Abbiamo visto “Tornando a casa per Natale ( Hjem til jul ) regia di Bent Hamer.
Giunge sugli schermi italiani questo film intimista, malinconico e asciutto, che racconta di sei piccole storie marginali nella cittadina norvegese di Skogli durante la notte di Natale. Neve dappertutto, silenzi, vite solitarie con lo sfondo di qualche albero natalizio e di un piccolo presepe cittadino a cui qualcuno ruba il Bambin Gesù e un ubriaco ci si sdraia dentro per dormire. Sei storie tratte dal libro di racconti “ Bare mjuke pakker under treet “ scritti da Levi Henriksen. Un film corale ma tutto un po’ già visto,; sia quei luoghi lontani che le storie. Henriksen non è Carver e Hamer non è Altman e questo film non è “ America oggi “. A sua difesa però vorremmo aggiungere che avendo come ‘ competitor regionali ‘ registi come Lars von Triers o Aki Kaurismaki, il compito di essere originali è arduo.
Il film inizia durante la guerra civile/etnica nella ex Jugoslavia ( l’unica parte del tutto inventata da Hamer ), un bambino scappa di casa per procurarsi un albero di Natale, la madre lo cerca e lo trova mentre un cecchino li osserva dall’alto con un fucile puntato. Sparerà ? Lo sapremo solo alla fine del film, e con un piccolo colpo di scena. Una virata di montaggio ci porta a Skogli, in Norvegia, la sera prima di Natale. Sei storie separate ma che si sfiorano e due di queste diventano speculari ( un medico che fa partorire dei novelli Giuseppe e Maria in una baita e che prende il coraggio di un desiderio da troppo tempo inespresso ).
Nella sera di Natale c’è un uomo che si lamenta perché la moglie, da cui è separato, non gli fa vedere i figli da sette settimane e allora si traveste da Babbo Natale e si presenta da loro per poterli abbracciare, ma i bambini non lo riconoscono. C’è un barbone di nome Jordan che ha deciso di tornare nella sua città dopo tanti anni: è stato un campione sportivo molti anni prima ma all’improvviso… C’è un anziano che vuole portare sua moglie dal primo piano della casa al pian terreno e dopo molte difficoltà ci riesce. C’è Paul, un adolescente innamorato di una sua coetanea mussulmana e per trascorrere quella sera con lei nasconde la sua religione. C’è un medico che anche la sera di Natale deve lavorare e vedrà la moglie dopo mezzanotte, ma l’esperienza di un parto clandestino lo convincerà a fare con la moglie quel figlio che sempre ha desiderato ma rinviato per poche ragioni e molte insicurezze. C’è una mussulmana kossovara e il suo compagno serbo che sono scappati dalla ex jugoslavia perché non riuscivano a stare assieme per motivi etnici e religiosi e si trovano a mezza strada dalla mèta senza automobile e con pochi soldi. C’è una donna che comprende proprio quella sera che il suo amante non lascerà mai la moglie e i figli e allora, disperata, si presenta in chiesa e si siede accanto alla moglie dell’uomo. In tutta questa desolazione, accentuata dalle distese innevate, c’è un finale speranzoso in uno scenario suggestivo.
La sera di Natale siamo tutti più soli e le contraddizioni di una vita sono come i nodi che vengono al pettine. Bisogna prendere delle decisioni o almeno non rinviarle più. Sembra questo il messaggio che ci vuole dare Hamer in questo suo quarto film. Il regista norvegese ( “ Kitchen Stories “- film originale, folle e anche un po’ noioso; “ Il mondo di Horten “ – un film simile all’odierno, sulla solitudine degli esseri umani; “ Factotum “ – girato negli Stati Uniti e tratto dall’omonimo libro di Bukowski ) è molto accurato nelle ricostruzioni psicologiche e si vede che pondera molto le storie prosciugandole da qualsiasi rischio di ridondanza.
Il film è stato presentato al Toronto International Film festival e al San Sebastian International film Festival.

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