Abbiamo visto “ Viva la Libertà “ regia di Roberto Andò.
Sin dagli Anni Sessanta del secolo scorso, i generi del cinema italiano che hanno dato un timbro nobile e riconoscibile nel mondo sono stati la commedia e il cinema politico ( “ Il sorpasso “, “ Una vita difficile “ da un lato e “ La classe operia va in Paradiso “ e “ Todo Modo “ dall’altro sono i simboli di questi due generi ). Hanno tentato poi di coniugare i due ‘ temi ‘ con alterne fortune come con “ Detenuto in attesa di giudizio “, “ Colpire al cuore “ o “ Il portaborse “ ad esempio. L’unico autore innovativo e originale – che ai due generi ha aggiunto iperbole, grottesco e fantastico è stato Sorrentino con “ Il Divo “.
Adesso ci prova dopo parecchio tempo il regista cinquantenne Roberto Andò, un autore difficilmente collocabile, dall’impronta autorale e un po’ troppo intellettuale, con alle spalle soltanto tre film “ Il manoscritto del Principe “ sull’ultimo periodo di vita di Tomasi di Lampedusa, il noir “ Sotto falso nome “e il drammatico-psicologico “ Viaggio segreto “; nel frattempo tanti documentari e regie teatrali di opere di Harold Pinter. Il regista, con “ Viva la libertà “, invece di cercare nuove vie o ‘ dissacrare ‘ un po’ il cinema corretto e orizzontale del genere, ha seguito con una struttura rigida, interna, prevedibile e poco comunicativa – se non per quegli spettatori che condividono appieno le sue perplessità sulla classe dirigente della sinistra italiana – una storia che aveva bisogno di maggiore coraggio politico e invece ha ‘ sciupato ‘ il piccolo escamotage iniziale restando serissimo ed anche un po’ maramaldeggiando su frasi ad effetto e su semplicistiche analisi comunicative – questo sì distanti dal pubblico medio. In “ Viva la libertà “ ci sono dirigenti politici presi dagli anni Sessanta, esteriormente più simili alla vecchia D.C dei Moro e dei Forlani passati alla storia anche per grigiore, rigidità e solitudine piuttosto che a quelli di oggi, fracassoni, zii indegni, distanti nonostante tutto dal sentire reale. Eppure ‘ lo spunto ‘ da commedia dell’arte ( che tanto Cinema americano ci ha rubacchiato, “ Dave – Il Presidente americano “ del 2007 è praticamente lo stesso film ) poteva ancora funzionare ( due maschere: due gemelli, uno leader del PD, l’altro professore di filosofia finito in manicomio. Due facce della stessa medaglia che non si vedono da venticinque anni e la cui frattura è stata anche una stessa fidanzata francese ) se si fosse spinto sul grottesco ed invece la trovata iniziale è fine a se stessa per poi seguire due vite parallele in cui chi sostituisce il segretario del partito di sinistra sembra più Harry il giardiniere che non Berlinguer mentre dell’altra storia ambientata su un set in Francia veramente non può che lasciarci indifferenti e poco complici. Ed anche il finale intellettualmente scelto sa più di falso ideologico che non di ritrovata ideologia. Insomma il regista ha scelto una chiave drammatica, forse perché connaturata nel suo vedere il cinema, ma ha realizzato un film ‘ carino ‘, ‘ corretto ‘ e risolto politicamente in modo ‘ banale ‘: può una frase alla Harry il giardiniere ( Oltre il Girdino ) o una citazione filosofica, o un haiku zen o dire una poesia di Brecht portare un partito dal 17 per cento al sessantotto per cento de voti ?
Enrico Olivieri ( Un bravo ma sempre più stilizzato e uguale a se stesso Toni Sevillo ) è il segretario del maggiore partito d’opposizione, è un uomo grigio, ricurvo in sè, ai limiti della depressione e ai minimi indici di gradimento anche tra i suoi dirigenti. Una sera, senza dire nulla, nemmeno al suo fedelissimo segretario, esce di casa e parte. Si presenta a casa di Danielle, una sua vecchia fiamma, che vive a Parigi dopo venticinque anni e si fa accogliere anche se lei è sposata con un grande regista di origini indocinesi ed ha una bambina che sembra avere vent’anni per intuizione e maturità. Nel frattempo il segretario Bottini ( un bravo Valerio Mastandrea – ma bisognerebbe dirgli che le persone serie non sono sempre seriose e vittime per forza, possono anche sbuffare una volta o urlare e con questo non vuol dire essere esagitati ) non sa che fare e si inventa che Enrico Olivieri ha bisogno di qualche giorno di riposo. Ma non è sufficiente, tutti chiedono di lui, anche il Presidente della Repubblica. Allora si confida con la moglie di Enrico appena tornata dalla Cina e viene a sapere che il suo segretario ha un fratello gemello, ex professore di filosofia, affetto da una depressione bipolare, appena uscito da una clinica psichiatrica. Lo va a trovare e gli propone di sostituire Enrico per qualche giorno, il gemello Giovanni nonostante rancori verso il fratello accetta quasi fosse un gioco o forse anche per vendicarsi.
E la storia si sviluppa su due binari paralleli, nel primo il filosofo matto e fuori dagli schemi riesce con la sua genialità a spiazzare tutti gli avversari politici con frasi provocatorie ma molto efficaci, riesce perfino a convincere il Presidente della Repubbblica sparendo dalla sala in cui sono in conciliabolo. La ventata d’aria nuova che Giovanni introduce nella segreteria del partito, con i giornalisti e nei comizi è energetica: un new deal della speranza nasce nel popolo fiaccato di sinistra, ma anche nella maggioranza del Paese. La seconda storia si sviluppa a Parigi, dove Enrico – dopo qualche giorno in cui non esce nemmemo dalla stanza in cui è ospite – decide di seguire l’amica su un set di un film nella provincia francese e lì diventa anche attrezzista nella troupe, fa conquiste amorose di giovani ragazze; insomma non diventa regista come avrebbe voluto Veltroni ma trova la serenità e un equilibrio psichico. Insomma Politica e Cinema come due altri binari paralleli ( o come le convergenze parallele di Aldo Moro ? )
Un film che avrebbe avuto bisogno della regia di un Ernst Lubitsch o di un Charlie Chaplin o del miglior Benigni e invece Andò è solo un discreto regista, troppo intellettuale per rendere la farsa e non troppo autorale per rendere il dramma nelle varie sfaccettature, produce un film decoroso, guardabile ma sicuramente non memorabile. Agli interni algidi di casa Olivieri e a quelli borghesi e alla moda della casa di Parigi ci verrebbe voglia di richiamare il Cioni Mario di Benigni. Comunque in questi tempi di quaresima possiamo anche consigliarlo.

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