Abbiamo visto “ Lion – la strada verso casa “ regia di Garth Davis.

Con Dev Patel, Rooney Mara, Nicole Kidman, David Wenham, Nawazuddin Siddiqui. Drammatico, durata 129 min. – USA, Australia, Gran Bretagna 2016 – Eagle Pictures.

Lion è tratto dal libro La lunga strada per tornare a casa, scritto da Saroo Brierleye e Larry Buttrose. Un memoir autobiografico che in Australia ha avuto un grande successo. Lo hanno affidato a un regista televisivo esordiente Garth Davis e ne è uscito un film natalizio gradevole, corretto registicamente, ma che non aggiunge nulla di più a quello che si è visto tante altre volte al Cinema.  Una prima parte girata nell’esotica India, tutta miseria, polvere e povertà e una seconda invece in una Tasmania, ordinata, pulita e un po’ asettica.  A questo aggiungete il bisogno del bambino indiano protagonista che cresciuto sente il bisogno di ritrovare la sua famiglia d’origine- dopo qualche compiacimento naturalistico della prima parte e un po’ approssimativo della seconda anche un po’ noiosa nella statica sofferenza identitaria del ragazzo – ed ecco il ricongiungimento e l’happy and.  Fortuna che il bambino protagonista è veramente simpatico e perfetto per questo tipo di film, come il fratello maggiore; mentre quando è cresciuto ( l’attore inglese Dev Patel, già visto in The Millionaire e Marigold Hotel ) è un po’ troppo glamour e piacione. Il tutto rende il film una bella favola per famiglie e la sofferenza che prova si addomestica facilmente. Insomma un film con una storia forte ma che è resa debole da un regista che ha svolto un compitino senza trovare una giusta chiave di lettura tra la povertà di un Terzo Mondo e la ricchezza asettica di una società civilizzata, senza approfondire i temi, ma raccontando solo una cronaca di un bambino che dagli inferi rischia di finire nell’inferno più nero e invece casualmente finisce in un eden. Anche la partecipazione di Nicole Kidman ( unica e forse sprecata star ) rende ancora più ibrido il progetto finale.

Siamo nel 1986 in India, nel distretto di Khandwa, qui vive nella povertà più nera una madre con tre figli, il secondo nato si chiama Saroo e ha cinque anni. Vivono raccogliendo pietre o rubacchiando del carbone sui treni, ma tra loro c’è un affetto e un amore come pochi. Una sera Saroo vuole seguire e aiutare l’amato fratello più grande che va a trasportare delle balle di fieno, ma giunti alla stazione il piccolo ha troppo sonno e viene lasciato su una panchina a dormire con la richiesta del fratello di non muoversi da lì.  Ma il tempo passa, Saroo si sveglia, aspetta, annoiandosi sale su un treno fermo e vuoto, ma il mezzo parte e percorre ben 1600 chilometri fino a fermarsi nella stazione di Calcutta. Saroo diventa subito uno dei tanti bambini di strada che rischiano ogni sera la fine più atroce, tra trafficanti, pedofili e poliziotti corrotti. Ma ha la fortuna di salvarsi e finisce in un orfanotrofio pericoloso ma non come la strada. Per sua fortuna viene scelto per essere adottato da una famiglia della Tasmania. Addio alla povertà e ai pericoli e si ritrova in una casa così organizzata e asettica da sembrare una clinica. I suoi nuovi genitori sono affettuosi, comprensivi e felici di questo bambino buono e ne adottano anche un altro che però risulterà talmente messo male psicologicamente che creerà difficoltà ai tre.

Saroo cresce, ha venticinque anni, studia all’università, si fidanza con una bella ragazza australiana e ci va a convivere. Ma in sé c’è il bisogno di ritrovare la sua famiglia d’origine e scatta la necessità quasi impellente una sera a cena a casa di amici, quando mangiando cibi indiani e lui deve usare il pane nan al posto del cucchiaio e in cucina trova delle frittelle colorate che da piccolo erano la sua passione.  E’ come se tutto quel breve passato e l’angoscia della sua perdita diventino d’un tratto fondamentale. Diventa ben presto scorbutico con tutti, si isola dalla famiglia, lascia la sua ragazza e con l’aiuto di Google Earth e con lo sforzo della memoria dopo parecchio tempo riesce casualmente a ritrovare la città in cui viveva. Parte per l’India, ritrova la strada di casa e parte della sua famiglia.

Un film scomposto in due parti, la prima più concreta e piacevole, grazie ai luoghi, ai due ragazzini protagonisti e a una bella fotografia, la seconda invece ( probabilmente la più originale e importante ) risulta inconcludente, senza un reale sviluppo, senza alcun pathos e anche inespressa narrativamente. I temi importanti e profondi come la disparità economica nel mondo, l’irrilevanza del singolo nella vastità di una nazione come l’India e l’importanza del singolo in una realtà poco popolosa come la Tasmania, l’adozione casuale e l’avere due madri, il bisogno di identità e di ritrovare le origini, sono argomenti fondamentali ma qui trattati in modo assai superficiale.

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