Il Sudamerica come sappiamo ha vissuto nel corso del Ventesimo Secolo qualche rivoluzione e molte dittature, dal Brasile degli Anni Sessanta in cui è salito al potere con un golpe il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco inaugurando la dittatura dei gorillas e durato circa vent’anni, al colpo di stato militare di Bordaberry in Uruguay, al golpe in Cile del generale Pinochet a quello in Argentina con Videla e Massera, ai tentativi golpisti in Peru dei Presidenti Belaunde e Fujimori fino ai ripetuti enfrentamientos in Bolivia dal generale Barrientos Ortuno a Hugo Banzer a Luis Garcia Meza.  Alla fine del secolo, molti di questi Paesi sono ritornati alla democrazia, dalla Bolivia di Evo Morales al Brasile di Ignacio da Silva all’Argentina di Raul Alfonsin.  L’unico Paese che non ha vissuto veri e propri colpi di stato duraturi è stata la Colombia, ma in tutte le elezioni hanno  sempre vinto candidati della destra, anche impresentabili, forse perché i cartelli della droga di Calì e Medellin hanno imposto quasi un contropotere economico se non politico, forse perché nel 1964 vennero fondate le FARC ( Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane ), che ripresero   la guerra  di guerriglia  in tutto il paese, riunendo in una sola organizzazione le formazioni armate ( dal movimento contadino al Partito Comunista ) e controllando varie regioni del sud del Paese, forse perché esistevano sul territorio gli Squadroni della Morte finanziati dagli americani, forse anche perché nel luglio del 1957, l’ex presidente conservatore Laureano Gomez e l’ex presidente liberale Lleras Camargo sottoscrissero la Dichiarazione di Sitges, nella quale proponevano un Fronte comune in cui il partito liberale e quello conservatore avrebbero governato insieme in alternanza e con i soliti brogli.   Questo Fronte Nazionale fu uno strumento di repressione politica, oltre che con i dissidenti anche con alcuni dei suoi principali sostenitori, specialmente dopo le elezioni che portarono al potere Misael Pastrana Borrero.  Dal 1982 – notando un indebolimento delle FARC e avendo ottenuto numerosi successi contro l’M-19 -, il Presidente Ayala impose un decreto di stato d’assedio con cui attuò una durissima repressione ( numerose furono le accuse di violazione dei diritti umani ).

I successivi governi hanno avuto a che fare con la violenza e la corruzione, l’uccisione di candidati presidenziali a quella di ministri, dal feroce scontro con i guerriglieri, ai paramilitari e i narcotrafficanti usando spesso la forza e saltuariamente il negoziato.  Nel nuovo secolo il politico conservatore Uribe è diventato il quarantatreesimo presidente della Colombia, ha provato a distruggere le organizzazioni dei guerriglieri e il suo governo ha adottato la cosiddetta Politica Democratica di Difesa e Sicurezza, una strategia che si concentra sugli aspetti della sicurezza.  Alcuni osservatori sostengono che questa politica sia troppo orientata a una soluzione militare della guerra interna alla Colombia.    Gli ultimi cinque presidenti sono stati sostanzialmente tutti di destra, dal più famoso Uribe Velez con il suo partito Primero Colombia ( un insieme di almeno una decina di partitini ) ed eletto per ben 2 volte; ad Andrés Pastrana Arango, un conservatore che aveva un piano per stabilire un dialogo con i gruppi narcotrafficanti colombiani e ha incontrato segretamente anche il capo-guerrigliero e leader delle FARC, Manuel Marulanda Vélez per tentare di stabilire una pace che non è stata possibile ottenere.  L’ultimo Presidente è l’uribista Duque Màrquez che ha siglato un accordo di pace con i guerriglieri, ma molti di questi dopo verranno uccisi da militari e dagli squadroni della morte, fatto che porta una serie di guerriglieri a riprendere la clandestinità.

Domani 20 giugno ci saranno le elezioni presidenziali in questo sventurato Paese e per la prima volta si troveranno a confronto un ex guerrigliero Petro Urrego – leader del partito Colombia Humana, della coalizione Pacto Historico – e il conservatore Hernàndez Suàrez – leader della Liga de Gobernantes Anticorrupcion -, azzardando un po’ una specie di Berlusconi sudamericano.  Petro Urrego negli anni Ottanta è stato membro del gruppo di guerriglieri M-19, senza tuttavia partecipare alla lotta armata, operando solo come attivista; nel 2006, è stato eletto senatore per il partito Polo Democratico Alternativo, nel 2009 si è dimesso per potersi candidare alle elezioni presidenziali arrivando solo quarto.  Nel 2011 è stato eletto sindaco di Bogotá, nel 2018 perde al ballottaggio del 17 giugno contro

Il Presidente attuale Duque Marquez.  Tra i punti del suo programma c’è una riforma agraria per ripristinare la produttività e porre fine al “narco-latifondismo”, l’interruzione di tutte le nuove esplorazioni petrolifere per liberare il Paese dalla dipendenza dalle industrie estrattive e dai combustibili fossili, lo sviluppo della rete ferroviaria, investimenti nell’istruzione pubblica e nella ricerca, riforma fiscale e riforma del sistema sanitario, oggi in gran parte privatizzato.   Il suo primo atto da presidente sarà quello di dichiarare lo stato di emergenza economica per combattere la fame diffusa ed ha annunciato di voler ripristinare le relazioni diplomatiche con il Venezuela di Maduro.

L’antagonista è Rodolfo Hernández Suárez, un ingegnere settantasettene, proprietario della Impresa di Costruzioni HG che dichiara una ricchezza di 100 milioni di dollari.  Nel 2011 finanzierà la campagna del politico liberale Bohorquez, nel 2015 si candida a sindaco di Bucaramanga vincendo.   Durante il mandato subisce due sospensioni da parte della Procura Generale Nazionale, una nel 2018 e l’altra nel 2019.  E’ un classico politico di destra sudamericano, simpatizzante di Trump e di Bolsonaro, populista e qualunquista, è contro l’aborto, contro i matrimoni dei gay e delle unioni civili, contro la legalizzazione delle droghe leggere e contro l’eutanasia e il suicidio assistito.  E’ stato definito dai media colombiani come un populista di destra, la sua campagna politica si è basata soprattutto contro la corruzione dei politici ed ha enfatizzato la sua immagine di grande manager dai risultati incredibili, ha dichiarato ammirazione per presidenti come Bukele di El Salvador ( « Sono il dittatore più figo del mondo », così ha scritto di se stesso il millennias, e a marzo ha portato il suo Paese ad essere il secondo con il più alto tasso di prigionieri al mondo ) e durante la campagna elettorale si è rifiutato di confrontarsi con gli altri candidati accusandoli di essere amici dei narcotrafficanti, di usare le droghe e di essere dei ladri.

Al primo turno delle Presidenziali Gustavo Petro ha ottenuto il 40,3% mentre il candidato indipendente Rodolfo Hernández  è giunto secondo con il 28,2%.  Non è un ballottaggio facile perché la sinistra non ha mai governato e la crisi e gli scandali hanno pesato sul voto, i colombiani hanno votato per il cambiamento, anche se non hanno ancora deciso la direzione da prendere.  Petro, l’ex-sindaco di Bogotá è primo ma con uno scarto rispetto al secondo che mette in discussione la vittoria finale.  Il vero sconfitto in questa tornada elettorale resta Federico Gutierrez, l’ex sindaco di Medellin, che con il 24% circa dei voti non è riuscito ad imporre la continuità ‘uribista’ ma che rappresenta – con i consensi incassati – un tesoretto di voti potenzialmente dirottabili su Hernández.

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