Scrivere di “The Young Pope”, l’ultima opera di Sorrentino, non è semplice e può non sembrare tempestivo perché se ne sono viste solo 2 puntate su 10. Ma la serie è serie, come diceva Totò,ed è serio anche parlarne subito.

Non è semplice invece non per merito di Aldo Grasso, che l’ha già recensita secondo i soliti canoni del bastian contrario occasionale che finge d’aver capito ma rimanda comunque come sempre a lui stesso, bensì per colpa di Maurizio Crozza che nella sua imitazione di Sorrentino-Sonlentino aveva già detto tutto prima che andasse in onda, ieri sera su Sky.

 Ma se basta qualche minuto di imitazione non solo stupendamente fisiognomicistica ma essenzialmente concettuale di Crozza per riassumerlo perfettamente, allora non tira una bell’aria artistico-professionale per il nostro ultimo premio Oscar. Dopo i memorabili “Le conseguenze dell’amore” e “Il Divo”, grandi film sia pure per ragioni diverse ma con un unico forte motore artistico, adesso il cognome universalmente noto di Paolo ristagna in un diminutivo.

PAOLO SORRENTINO PAOLO SORRENTINO

Alla Crozza, Sorrentino stacca qua e ristacca là, alterna piani di serietà e cazzeggio nei dialoghi, non è neppure vero che manchi di trama (negli ultimi tempi l’accusa più insistente mossa al suo cinema) perché il tutto rientra comunque in una “storia”, che è altra cosa e contiene anche l’apparente o reale mancanza di trama. In definitiva Sorrentino come fa da tempo gioca con le immagini da regista di gran valore, alias superbo responsabile della fotografia, e si limita a giustificarle in un tripudio di stacchi più o meno armonizzati con tutto il resto.

Facilitato in questo dal set storico, spazial-temporale, del  Vaticano, che parla da solo e a tutti, e dalla bravura degli attori. Ma ciò che si dice nelle scene e noi ascoltiamo, intelligente oppure no, ironico oppure scadente, significativo o appiccicato, conta nulla, è solo una didascalia alle immagini che evidentemente deve essere considerata ancora indispensabile per un film (“La Grande Bellezza”, come “Youth”) o per una serie tv. E’ ormai diventato, Paolo nostro, un epidermico visionario o televisionario professionista. E basta.

Gioca, come fa dire al giovane Papa, in un miscuglio di cielo e terra, fede e gossip (è mancata la citazione di Dagospia ma non dispero, ci sono ancora 8 puntate…), e in questo è uno strepitoso “contemporaneo” che vende bene, se se la comprano, la sua merce. Ma è questo un artista oggi, questo soltanto, specie un artista ai vertici della sua specializzazione? Credo di no.

Si pone qui forse la stessa questione che vale in altro modo -leggermente più mondano nel senso di terreno- per Gomorra la serie: un intellettuale (Saviano e compagnia cantante e girante le puntate) o un “creatore” (Sorrentino, nella dizione iniziale del “creato e diretto” da…), hanno qualche relazione con il mondo in cui producono e teledistribuiscono le loro opere? Oppure vendere e “giocare” esauriscono la loro funzione?

Altrimenti detto, e per un paragone più coerente: l’estetica di Sorrentino applicata superficialmente a Papa e Chiesa lascia molto più vuoti anche se più divertiti dell’etica anticipatrice di Moretti con il suo Papa dimissionario che ti colpiva.

THE YOUNG POPE THE YOUNG POPE

Dietro la seconda c’è una visione del mondo, indipendentemente dal valore intrinseco del film, dietro la prima c’è un’ autosoddisfazione professionale da narciso sbilenco, leggermente onanistico, una televisione del mondo senza assunzione di responsabilità.E se ne “La Grande Bellezza” era la società in disfacimento qui, con il Papa, specie di questi tempi, forse c’è in discussione dell’altro, che non sia puro maneggio ludico.

E’ vero, quello che ormai fa Sorrentino si può leggere come testimonianza di quest’epoca vuota, “senza trama”, ma rimarrebbe appunto la storia anche se con la minuscola. E’ la differenza tra chi fotografa uno scempio e chi cerca di evitarlo. Non è una differenza trascurabile…

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