Abbiamo visto Miracolo a Le Havre diretto da Aki Kaurismaki.
Tra i director’s che meritano l’appellativo di Maestro c’è sicuramente Kaurismaki, autore finlandese cinquantenne, che vive tra Oporto e il suo Paese d’origine; di talento puro, dal racconto semplice, dal tono leggero e spesso surreale, dai dialoghi essenziali se non assenti in alcuni casi. Con un certo istinto potremmo dire che ha dei debiti narrativi col primo Vittorio De Sica (quello di Ladri di biciclette e di Miracolo a Milano). Regista di culto ma soprattutto originale e prezioso scrittore di Cinema-Cinema, ha una leggerezza di tratto, una eleganza semplicissima, una rigorosità nel racconto dove esistenza, naturalezza e ‘politica’ si coniugano con la semplicità dei proletari di un tempo. Ma le sue storie sono soprattutto un insieme di ironia, irriverente sovversione, pessimismo e in fondo anche romanticismo; produce storie in cui crea universi identificabili, dai tratti retrò e popolato da emarginati, da perdenti e da bizzarri rocker (in quest’ultimo c’è il fantastico Little Bob, interpretato da Roberto Piazza: un incrocio tra Little Tony e Bruno Lauzi).

Aki Kaurismaki dopo una serie di esperienze con il fratello, nel 1987 realizza il suo primo lungometraggio: Amleto nel mondo degli affari, il film che lo fa conoscere in Europa è l’originale Ho affittato un killer con il mito nouvelle vague Jean-Pierre Léaud. C’è da parte nostra il consiglio di vedere film come Nuvole in viaggio, L’uomo senza passato e il potente e straziante Le luci della sera. Adesso, dopo cinque anni di assenza (ne sentivamo la mancanza e attendevamo questo film con impazienza), Kaurismaki si presenta con un film-quasi-favola, ambientato in un luogo senza tempo, con il pretesto di raccontare l’immigrazione clandestina e le persecuzioni quasi razziali nei loro confronti e con un finale a metà tra Le onde del destino e un ‘causa-effetto’ buddista. In italiano lo hanno intitolato Miracolo a Le Havre (chissà poi perché), ma in tutto il resto del mondo è solo “Le Havre” (città del blues e del soul e del rock’in’roll, come sostiene Aki).

Nella città portuale di Le Havre vive l’anziano Marcel Marx (l’attore francese Andrè Wilms), continua a fare il lustrascarpe e vive in una modesta casa nella zona del porto con la moglie Arletty e la dolce cagnetta Laika. La mattina esce con il suo cassettino di legno e va alla stazione dove passa il giorno guardando le scarpe dei passanti e pulendone qualcuna, poi passa al bar del suo quartiere per bere un bicchiere di vino e parlare con Claire, l’anziana proprietaria, vedova e amica di famiglia, una di quelle donne che ne hanno viste tante nella vita e non si stupiscono più di nulla (una tenera e dolce Elina Salo). D’un tratto nella vita di Marcel (chissà se è una casualità che i nomi Marcel e Arletty siano gli stessi dei due attori protagonisti del capolavoro di Marcel Carnè Lea amants du paradis, 1944) subentra il caso, due fatti di senso opposto, ad Arletty diagnosticano un tumore maligno e deve essere ricoverata in ospedale e l’incontro con un adolescente clandestino in tutti i sensi di nome Idrissa (bello e originale l’incontro). Mentre Arletty sta in ospedale, la vita di Marcel si riempie della presenza di questo ragazzetto silenzioso e buono che è ricercato dalla polizia neanche fosse un terrorista islamico. Naturalmente vengono in aiuto dei due i vicini di casa, la fornaia Ivette (Evelyne Didi), un altro clandestino lustrascarpe (Quoc-Dung Nguyenil), il fruttivendolo e naturalmente la barista. Intorno a loro circola il commissario Monet (l’ottimo Jean-Pierre Darroussin) paziente e solitario, una figura rassegnata dalla vita e ai margini di qualsiasi spazio esistenziale e un abitante delatore (un invecchiato Jean Pierre Leaud) che ricorda un po’ il Paolo Stoppa di Miracolo a Milano. Nel giro di due settimane il semplice e un po’ infantile (come lo definisce la moglie) Marcel riesce a contattare il nonno di Idrissa incarcerato come clandestino, sapere dove vive la madre, salvarlo dalla polizia e raccogliere i soldi sufficienti per far andare il ragazzino a Londra. La buona azione produce il miracolo, Arletty non è più malata. Sorprendente e originale la battuta tra il medico e Arletty in ospedale, il dottore sorridendo dice “Restano i miracoli” e la donna risponde “Non nel mio quartiere”, Miracolo a Le Havre è uno dei migliori film della stagione (assieme a “Una separazione” – secondo il nostro parere) con un finale ottimistico che questa volta non guasta e l’immagine ultima di un ciliegio in fiore favolistico; un Kaurismaki che conferma tutto il suo talento e a cui dobbiamo oltre a un cast di attori franco-finlandese di rara efficacia e concretezza anche un messaggio di speranza in cui ci dice che non esiste solo un modo di vedere il mondo, che un altro modo di vivere è possibile.

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