Abbiamo visto “ Manifesto “ diretto da Julian Rosefeldt.

con Cate Blanchett, Erika Bauer, Carl Dietrich. Genere Storico/Drammatico – Australia, Germania, 2015, durata 94 minuti. Uscita cinema 23 Ottobre 2017. Distribuito da I Wonder Pictures.

In una Berlino siderale, Cate Blanchett interpreta alcuni monologhi ispirati dai manifesti artistici del Novecento.

“ Per pubblicare un manifesto devi voler che A, B e C si scagli contro 1, 2 e 3; devi infuriarti di colpo e affiliare le tue ali per conquistare e disseminare piccoli abc e grandi ABC. Firmare, urlare, imprecare, provare il tuo non plus ultra, organizzare la prosa in una forma di assoluta e inconfutabile evidenza…

Io sono contro l’azione, io sono per la continua contraddizione, e anche per l’affermazione.

Non sono né pro né contro e non spiego perché odio il buon senso.

Sto scrivendo un manifesto perché non ho nulla da dire.

Così inizia Manifesto, con le parole di Philippe Soupault scritte nel 1920, fondatore con Louis Aragon e André Breton della rivista Littérature oltre che compartecipe con Tristan Tzara del movimento dadaista. Sin dalle prime immagini ci si rende conto dell’autorevolezza di questa docu-fiction, di questo sfoggio di cultura che impegna lo spettatore, per tutti i 94 minuti, lo costringe a non lasciarsi mai andare e a restare sempre concentrato per non perdere momenti di cultura alta e di analisi politica importante del Novecento. Perché Manifesto è un omaggio alla tradizione e all’importanza dei manifesti artistici e politici di oltre un secolo fa, e si pone delle domande sulla funzione dell’artista nella società di un tempo ma soprattutto di oggi; ma anche al normale cittadino di questi anni, partendo dal Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, per poi passare a quello del Situazionismo ( dal John Reed Club del 1932 fino a Guy Debord degli Anni Sessanta ), per passare al Futurismo da Marinetti, Balla, Apollinaire e al cinema di Dziga Vertov, all’Architettura ( Lavoratrice in un inceneritore ) di Bruno Taut, al Vorticismo-Astrattismo-Espressionismo di Kandisky e Lewis fino a giungere all’epilogo del Manifesto cinematografico Dogma 95 di von Trier e Vinteberg. Tredici Manifesti con scenari differenti e con monologhi intensi tutti interpretati dalla spettacolare attrice Cate Blanchett, che impersona ruoli totalmente differenti, dall’homeless che ci parla di marxismo, alla vedova ad un funerale che recita testi dadaisti, ad una maestra che insegna Cinema a dei bambini raccontando di come si realizza l’immagine attraverso Godard e von Trier, fino a recitare-cantare come se fossimo davanti ad un brano musicale di Stockhausen.

 

Una sfida culturale in un docu-fiction di enorme qualità ma anche eccessiva quantità.

Julian Rosefeldt ( artista e regista tedesco, le cui installazioni vanno in stile dal documentario alla narrativa teatrale ) attinge sapientemente agli scritti di futuristi, dadaisti, suprematisti, situazionisti, artisti del Surrealismo, del Flexus e del Dogma 95, riflette marxisticamente sul declino della nostra società e analizza attraverso artisti, architetti, ballerini, registi, sullo stato delle cose oggi; riprendendo le idee di Clars Oldenburg, Andrè Breton, Sol LeWitt, Jim Jarmusch, Yvonne Rainer e di molti altri. Porta in scena in modo leggero e sontuoso allo stesso tempo, intellettuale e forse troppo ricco anche per chi ha un buon bagaglio culturale, questi “ nuovi manifesti “ come una chiamata alle armi per chi non ha rinunciato alla cultura, al confronto e alla ribellione contro la melassa malsana, analfabeta e autoritaria in cui viviamo da questo inizio di secolo; espone a volte sanamente con eccesso di rabbia giovanile ma che mostra il desiderio onesto di voler cambiare questo mondo attraverso l’arte e la cultura, analizzando anche come sono cambiate in questi ultimi decenni le dinamiche tra vita, arte e politica. Dicevamo però, forse c’è troppo e lo spettatore dovrebbe lasciarsi andare senza soffermarsi su una frase o su un’analisi di un testo, ma ogni argomentazione è così apparentemente vitale e generosa che meriterebbe qualche secondo di attenzione in più e c’è il rischio di perdersi tra parole così necessarie.

 

Una Cate Blachett perfetta rende omaggio alla tradizione e alla necessità artistica del Novecento

In una Berlino quasi in bianco e nero, algida e desolata ( ben fotografata da Christoph Krauss ), si aggira, come una macchia di colore, la bravissima Cate Blanchett che impersonando ruoli contrapposti infonde un velo di speranza in chi non si è arreso e rende più vere possibili parole tratte dai manifesti del secolo scorso e le enuncia con naturalezza prendendole dai contesti più inaspettati. Ciò che dimostra ancora di più la sua bravura è l’esprimere con naturalezza e senza alcuna pesantezza l’enorme quantità di testo da recitare, e rende i diversi accenti, la fisicità ( donna, uomo, giovane e anziano, colto e ignorante con i relativi back ground ) con una leggerezza che la rende un’attrice particolare e quasi unica.

Ottima l’idea di regia di Julian Rosefeldt che ha iniziato a sviluppare il progetto attraverso la ricerca e l’analisi di un assortimento di manifesti testuali, a partire da Marx e da Engels con Il Manifesto comunista, al manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti, alla citazione del libro del regista Jim Jarmusch Regole d’oro del cinema. Rosefeldt ha selezionato circa 60 manifesti che ” ha scoperto essere i più affascinanti e li ha scelti perché si adattano a vicenda. Ha dichiarato che l’idea principale del progetto era quello di avere una donna che incarnasse i manifesti.

VI lasciamo con una frase citata nel film: l’arte richiede verità, non sincerità ( Kazimir Malevich, 1916 )

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