Paco Ignacìo Taibo II è tra gli scrittori più popolari al mondo in lingua spagnola. Antifascista nel DNA (la sua famiglia dovette scappare dalla Spagna franchista nel ’58 per rifarsi una vita in Messico), Paco, come si fa chiamare con grande affabilità, è autore feticcio per la sinistra nostrana. Oltre alla sua vastissima produzione storica (celebre la sua biografia di Che Guevara Senza perdere la tenerezza), il suo nome è legato alla fortunata serie di gialli che hanno per protagonista l’investigatore Héctor Belascoarán Shayne.

Ma c’è un motivo ulteriore per il quale lo scrittore è divenuto un punto di riferimento ineludibile dei  lettori progressisti: il concreto impegno sociale. Paco Ignacio Taibo II ha dedicato gli ultimi cinque anni della sua vita a un grande progetto culturale: la Brigada para leer en libertad, la Brigata per leggere in libertà. Un’avventura straordinaria, nata per passione, in grado di raggiungere una diffusione maestosa e capillare, che ha presentato in Italia un anno fa in un incontro alla Casetta Rossa della Garbatella, a Roma.

Ora Paco è tornato in Italia per un tour di presentazione della ristampa del libro La bicicletta di Leonardo (originariamente del 1993) ad opera de La Nuova Frontiera.

Un libro che prende le mosse dall’immensa figura di Leonardo Da Vinci per poi condurre il lettore in una rocambolesca vicenda sospesa tra cronaca nera e ricostruzione di una storia negata, giocato su diversi piani narrativi, tra l’Italia del Rinascimento, la Barcellona degli anni Venti e il Messico contemporaneo.

Tema centrale, non solo di questo testo, ma anche del precedente A Quattro Mani, ripubblicato a Maggio, è la manipolazione mediatica.

Perché hai sentito l’esigenza di riproporre proprio ora La bicicletta di Leonardo?

Perché sento che nella mia produzione letteraria ci siano dei cicli narrativi che ritornano e la attraversano. E credo che sia giusto a volte ritornare alle radici di quelle narrazioni, per riprendere un contatto con i lettori.

Uno dei temi portanti del libro è la manipolazione dell’informazione operata dai media.

Un tema urgente, attuale più che mai.

Trovi che la situazione sia cambiata rispetto alla stesura originale del libro?

Adesso più che la censura e l’occultamento c’è un sovraccarico di informazione, o meglio di disinformazione, una sorta di rumore mediatico costante che copre la vera informazione, sviando e distraendo coloro che vorrebbero essere informati.

Rimangono solo frammenti di notizie, distorte e mescolate alla falsità. Ad esempio, in Messico il governo applica sistematicamente la disinformazione per ingannare i cittadini.

Cosa pensi della discussa considerazione di Umberto Eco sui social network che” danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino (…) mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”?

Questo accade quando c’è la democrazia! Se uno vuole la democrazia lo accetta. Certo, in  una monarchia non avverrebbe. D’altro canto, i social network sono proprio il luogo in cui c’è il massimo eccesso di rumore mediatico. Le teorie dei qualunquisti nascono metà per la disinformazione dei governi, metà per la pigrizia di chi non vuole approfondire le notizie.

Secondo te qual è l’alternativa possibile?

Diffondere informazione dal basso, invitando ad approfondire, ad andare oltre la superficie, contestualizzando, analizzando le notizie, decostruendo la disinformazione dei media ufficiali.

Questo è il motivo per cui è nata la “brigata per leggere in libertà”?

Viviamo in una società in cui il potere è in mano ad alfabeti funzionali. Non parlo solo di presidenti, deputati e senatori. No, parlo anche di coloro che gestiscono gli apparati culturali.

Come si è sviluppata l’iniziativa?

Abbiamo iniziato in tredici persone. Solo tredici persone. Abbiamo cominciato a organizzare piccoli bazar dove vendere libri. Pensavamo che dopo poco tempo dovesse finire tutto. Al contrario, il progetto si è diffuso spontaneamente a macchia d’olio: allo stato attuale, ogni anno facciamo otto fiere internazionali con più di 100 case editrici. Inoltre, ogni mese allestiamo due o tre piccole fiere locali. Portiamo libri dove in piccoli villaggi, fuori la periferia delle grandi città, luoghi dove non ci sono librerie, né biblioteche.

Quali sono i risultati raggiunti finora?

Abbiamo pubblicato 110 libri, che regaliamo, stampandone oltre 500.000 mila copie.  Inoltre, abbiamo chiesto alle case editrici che collaborano con noi di vendere in queste occasioni i libri con un forte sconto. Il progetto in 5 anni ha distribuito 6-7 milioni di libri a prezzo ribassato. Sono state create più di 60 biblioteche. Facciamo quasi un evento al giorno: una fiera del libro, una tavola rotonda, una presentazione.

Avete potuto contare sull’appoggio della classe intellettuale messicana?

Noi siamo in polemica con la cultura ufficiale. Si lamentano sempre che il popolo messicano non legge. E io rispondo che spesso le copie che distribuiamo non sono abbastanza per le persone che accorrono. Abbiamo iniziato a distribuire un libro solo per famiglia. Una signora è arrivata a mordermi per averne due!

Qual è stata la reazione, invece, dei tuoi colleghi scrittori?

Molto positiva. Un grande supporto. Settanta autori hanno regalato i loro diritti d’autore. Autori campioni d’incasso hanno accettato di venire a presentare i loro libri gratuitamente. Al contrario, autori che hanno scritto libri molto dotti hanno venduto più nelle periferie che in tutta la loro carriera.

Dunque, non avete avuto nessun contributo statale?

(Scoppia a ridere) Noi siamo fieramente antigovernativi! Il Governo vuole che la gente sia ignorante! Il dato straordinario è che dietro a questa gigantesca opera di diffusione non c’è nessun finanziamento, men che mai statale: è tutto costruito su base volontaria, dal contributo di decine di scrittori, operatori culturali, editori e sostenitori che hanno sposato il progetto.

C’è qualche aneddoto in particolare che ti ha colpito durante questi anni di esperienza della Brigada?

Visto che siamo in Italia, voglio raccontarvi questo episodio. Spesso nelle nostre manifestazioni allestiamo degli stendini sui quali appendiamo, come lenzuola, delle poesie per la strada, così ognuno può prenderle e portarsele a casa, come fossero un poster. Una signora, praticamente semianalfabeta, con la busta della spesa, stava camminando su e giù, leggendole tutte, finché finalmente ne scelse una sola: era “M’illumino d’immenso” di Ungaretti. Le chiesi perché l’avesse scelta, immaginando scherzosamente che il motivo fosse la brevità. Mi rispose con grande dignità: “perché mi piace molto”. Mi commuovo a pensarci ancora adesso. Un’esperienza che nasce come politica, tramite la poesia, diventa commozione”. Ma per i militanti della Brigada, il progetto rimane potentemente politico, poiché  “Un cittadino che legge è un cittadino più libero, che non può essere fregato dalla televisione”.

 Nel 2011 fosti costretto a smentire una falsa lettera a suo nome riportata maldestramente da Avvenire, in cui avresti dichiarato di commuoversi  per il successo fra i giovani di un incontro di Ratzinger a Madrid.

Si. E conclusi: “…finchè il Vaticano non distribuirà i suoi tesori fra i poveri e non permetterà che si possa fumare nelle chiese, non ho nessun interesse nella figura papale”.

Qual è la situazione della democrazia in Messico?

In Messico non c’è una vera democrazia, basti pensare ai brogli elettorali. Ma la nostra non è una società passiva. Abbiamo avuto anche manifestazioni con 300.000 persone in piazza contro il governo. Con la Brigada creiamo intensi dibattiti sulla verità storica, contro il sapere accademico, per riappropriarci a testa alta della nostra storia. La Storia è una grande costruttrice di modelli, di proiezioni ideali. Un terzo delle attività della Brigada sono conferenze  sulla storia del Messico.

Dunque, tu credi che la letteratura possa influenzare positivamente la società?

Nonostante questa barbarie dominante, io credo ancora fortemente nel potere della parola scritta. La letteratura è la trincea della civilizzazione contro la barbarie. Io credo che si possa sempre cambiare il mondo. E se non è possibile, comunque bisogna provarci.

Insomma, il gramsciano “ottimismo della volontà”.

Bisogna essere ottimisti. L’unica differenza tra pessimisti e ottimisti è che gli ottimisti soffrono solo alla fine, mentre i pessimisti soffrono tutto il tempo. Bisogna resistere. E vincere. Sono convinto che la civiltà trionferà contro il capitalismo selvaggio.

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