IL GRANDE EQUIVOCO DA CUI NACQUE UN CAPOLAVORO – LO SCRITTOREGRAHAM GREENE EBBE L’INCARICO DI SCRIVERE LA SCENEGGIATURA DEL “TERZO UOMO” DI CAROL REED: PER SUO METODO DI LAVORO COMINCIÒ BUTTANDO GIÙ UN ROMANZO BREVE CHE DIVENNE UN PICCOLO GIOIELLO – TUTTE LE STORIE SONO AMBIENTATE IN UN…

I bravissimi non hanno paura di dare tutto il merito a qualcun altro. Graham Greene ebbe l’incarico di scrivere la sceneggiatura del Terzo uomo: per suo metodo di lavoro cominciò buttando giù un romanzo breve, e poi dichiarò «il film di Carol Reed è venuto meglio».

Il regista Carol Reed celebrò il produttore Alexander Korda, che dopo il successo di Idolo infranto gli aveva proposto di lavorare un’altra volta con Greene (i produttori hanno fatto tante cose buone, purtroppo nel luogo comune restano i cattivi che rovinano i capolavori).

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Produttore, regista e sceneggiatore concordano sulla bravura di Orson Welles e sulla brillantezza dei suoi dialoghi aggiunti, tra cui la battuta sulla Svizzera, i 500 anni di pace e l’orologio a cucù.

Welles farà notare più tardi che non era affatto sua, l’aveva letta su un calendario ungherese. Il terzo uomo non è un canovaccio, neppure una “novelization” scritta a posteriori, come le quattrocento pagine che Quentin Tarantino ha pubblicato due anni dopo il film C’era una volta a Hollywood.

È un piccolo gioiello romanzesco che qua e là gioca con l’arte di scrivere romanzi, e sbeffeggia l’antipatica divisione tra scrittori di serie A e scrittori di serie B: se sono bravi, che differenza fa?

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Rollo Martins – conosciuto come Buck Dexter dai lettori dei suoi non eccelsi romanzi western – arriva nella Vienna del 1948 per incontrare l’amatissimo amico d’infanzia Harry Lime. E viene scambiato per Benjamin Dexter, scrittore da pompose conferenze al British Council.

Lo caricano in macchina davanti all’hotel Sacher, incuranti delle sue proteste lo conducono davanti al pubblico, il presentatore della serata letteraria Crabbins traccia «un quadro lucido, corretto e imparziale della narrativa contemporanea». Poi arriva il momento del dibattito. E delle gag.

«Martins non capì una virgola delle prime domande», scrive Greene. Il maestro di cerimonie si intromette e per un po’ salva la faccia dell’ospite confuso (non vedeva l’ora di dire la sua, succede spesso in questi casi).

Poi la situazione precipita, il pubblico chiede il titolo del futuro romanzo, il nome dei maestri, altre cose bizzarre: «Forse potrebbe dire qualcosa sul flusso di coscienza».

Risposta: «Il flusso di che?». Finisce con la firma delle copie, gli astanti perplessi leggono: «B. Dexter, autore del Cavaliere solitario di Santa Fé». «Tutto qui?» pensa Rollo Martins: questo fanno gli scrittori lodati e celebrati più di me? L’imbarazzo di Rollo Martins – nel film si chiama Holly, alle orecchie dell’attore Joseph Cotten “Rollo” suonava effeminato – finisce con l’irruzione della polizia militare.

Sa che sono sulle sue tracce, da un po’ va in giro a far domande sull’amico Harry Lime, ufficialmente seppellito pochi giorni prima al cimitero di Vienna. Il terreno era così gelato per spaccarlo avevano usato trapani elettrici. Questa la scintilla che diede avvio al romanzo, scrive Graham Greene: un uomo che dopo il suo funerale viene visto tra la folla dello Strand. Il resto era da inventare.

I romanzi di Graham Greene – non importa loro collocazione geografica – sono tutti ambientati a “Greeneland”: un territorio politicamente instabile con un passato migliore, se non glorioso, corredato da un intreccio di complicanze morali e cupaggini esistenziali.

La Vienna del 1948 – quattro settori controllati da americani, russi, francesi e inglesi – era perfetta senza bisogno di ritocchi o esagerazioni. Alcool per consolarsi nei locali notturni orientaleggianti, e qualche ragazza.

Rollo Martins in materia ha la sua nonchalance: «Declassava le donne a ‘incidenti’ che capitavano senza che lui ci mettesse un briciolo di volontà, più o meno come le catastrofi naturali appaiono agli occhi di un assicuratore».

Rollo Martins era stato convocato da Harry Lime per scrivere articoli sugli aiuti ai rifugiati. Arriva a Vienna poco prima del funerale (a casa dell’amico, conosciuto fin dai tempi della scuola, trova un nastro nero sulla maniglia).

Investito da una macchina, gli dicono. La ricostruzione non lo convince, comincia a interrogare i pochi testimoni. Al funerale conosce il colonnello Calloway, qui in veste di narratore che garantisce di non avere inventato neanche una battuta.

Nel film di Carol Reed, Harry Lime appare dopo che per tre quarti d’ora tutti hanno solo parlato di lui. Orson Welles non poteva desiderare ruolo più lusinghiero (e un regista bravo come Carol Reed che non cede ai flashback).

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Nel romanzo, ha la sua grande entrata a pagina 131 (ne mancano 30 alla fine). Rollo Martins scorge un uomo in strada, potrebbe essere una spia della polizia, o qualcuno che lo segue perché si impiccia di affari delicati. In un appartamento qualcuno apre una tenda; «Il fascio di luce che cadde nella stradina illuminò i lineamenti di Harry Lime».

L’eccelsa bravura di Graham Greene fa sparire quasi subito il redivivo Lime, di cui solo più avanti conosceremo il cinismo e le malefatte. Vienna in rovina sotto la ruota del Prater appare ancora più cupa dopo una visita nel sottosuolo.

Giù nelle fogne, che a Rollo Martins si mostrano con acque più limpide del fangoso Danubio. Un altro elemento che contribuisce al disegno di Greeneland. Un altro scenario che Graham Greene (dopo averlo scoperto per caso) racconta sulla pagina come se ci avesse vissuto un bel pezzo di vita.

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