede solo la trasformazione dei ragazzi che gli sono di fronte. Vede loro, ormai esclusivamente, come predatori, e non vede se stesso come offerta e promessa di preda.

Da questo misconoscimento radicale nasce la sua teorizzazione della violenza giovanile. Negli ultimi mesi, egli ha disperatamente invaso i giornali con questa denuncia, che in lui, per l’amore rovesciato che era in lui, era implicitamente ammissione del proprio vicolo cieco storico. Nelle mani del potere, essa rischia adesso di diventare, come nel ’68, uno degli argomenti chiave di una politica di conservazione.

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