Abbiamo visto “ Ritorno a L’Avana “ regia di Laurent Cantet.
Cantet è un regista molto interessante e di grande talento, si parla poco di lui perché è un personaggio riservato e fa film impegnativi per il gran pubblico. Il suo primo cortometraggio è stato Tous à la manif per cui ha vinto il Premio Jean Vigo; il suo primo lungometraggio è stato Risorse Umane ( sui cambiamenti sociali, la fine delle ideologie e lo scontro tra due generazioni quella di un padre e un figlio con due manzioni differenti nella stessa fabbrica ), per cui vince numerosi premi fra cui il Premio César per la migliore opera prima. Nel 2008 realizza La classe – Entre les murs ( in stile quasi documentaristico racconta di un anno scolastico all’interno di una classe di un liceo ), viene premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes. Oggi realizza Ritorno a L’Avana, forse il suo film minore, ma comunque solido, interessante e ben fatto, anche se storie del genere ricalcano a forza dei clichè prevedibili: felicità nel ritrovarsi da parte di cinque amici tra i cinquanta e i sessanta dopo vari anni, ricordi che riemergono da un passato giovanile fatti di grandi speranze, poi le prime scaramucce, i rimproveri e gli svelamenti finali che non fanno altro che confermare purtoppo solo che gli anni sono passati, le speranze della giovinezza si sono frantumate e il bilancio della vita è fatto di malinconie, rabbie e rimpianti. E l’alba che sorge li vede semiaddormentati o di spalle, annichiliti e senza futuro. Sulla falsa riga de La Terrazza di Scola o Come eravamo di Pollack o Il Grande freddo di Kasdan, ma dei tre film, Cantet evita l’autoreferenzialità del primo, la nostalgia canaglia del secondo e scarta il glamour hollywoodiano del terzo. A questo aggiungete che i protagonisti sono cubani, che hanno creduto nei valori della rivoluzione, che sono stati intellettuali che non si sono genuflessi al potere, e che adesso hanno perso con la gioventù e col fallimento professionale tutti quegli ideali di una vita migliore mentre le loro esistenze sono costrette anche a vivere in semipovertà, dovuto anche all’embargo americano che dura da più di quarantanni, ed ecco il film. Insomma una rimpatriata che dura tutta una serata e una notte su una terrazza di Habana di cinque amici ( tre uomini e una donna: Amadeo, Eddie, Aldo, Tania, Rafa: Jorge Perugorria, Pedro Julio Diaz Ferran, Isabel Santos, Fernando Hechavarría, Néstor Jiménez – tutti molto bravi e convincenti forse un po’ rovinati da un doppiaggio standard e troppo pulito ) che riaccolgono un loro vecchio amico che torna dalla Spagna dopo sedici anni. Amicizie lunghe ma in fondo fragili, fatte anche di silenzi e nostalgia, rimorsi e ricordi oltre un sentire politico ormai sbiadito e differenziato. E intorno a questa terrazza altre terrazze, altre vite sicuramente ancor meno rappresentative di ideali e di futuro, in una si squarta un maiale, in un’altra qualcuno sente la musica rock a tutto volume, in altre si festeggia la vittoria della squadra di calcio locale. Mentre la generazione giovane si sbraca per le viuzze e sogna solo la fuga verso gli Stati Uniti e la sua società opulenta.
Tratto dal romanzo Le Palmiere et L’Etoile dello scrittore cubano Leonardo Padura che ha anche scritto la sceneggiatura con Cantet è un film che è una rappresentazione teatrale ( ma di questo Cantet ne ha coscienza ed anzi dichiara: La teatralità la riconosco senza problemi, è una cosa che mi piace e ricerco al cinema. Amo ascoltare dialoghi ben strutturati tra i personaggi. Inoltre volevo restare sempre molto vicino a loro con la macchina da presa, senza che ci fossero troppe deviazioni o distrazioni, e questo non avrei potuto farlo con un storia che si fosse svolta in un lasso di tempo più lungo magari con degli incontri per strada o in spiaggia ) e in cui la storia corale è fatta di affronti e scontri personali, di sguardi, di parole a volte chiare, a volte vitali, a volte impastate da troppe cose. Cantet ha voluto concentrare in questi rapporti, oltre che affettivi, emotivi, gli elementi di un gruppo, e ce li presenta con realismo e senza alcuna mitizzazione, cercando soprattutto verità, sincerità e il valore del privato. Ed ha scelto il punto di vista forse meno fascinoso e più difficile e amaro: quello della generazione nata con la rivoluzione e cresciuta anche nel disincanto degli anni Ottanta e Novanta, nel periodo della fine dei veri valori di una rivoluzione e quindi nel crollo dei sogni e dei valori del socialismo ( si citano anche le guerre africane fatte dall’esercito cubano in Angola e Monzambico per sostenere i governi socialisti ma anche il punto di maggiore disillusione vista da uno di loro che ha assistito, nonostante la guerra, all’arricchimento dei genereali cubani ). Il film doveva essere un cortometraggio da inserire nel film Sette giorni a L’Avana, ma poi durante la scrittura abbiamo capito che su questa terrazza avremmo potuto passarci tranquillamente un’ora e mezza senza annoiarci, hanno dichiarato Cantet e Padura.

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