Abbiamo letto “ Mele marce – Marbella noir “ scritto da Juan Madrid.
Dagli Anni Novanta il romanzo “ nero “ ( ‘ noir fiction ‘ o ‘ hard boiled ‘ o ‘ pulp fiction ‘ in lingua inglese, ‘ polar ‘ o ‘ Mediterraneo noir ‘ in francese, ‘ novelas nigras ‘ in spagnolo ) è un genere letterario che oltre a scrollarsi di dosso la definizione di sottogenere, prende le distanze dal genere-padre, il giallo, e assurge a vero e proprio fenomeno letterario. I racconti hanno quasi sempre in comune realtà urbane e nel protagonista prevale ancora un forte sentire politico, la cui educazione sentimentale si è cementata con il Sessantotto e, in seconda battuta, con quegli anni definiti ( grazie al bel titolo del film di Margarethe von Trotta ) Anni di Piombo. I protagonisti hanno vissuto e perso lo scontro sociale o interetnico, non sono riusciti a cambiare il mondo e sono convinti che chi ha vinto è corrotto, venduto, maleodorante. I protagonisti sono sfessati ma mai genuflessi, bevono liquori come il Calvados o Teacher’s Highland Cream, alcuni anche il meno sofisticato whisky o anche una semplice bottiglia di vino rosso, hanno spesso una sigaretta tra le labbra o un pacchetto di sigarette sul tavolo, vivono da soli e a volte frequentano donne pazienti che hanno visto troppe cose poco chiare nella vita e quindi hanno l’esperienza di non stupirsi quasi più di niente. Questi investigatori o avvocati o ex “ delinquenti “ sono cinici ( l’unica forma di difesa per chi non è riconciliato ), spesso disillusi, sempre solidali con i perdenti e con un immutato desiderio di verità e giustizia, malgrado le delusioni personali e politiche. All’interno di questa ormai grande famiglia letteraria c’è da parecchi anni Juan Madrid ( il suo nome e cognome ci sembra già di farci entrare in un noir ), scrittore sessantenne, ex professore universitario di Storia, ex prigioniero del boia Francisco Franco, ex giornalista di inchiesta, sceneggiatore per la televisione e il cinema, regista e infine bulimico scrittore di noir – ne ha scritti più di quaranta -. Lo possiamo collocare tra quegli autori che si ascrivono al Mediterraneo Noir ( Vázquez Montalbán è il più importante tra gli scrittori spagnoli di questo genere; come lo sono Izzo e Mohammed Moulessehou per la Francia, come probabilmente lo è Carlotto per l’Italia ). Il Mediterraneo noir, oltre ad avere tutte quelle dinamiche di cui abbiamo detto prima, si differenzia dal genere classico del noir tout court perché c’è in genere come coprotagonista una città di mare con le sue luci forti anche al tramonto, con i suoi vicoli e il ritmo di vita placido; una parte importante per il protagonista è il cibo, il piacere di stare a tavola e l’amore antico del vivere e per l’amicizia. C’è poi una dimensione politica legata ai conflitti presenti di quest’area geografica.
“ Mele marce “ ( Il titolo originale spagnolo è “ Pajaro en mano “, improbabile la traduzione letteraria che avrebbe creato fraintendimenti, in Spagna è un detto popolare “ Meglio un solo uccello in mano che cento nel cielo “ ) è ambientato nella nota città vacanziera di Marbella – città di cui spesso sentiamo parlare per fatti di cronaca criminale e finanziaria: spesso i latitanti della mafia e della camorra vengono arrestati lì -. Il protagonista si chiama Luis Moran, è un paparazzo argentino che trascorre i giorni e le notti tra spiagge e locali notturni alla ricerca di fare foto scoop a qualche vip, ma è anche un gran ubriacone che si ritrova spesso in qualche letto senza sapere come ci sia finito. Beve a dismisura, urla nel sonno in cui immagina di uccidere il capitano Montoya e poi di suicidarsi. Torna poi nella sua triste casa in cui l’attende Claudia, un cacatua femmina rossa di pelo e festosa. Poi c’è l’avvocato italiano Lavagna che ricicla soldi per la mafia colombiana e russa, è innamorato di una bellissima escort, Maria, che paga per mostrarla in giro con lui, e ha due ex poliziotti al suo servizio, Fuentes e Moreno. C’è un gigante russo che non parla ma che legge nel pensiero delle persone ed è al servizio di un ufficiale dell’ex Unione Sovietica. Poi c’è una cameriera sudamericana, il suo misterioso marito, il bravo commissario Valero che indaga sull’avvocato Lavagna, il suo nuovo capo che sembra dargli spazio nelle indagini, la collega Mabel, dei servizi segreti; e figure marginali sono un ex pugile e la sua donna che fa marchette nei bar della zona. Eppure nello svolgimento della trama scopriamo che nessuno è quello che sembra; uno di loro è stato un feroce ufficiale argentino che ha torturato e ucciso comunisti e indios in Cile e Argentina, un altro è stato un prete che involontariamente ha mandato a morte una ragazza che amava e dei giovani oppositori, una donna è una killer al servizio della polizia corrotta e così via.
Un noir scritto con leggerezza e sapienza ma che si legge con troppa facilità, una trama ben costruita che inizia su vari piani che poi convergono con naturalezza nell’unica storia possibile ma dalla vaga costruzione “ televisiva “, un finale irriducibile e amaro in cui non vincono i buoni, anzi e perdono solo alcuni cattivi: come forse è più probabile che succeda nella vita reale.

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