La battura migliore del nuovo film di Eastwood, Il corriere – The mule, è nel finale, ed è secca e convinta: “Colpevole”. Così si dichiara davanti al tribunale che lo sta giudicando. Interrompe anche l’arringa del suo difensore per farla corta, e forse avrebbe dovuto usare la stessa forbice anche nel corso del film, che alla fine risulta contradditorio e un po’ squilibrato nella scrittura.  Il giorno in cui cartelli di messicani malavitosi, mafie e ‘ndranghete, e anche agenti speciali, spariranno dalle sceneggiature si scoprirà che il cinema sentiva il bisogno di liberarsi di queste stupide catene narrative. Ma se gli spacciatori internazionali, con tutto il contorno, risultano stereotipati e banali, lo stesso non si può dire di Eastwood, che portando con grande dignità la sua età ormai avanzata ci regala una grande prova di recitazione, meritevole di premi e applausi.

Misurato nei gesti, amaramente ironico, vestito e truccato magnificamente, autodiretto con maestria, si può senz’altro applaudire in questa sua ennesima prova. Il film è basato su una storia vera, e credo che anche questo sia un limite: le storie vere sono le più inverosimili e difficili da raccontare. Il delitto ammesso in modo così clamoroso nel finale non è in realtà quello di essersi affidato a dei criminali per rimediare al fallimento della sua azienda floreale (ottima idea, è piacevolissimo vederlo tra tutti i suoi fiori) ma quello di essere stato un pessimo marito e un pessimo padre. L’eroismo del protagonista stavolta non è rivolto contro i delinquenti più o meno statali, ma contro i suoi errori di uomo. Sembra volerci dire: più sei stato mancante, nella vita, più devi riuscire a migliorare, anche fuori tempo massimo, anche a costo del ridicolo.  È perfetta la sua faccia tosta quando si presenta dopo molti anni a una riunione familiare. Una faccia che dice: non sono uno stinco di santo, ho sulle spalle un sacco di errori ma eccomi qui. In tutte queste sfumature Clint è magnifico attore, e tanto ci basti.

 

Mi permetto di chiamarlo per nome perché tutti i miei amici lo chiamano Clint, da sempre, come se lo conoscessero da decenni. In effetti è così, anche se l’equivoco c’è ed è di fondo. Clint non fa niente, davvero niente, per esserci simpatico, non ci nasconde nessuno dei brutti pensieri che insieme agli ottimi lo attraversano. È un solitario, un iper-individualista ma anche un ribelle capace di ribellarsi a se stesso.  E anche un vecchio-bambino che non ha mai smesso di giocare ai cow boys, essendo nell’anima il cavaliere solitario delle praterie prima ancora che il quasi coetaneo Cormac McCarthy cominciasse a scrivere. La 44 magnum non è altro che il restyling della vecchia Colt 45, stesso calibro, quasi, e stesso peso (anche psichico-simbolico) da maschio forzuto.

Gli va anche riconosciuto che a quasi novant’anni anni è molto più in forma di me e dei miei coetanei, che abbiamo diversi anni di meno. Clint è Clint, e se entra lui nel saloon si alza la punta del cappello in segno di deferenza. Una storia incredibile, a pensarci bene. Grandi successi, grandi insuccessi, vita assai movimentata. Gli italiani non conoscono la storia degli Stati Uniti e anche Clint risulta incomprensibile, come Kennedy e come tutti gli altri: politicamente non è un vecchio reazionario come si crede, è più simile a Marco Pannella che a Matteo Salvini, per capirci. Lo si potrebbe definire l’unico grande allievo di un regista italiano, Sergio Leone, che però a sua volta proprio italiano si fa fatica a definirlo, essendo culturalmente americano esattamente come Clint, il più americano dei registi americani. L’imprinting di Leone è indelebile, ci sono frammenti della famosa “Trilogia del dollaro” che brillano in tanti suoi film, chiari come le dediche che pure ha scritto nero su bianco.  In un filmaccio d’azione, il poliziotto odioso ma eroico, come sempre contro tutti, Stato compreso, ricorre alla vecchia lastra di piombo per ripararsi dalla pioggia di proiettili esplosi dal nemico (che è sempre lo Stato). Eh già, proprio quel vecchio piombo by Sergio Leone: “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile…”. Che si conclude con il beffardo: “Spara al cuore, Ramon!”

 

La critica italiana non ha mai valutato correttamente Sergio Leone, confinandolo in un incomprensibile a parte, come sta succedendo a Eastwood. Del resto, per fare un altro nome che ha fondato il cinema (compreso quello americano!) del ‘900, anche De Sica è stato insultato nel Parlamento italiano ed è stato umiliato dal botteghino. Semplicemente, Eastwood sta a Leone come Spielberg sta a De Sica, e questo per limitarci ai nomi essenziali. Bambini che volano, e non solo. Se ne potrebbe scrivere a lungo. Aprire nuovi orizzonti, soprattutto mentali, questo fa un grande artista. Andrebbe apprezzato di più.

Non ripeterò qui la solita battuta sulle due espressioni di Clint attore, anche perché gli va dato atto che invecchiando ha continuato a migliorare e a crescere, lavorando su poche preziose sfumature, senza mai uscire dal suo personaggio, e senza scimmiottare recitazioni fuori dalla sua portata. Ecco un altro segno dell’intelligenza di questo vecchio signore del set. Dietro la sua maschera c’è sempre un pizzico di autoironia, non facile da cogliere tanto è sottile. Clint è uno che non sbrodola. Non si vende come grande poeta, ammalato di cinema com’è vuole solo esprimere il meglio che è in grado di dare. Forse non ha raggiunto il top del suo maestro italo-americano (mi sento di definire così Sergio Leone) ma ha realizzato in maturità degli ottimi film, non uguagliati da nessuno dei nuovi deludenti maestri pieni di sospiri alla Malick. Sospiri e furberie (Tarantino) si alternano da tempo nel nuovo cinema americano, che non attraversa di sicuro uno dei suoi momenti migliori. Il destino vuole che un bravo artigiano, un onesto uomo di cinema d’azione, sempre un po’ a margine del grande cinema d’autore, ci sembri ora il migliore.

Non è Cimino come regista, non è Marlon Brando come attore, ma con materiali semplici e senza svolazzamenti retorici è riuscito a diventare quello che è: un cavaliere solitario, deluso dall’amore e da tutti, amico di nessuno ma con un grande, ruvido cuore, protetto come sempre da un’impenetrabile lastra di piombo. Peccato che The Mule non sia pienamente riuscito, ma sono sicuro che verrà ricordato tra i suoi film migliori per la sua grande interpretazione, forse la più convincente della sua infinita carriera.  Da segnalare anche l’impeccabile colonna sonora, che come sempre accompagna sapidamente l’intero film. Splendide anche le prove di recitazione di tutte le attrici: Dianne Wiest, Alison Eastwood, Taissa Farmiga. Se qualcuno si sta chiedendo: The Mule merita il disagio di una multisala? la risposta di questo articolo è un bel sì.

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