«A tarda notte, nell’epoca lontana in cui stavo per diventare maggiorenne, attraversavo place de Pyramides verso la Concorde quando dall’ombra è sbucata fuori un’automobile». Il giovane senza nome, protagonista di Incidente notturno di Patrick Modiano, viene investito e portato in un ospedale di Parigi insieme a una donna in pelliccia, Jacqueline Beausergent, che era alla guida della Fiat verde acqua.

Lui è malmesso ed è rimasto con un solo mocassino tagliato al centro, lei ha delle lacerazioni al volto, sullo zigomo sinistro. Quella ferita è un’apertura, evoca al ragazzo qualcosa che riguarda un vecchio incidente, la associa alla sua infanzia che odora di etere, costellata di immagini che non riesce a mettere a fuoco, come i ricordi legati al padre. Lo choc di quella notte lo spinge a indagare sulla sua identità senza origini, a vagabondare per le strade della città in cerca dell’unica persona, Jacqueline, che può aiutarlo a ricostruire il passato di cui non ha memoria.

Scomodo con vista è il punto d’osservazione che Modiano riserva al lettore. Ci si sporge come da una balaustra per seguire i tortuosi percorsi del protagonista. La precisione con cui sono descritti i luoghi di questo girovagare dà l’impressione di non perdere il filo della storia che si srotola lungo il dedalo di strade di una Parigi assopita e misteriosa. Si perde l’orientamento quando la narrazione si ramifica in vicoli ciechi.

Il senso di spaesamento è amplificato dall’uso che l’autore fa del tempo. Lo seziona e lo ricompone secondo un ordine non cronologico e intervallato da «piccole parentesi di nulla», quello di una memoria traumatica che cancella e confonde. A volte non è chiaro se per lo Sconosciuto il ricordo sia qualcosa che ha o che ha perduto. «In questo vecchio film – scrive l’autore-, le muffe della pellicola causano salti temporali, dando l’impressione che due avvenimenti successi a mesi di distanza si siano verificati lo stesso giorno, anzi, contemporaneamente».

In Incidente notturno, il premio Nobel per la letteratura (2014) somma alle sequenze temporali corrose dall’oblio e ai luoghi metafisici, schemi nomi e incontri ricorrenti, che caratterizzano la struttura modulare dell’esistenza del protagonista. Incidenti, padre, legami non chiariti, Jacqueline, figure e assenze sono intrappolati nel labirinto della mente. «Ritornano le stesse situazioni, gli stessi volti, e sembrano i frammenti di vetro colorato dei caleidoscopi, con quel gioco di specchi che ci dà l’illusione di infinite combinazioni. Ma in realtà sono piuttosto limitate».

L’eterno ritorno, così lo definisce il dottor Bouvière, maître à penser alla guida di un gruppo, forse una setta, di anime perse in cui il protagonista si imbatte. Di figure ambigue come questa ce ne sono diverse nel libro, lo attraversano per poche pagine per poi restare impigliate nella recinzione acquorea della nebbia parigina e della dimenticanza.

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