Abbiamo visto “ Whiplash “ regia di Damien Chazelle.

E’ nato un grande regista ed ha appena compiuto trent’anni. Se riuscirà a non cadere in alcune inverosimiglianze e a non usare degli effluvi stilistici per raggiungere più rapidamente l’obiettivo narrativo che si è prefissato allora diventerà un autore necessario. Amante della musica e soprattutto del jazz, dopo la regia di Guy e Madeline su una panchina del 2009 ( un musical jazz in stile vérité con performance dal vivo di brani jazz e di danza tap ), nel 2014 realizza Whiplash, un film dal racconto innovativo e originale e dalla regia perfetta, anche se narrativamente ci sono dei ‘ trucchi ‘ di cui può fare a meno per conservare genuinità e sincerità. Un film riuscito, tanto che con budget bassissimo è riuscito ad ottenere molti premi dal Sundance per il miglior film, al Golden Globe per il miglior attore non protagonista, al British Academy Film Award per il miglior attore protagonista, e poi premi per la colonna sonora, per il montaggio fino alle cinque nomination all’Oscar tra cui migliore film e migliore sceneggiatura non originale.

La storia si sviluppa sulla voglia di Andrew ( un bravo Miles Teller ), di diventare il miglior batterista jazz di un prestigioso conservatorio di New York: un diciannovenne che vive solo per la musica e quindi si isola al punto di lasciare anche la ragazza che lo ama perché non riuscirebbe a frequentarla assiduamente. Del rapporto tra lui assai talentuoso e il professore ( un bravissimo J.K. Simmons, visto spesso in telefilm polizieschi ) che cerca negli alunni la perfezione e cita spesso l’episodio capitato ad un giovane Charlie Parker, che forse non sarebbe mai diventato il Parker, «Bird», se Jo Jones non gli avesse scagliato addosso un piatto della batteria al termine di una performance mediocre. Infatti il professore, alla ricerca di un nuovo genio musicale nella sua classe, urla, strepita, lancia piatti, leggii, sedie, tutto ciò che gli capita a tiro e arriva a far sanguinare le mani degli aspiranti batteristi prima di sceglierne uno come il migliore per l’orchestra. Insomma tra il professore e l’allievo si crea un non rapporto su basi così sadiche che, come ha scritto qualcuno, ricorda il Kubrick di Full Metal Jacket. Sembra il tutto molto americano e funzionale alla storia, invece il regista dichiara che è una storia autobiografica “ A diciannove anni, l’età di Andrew, ero un batterista, anche se muovevo i primi passi nella regia. La storia del film si concentra su un periodo che per me è stato appena precedente, agli anni delle superiori, i più intensi per me come musicista. Suonavo in questa big band con un insegnante di primo livello, e la competizione era altissima. Oggi ho più che altro ritirato le bacchette, ma il film è stato un tentativo di tornare a quella fase della mia vita con un po’ di oggettività “.

Andrew è un ragazzo che vuole diventare un grande musicista jazz e cerca di farsi notare dal professore della più prestigiosa scuola di musica di New York. E benché sia solo al primo anno viene notato quasi subito da Terence Fletcher, il durissimo e rigorosissimo insegnante, che lo vuole nella band della scuola. Andrew, nonostante si mostri freddo e distaccato, è eccitato da questa possibilità, ma non può prevedere che tutte le prove saranno durissime, con esercizi che lo lasceranno sfinito, sanguinante e a volte umiliato e sostituito, come nessuno potrebbe pensare possibile. Infatti le richieste di standard del professore sono altissimi, privi di soddisfazione, quasi alienanti. Al punto che nella vita di Andrew ad un certo punto non può che esserci la musica e tutto il resto è quasi costretto a lasciarselo scivolare via.  E alla fine, naturalmente riuscirà a farcela ma in un improbabile finale in cui in un concerto con la band, dopo dei gravi errori che gli fa commettere il professore per una vendetta postuma, prende in mano la situazione e fa un assolo che solo al cinema può essere consentito.

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