Tra i grandi epistolari della storia della letteratura non poteva mancare uno forse ai più misconosciuto ma, proprio per questo, d’autografa abbagliante bellezza. Se il triangolo di lettere tra Pasternak, la Cvetaeva e Rilke concede commozione e stupore, dobbiamo tuttavia annotare che appena ventitré lettere scritte tra il 1924 e il 1925 danno la caratura e la corrispondenza di un amore viscerale e sviscerato per la parola che ha appunto pochi eguali, soprattutto se si considera che i poeti in questione che diedero il via alla Correspondance furono la fragile e magnifica e magnetica Catherine Pozzi e uno tra i poeti assoluti di ogni tempo: Rainer Maria Rilke.

Del resto ‒ a titolo di cronaca, e mai di pettegolezzo ‒ Rilke non si sarebbe mai immaginato che l’amore segreto tra Paul Valéry e la Pozzi un giorno avrebbe potuto influenzare la sua opera. Rilke non poteva sapere che i testi di Valéry che avevano esercitato un’influenza determinante per la schiusa delle Elegie duinesi e dei Sonetti a Orfeo, erano stati forgiati nel fuoco di quella passione e ne portavano dappertutto l’impronta.

Dopo tutto, la promiscuità riguarda lo scriversi, intrecciarsi in amori segreti, disgiungendo lo sguardo, per portarlo altrove. Scriversi lettere ‒ ieri come ora ‒ ha un significato viscerale, atavico, estremo. La sacralità della persona, e di ciò che viene confidato, assurge a valore di patto forgiato nel fuoco. Molto probabilmente per questo motivo, un poeta non smetterà mai di tendere la mano a un suo coetaneo o meno, purché gli sia fratello. (Giorgio Anelli)

Rainer Maria Rilke a Catherine Pozzi

Bex (Vaud), Grand-Hôtel des Salines; 24 giugno 1924

Signora,

da un viaggio in auto che sto facendo con degli amici, sono tornato ieri per qualche ora a Muzot, a prendere la mia posta che avevo tralasciato; quanto sono stato ricompensato per questo ritorno, trovando lì la vostra lettera! Lasciate che vi dica che è deliziosa, e che la conserverò sempre tra le rarissime lettere che (nel nostro tempo) non bruciano all’istante ma durano nell’anima e che, una volta arrivate, restano, agiscono e aggiungono una presenza inesauribile nell’animo del destinatario.

Paul Valéry, lasciandomi quest’ordine che sono così felice di aver eseguito, non mi ha fatto capire abbastanza che la lingua tedesca vi è familiare; è quindi attraverso di voi che entra in contatto con il risultato del mio impegno come traduttore. Ma questo modo di entrare nella mia versione mi sembra tanto superiore a qualsiasi lettura che avrebbe potuto fare se avesse conosciuto la lingua; pensate che ogni successo che egli possa avere, gli sarà presentato dalla vostra intelligenza, illuminato dalla pura gioia del vostro consenso. No, Valéry non ha motivo di lamentarsi.

Mi trovereste indiscreto se osassi scrivervi più a lungo al mio ritorno? Se affretto queste poche righe, è perché (venendo a conoscenza della vostra intenzione di leggermi) vorrei impedirvi di fare il minimo passo per ottenere i miei libri: mi privereste del piacere di donarveli.

Tornato a Muzot, vi invierò le mie due recenti pubblicazioni (Si tratta delle Elegie duinesi e dei Sonetti a Orfeo, pubblicati nel 1923, ndr); per quanto riguarda le altre, quasi vi chiederei di aspettare l’edizione completa dei miei scritti che è in preparazione per il prossimo anno (Questa edizione è apparsa tre anni dopo: Gesammelte Werke, 6 vol., Leipzig, Insel-Verlag, 1927, ndr). La vostra lettera, cara Signora, mi permette d’iscrivervi ‒ in maiuscolo ‒ tra i pochi amici ai quali penso di offrire queste opere definitive.

Sarà per me motivo di speranza (avendo fede nella vita) incontrarvi un giorno!

La mia dedizione è pari alla mia gioiosa gratitudine.

R.M. Rilke

*

Chaterine Pozzi a Rainer Maria Rilke

123, rue de Longchamp, Paris; 25 giugno [1924]

Caro Signor Rilke,

volete scrivermi? Questo mi renderà orgogliosa, felice, e poi, mi farà bene. Esito a tracciare questa parola, perché la gentilezza non è altamente considerata, neanche il bene; ma voi siete troppo intelligente per preoccuparvi del discredito di questi termini. C’è nel modo in cui parlate, qualcosa di così diverso dalle altre lingue, un suono così profondo e così umano, che pare di trovarmi davanti uno dei maestri il cui pensiero ha formato il mio, senza saperlo.

Non so a quale mondo appartenete, ‒ è vero che vi siete rifugiato nel vostro castello hyper-cosmo e lì vivete senza dubbio finché volete ‒, ma ciò mi mette molto a disagio. Cosa può fare una persona illusa dallo Sturm und Drang, dalle ambizioni di un metafisico greco, e dall’orgoglio di un eretico del XIII secolo? È molto ridicolo e pochissimo parigino. Io sono oggetto di stupore per il vostro amico Valéry, e penso che sia attaccato a me come lo è per il bizzarro modello che non rivedrà mai più. Forse vi sorprenderò meno di quanto sorprenda lui, e suppongo che Muzot abbia molti esseri immaginari più complessi di me. Sarà quindi necessario che io attenda la realizzazione della bellissima promessa che mi avete appena fatto. Come ringraziarvi! State aprendo una finestra su un universo che non vedevo; mi state portando nei paesi dello spirito che preferisco, distraendomi dai contemporanei che mi stancano. Mi dovrebbero piacere, rappresentano la Parigi più luminosa e felice; ma non li capisco. Se vi farà piacere averne qualche idea, risponderò alle domande che vorreste farmi; è il mio unico modo per ringraziarvi di aver avuto tanta indulgenza e tanta grazia per me.

Incontrarvi? Non lo so. Mio fratello è un diplomatico a Monaco, ha diretto l’ambasciata per tutto l’inverno, con instancabile volontà e pazienza per rafforzare i rapporti tra gli sfortunati paesi che dovrebbero comprendersi. So che vi ammira. Forse andrò a trovarlo questo autunno, e poi tornerei passando per l’Italia, il che mi farebbe arrivare molto vicino a voi. ‒ È molto tardi e se questo foglio fosse più grande, continuerei. Vedete, caro Signore, quale minuscola scrittrice di lettere avete chiamato. Se vi avessi scritto in tedesco, sarei stata più sobria: ma nulla mi convincerà a confrontare il mio patois al vostro francese!

Addio, io non dimenticherò che mi avete teso la mano.

Catherine Pozzi

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