1. DAGLI ARCHIVI DEL TRIBUNALE LE FOTO SCIOCCANTI E INEDITE DELLA MORTE DI PASOLINI 
2. UN LIBRO RICOSTRUISCE LA MORTE DI PPP: L’ASSALTO DEL COMMANDO DI ‘FASCI’, LE AUTO CHE ‘ASFALTANO’ IL CADAVERE, I DEPISTAGGI, LE FALSE TESTIMONIANZE, IL RUOLO DI PELOSI
3. FERRARA VERSUS I “MORALISTI” DI ‘REPUBBLICA’: “CELEBRATE PASOLINI CHE FACEVA SESSO NEGLI ANNI CINQUANTA CON RAGAZZINI 15 E 16 ANNI E POI AVETE MESSO IN CROCE BERLUSCONI PER IL SOSPETTO CHE SAPESSE L’ETÀ MINORILE DI RUBY, VI SIETE FATTI PORTAVOCE DI ILDA LA ROSSA NELLE SUE TIRATE CONTRO LA “FURBIZIA ORIENTALE” DELLA PULZELLA, SIETE ENTRATI NEL LETTONE DI PUTIN, AVETE PUBBLICATO QUALUNQUE INTERCETTAZIONE PELOSA…”
4. L’ELEFANTINO DIMENTICA SEMPRE CHE ALL’EPOCA BERLUSCONI, A DIFFERENZA DI PASOLINI, RICOPRIVA UNA CARICA PUBBLICA (PREMIER) E QUINDI RAPPRESENTAVA IL POPOLO ITALICO…

Secondo l’autrice, i killer sono un manipolo di fascisti che hanno usato catene, tondini di ferro, forse bastoni, una fragile tavoletta di legno già spezzata prima dell’aggressione con su scritto l’indirizzo delle baracche. Non c’è solo la presenza di altre persone, ormai ammessa anche da Pelosi unico condannato…

Avvertenza per i lettori: le immagini a corredo dell’articolo e contenute nella gallery senza alcuna copertura sono estratte dagli archivi del Tribunale e mai pubblicate. Per il loro contenuto sono assolutamente sconsigliate ai minori e alle persone impressionabili. Affaritaliani.it ha deciso di pubblicarle perché costituiscono un documento inedito sulla ferocia che ha accompagnato l’esecuzione dell’intellettuale.

Pasolini morto Pasolini morto

Le fotografie non lasciano spazio a dubbi, immagini che valgono più dei milioni di parole scritte fino ad oggi. Il sangue lava via le parole aride delle sentenze come fossero cachinni sguaiati. Un “rito tribale”. Un’operazione stutturata e pianificata a tavolino, caratterizzata da una precisione e un’organizzazione inaudite. I killer sono un manipolo di fascisti che hanno usato scientemente gli attrezzi del mestiere della loro tradizione: catene, tondini di ferro, forse bastoni, una fragile tavoletta di legno già spezzata prima dell’aggressione con su scritto l’indirizzo delle baracche. Un commando nero.

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Non c’è solo la presenza di altre persone, ormai ammessa anche da Pelosi unico condannato per il delitto – esca in parte inconsapevole che all’omicidio non ha neanche preso parte- da dieci anni nei suoi continui cambi di versione, nella sua verità raccontata a corrente alternata forte del fatto di essere l’unico testimone oculare identificato del delitto e praticamente impossibile da smentire.

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Due automobili hanno sormontato il corpo di Pasolini, i segni del battistrada di motociclette sul corpo del Poeta e sul terreno dell’Idroscalo parlano inequivocabilmente della presenza di un gruppo nutrito di massacratori che gli urla “Jarruso”, omosessuale in dialetto siciliano.

Non appena Pelosi e lo scrittore giungono sul posto, accompagnati già da qualcuno nel veicolo e seguiti a breve distanza da altri dalla stazione Termini e dal ristorante “Biondo Tevere” avvengono in successione sia il pestaggio che il sormontamento con più auto.

Pasolini non dovrà uscire vivo dal massacro, per questo ognuno degli intervenuti deve essere funzionale nel suo ruolo.

 I convenuti hanno un obiettivo in comune: uccidere Pasolini. C’è la bassa manovalanza che vuole togliere un po’ di soldi al “frocio” Pasolini, i picchiatori “neri” che vogliono oscurare la voce scomoda del “comunista”, forse qualcuno che non accettava l’amore del Poeta per i “Ragazzi di vita”. In alto, in cima alla piramide quello (o quelli?) che hanno commissionato il delitto. Un delitto a più livelli, compartimenti stagni nel quale a malapena i partecipanti conoscono i volti dei complici. Pino Pelosi, unico condannato pagherà per tutti.

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Quarant’anni dopo Simona Zecchi ha compiuto un’analisi filologica e cronologica delle carte processuali dell’omicidio Pasolini, rovistando per tre anni negli archivi polverosi di mezza Italia, interrogando e braccando gli sparuti testimoni ancora in vita, districandosi in una giungla di false piste, fonti aperte e coperte, mettendo la parola fine a quarant’anni di false notizie e speculazioni editoriali intorno a lacerti di manoscritti mostrati e poi nascosti (il famoso Appunto 21 mancante dal manoscritto del romanzo postumo Petrolio), azzerando quanto scritto in precedenza.

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Ha riversato il suo lavoro di ricerca nel volume Pasolini “Massacro di un poeta” (Ponte alle Grazie editore), un libro da leggere con devozione dove ha pubblicato foto e altri documenti inediti, ha rintracciato scatti della scena dell’omicidio mai visti finora. Ricostruendo con perizia e precisione, fino a dove è stato possibile, la dinamica del delitto, sbaragliando draghi e mitologie complottiste.

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Le foto, esplicite e violente dimostrano con inequivocabile certezza che ci fu una mattanza quella notte all’Idroscalo. Foto pubblicate perchè anche Pasolini nella sua instancabile e ossessiva ricerca della verità lo avrebbe voluto, perché come ha detto uno dei testimoni: “Se fosse stato un cane avrebbero avuto più pietà”. Foto che vanno inserite come tessere di un puzzle nell’analisi rigorosa svolta all’interno del libro.

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Quarant’anni dopo alla domanda perché è stato ucciso Pasolini è ora possibile rispondere: per la forza delle sue parole, non per quello che aveva scritto ma per quello che avrebbe potuto continuare ancora a scrivere.

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