Abbiamo letto “ La vita davanti a sé “ scritto da Romain Gary.

La Biblioteca Neri Pozza è diventata una garanzia per letture alte, creative,  intense e a volte dolorose. Fuori dai canoni angusti delle pubblicazioni italiane, lontani dal banale racconto, alcune perle che sfiorano il capolavoro e quando non lo sono è letteratura ( non narrativa ) di grande scrittura e di profonda riflessione umana ed esistenziale .  Negli ultimi tempi abbiamo letto tra gli altri “ Shantaram “ di Gregory David Roberts, “ La ragazza dall’orecchino di perla “ di Chevalier Tracy,  “ La cura Schopenhauer “ e “ Le lacrime di Nietzsche “ di Irvin Yalom e adesso “ La vita davanti a sé “ di Gary, e possiamo dirvi senza alcun dubbio di smentita che sono delle perle preziose: chi scrive è oramai un lettore stanco, a volte pigro, dai pensieri sgualciti, e purtroppo si annoia spesso.  Quindi un grazie al direttore editoriale Giuseppe Russo e ai suoi collaboratori, un grazie all’editore Neri Pozza ( ci ha lasciati venticinque anni fa ), è stato un partigiano, uno scrittore, un poeta, un incisore e un collezionista d’arte contemporanea.

Ma prima di raccontarvi questo commovente, buffo, ironico romanzo, privo di una vera trama e raccontato per flussi costanti, storie che si sovrappongono, una specie di ” Stream of Consciousness “di cèliniana memoria tanto per restare tra scrittori francesi, vogliamo parlarvi dell’autore di questo romanzo.  Romain Gary, nato a Vilnius in Lituania nel 1914 e vissuto a Parigi fino alla sua morte avvenuta con un suicidio elegante e ‘ cortese ‘ nel 1980: la sua vita è stata un romanzo ed ha deciso di chiuderla forse per gli stessi motivi di Hemingway, simile è stato il modo di morire: una pallottola.  Ma per parlare di lui brevemente citiamo direttamente dal quarto di copertina: Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo. Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia.  Poi prese un biglietto e vi scrisse: « Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove ». L’anno prima Jean Seberg ( la splendida attrice di “ À bout de souffle  “ di Godard: ndr ), la sua ex moglie, l’attrice americana, l’adolescente triste di Bonjour tristesse, era tata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui. Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes , vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l’inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary.

Come abbiamo scritto all’inizio “ La vita davanti a sé “ è un romanzo emozionante, drammatico e divertente allo stesso tempo, “ pieno di grazia e semplicità “ come ha scritto qualcuno.  E’ un romanzo di formazione fuori dagli schemi che si fa leggere in un pomeriggio, e la storia è modernissima per quei tempi ( 40 anni fa circa ), anticipa la Banlieu multietnica di Pennac senza tuttavia cedere a quel pennacchismo rassicurante e raccontando una storia drammatica con leggerezza, ironia e con un lieto fine che non guasta.

Momo è un ragazzino di dieci, forse quattordici, anni.  E’ un arabo lasciato in affidamento ad una vecchia putain ebrea, Madame Rosa ( che è stata ad Auschwitz ), nel quartiere malfamato e proletario di Belleville.  Oramai la donna vive con i soldi che le danno le ex colleghe per alloggiare e allevare i figli nei periodi in cui non possono tenerli con sé e Momo – figlio di una prostituta e di un padre probabilmente ignoto: ma alla fine scopriremo la verità -,  è quello più grande, quello che tiene ordine in casa e a volte pulisce il culo ai bimbi più piccoli, oltre a fare la spesa e litigare con la vecchia Rosa depressa e malata grave di senilità.  Il racconto è scritto in prima persona, gli avvenimenti, le persone sono descritte con l’innocenza di un ragazzino fragile e duro allo stesso tempo, per il quale le puttane sono ‘ gente che lavora con il proprio culo ‘, i papponi persone che hanno soldi e vestono sgargianti e la morte parte integrante della vita. Le amicizie di Momo sono bambini orfani come lui, i travestiti, i malviventi, i poveracci per lo più arabi e gente di buon cuore – come il medico da cui va a passare il tempo quando si sente disperato -.  Momo ci parla subito de sesto piano senza ascensore in cui vive e della difficoltà di Madame Rosa di salire tutte quelle scale a causa dei suoi chili di troppo e del cuore affaticato.  E con un flusso di penseri e ricordi ci parla di un mondo a sé come fosse quasi una favola senza prìncipi ma con il lieto fine.

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