Abbiamo visto “ Birdman “ diretto da Alejandro González Iñárritu.

Iñárritu è certamente uno dei nuovi maestri del cinema mondiale, tra i più moderni esteticamente che abbiamo, mai che provi a imitare i grandi del passato, mai un inciampo nel provincialismo o nel già visto.   E’ riuscito a realizzare in tutti i suoi film una nuova espressività, una forma di estetica contemporanea: si potrebbe definirlo un maestro dell’immagine globalizzata ma certamente non omologata. Sin dal suo debutto, con il film Amores Perros ( anno 2000 ), studia a fondo l’animo umano, la disgregazione della società messicana che è un po’ quella di tutto il mondo, attraverso dei perros e la loro convivenza con i loro padroni. Con i due film successivi 21 grammi e Babel completa la trilogia della morte in cui la complessità del discorso è consegnato a un linguaggio rivoluzionario che capovolge le regole tradizionali dello spettacolo cinematografico e della drammaturgia per affermare la grande forza dell’immagine “ libera ”.  Un Cinema magmatico – a volte privo dei legami – che unisce logiche a volte destrutturate e quindi aperte che tuttavia non impediscono di esprimere pienamente l’urgenza di una passione. Dopo la separazione con il suo sceneggiatore-doppio, Guillermo Arriaga ( anche scrittore e regista dei film Il confine della solitudine ), è passato alla commedia, prima con Biutiful e adesso con Birdman. Una commedia che tuttavia non rispetta le caratteristiche classiche del genere ma riesce a coniugarle con momenti di surrealtà e momenti di drammaticità nera.   Tutto gira intorno ad un attore che è stato una stella di Hollywood ma che ha rifiutato il ruolo in cui lo hanno incasellato e quindi, rifiutando quel ruolo e non riuscendo a trovarne un altro, si trova in mezzo al guado della vita professionale ma anche personale: cerca una nuova collocazione come ultima possibilità. Investe tutti i suoi soldi per mettere in scena a teatro una commedia tratta dai racconti di Carver. Ma questa ultima possibilità personale e di vita è anche un modo per riconciliarsi con una figlia che poco conosce, con una ex che oramai gli vuole bene come fosse un figlio e soprattutto con il suo ‘ Io ‘ combattuto tra il successo passato ed effimero e un desiderio di riscatto forse troppo alto per lui. E il racconto si sviluppa intorno alle tavole di un palcoscenico e nei camerini di un teatro da 800 posti; tra lui, personaggio tragicomico, i suoi colleghi, non molto dissimili da lui, e il mondo fuori. Dove il successo, l’identità, la vita di teatranti, l’idea sull’arte, l’amore ed anche la morte s’intrecciano in un tutt’uno; dove la vita reale a volte lo è più in palcoscenico che non fuori; ma il regista gioca su vari registri, armonizzandoli e confondendoli, compiendo un’operazione meta-cinematografica. Il capolavoro che riesce a Iñárritu è creare un’allucinata epica tra comico, drammatico, fantastico e grottesco, tutto tenuto in equilibrio, tra cambiamenti improvvisi di scenari, tono nei dialoghi, comportamenti dei personaggi, metafore e ricerca di una verità del vivere. Ma il regista ci racconta ancora di più, sul genocidio culturale in cui stiamo cadendo, in cui si è giunti a credere che milioni di contatti su internet equivalgano ad un attestato di stima, di notorietà, e – con ottima sintesi ed efficacia – che oggi l’arte dello spettacolo non si crea solo dall’interno del mondo creativo, ma è diventata quasi un’esigenza contemporanea di tutti ( nutrita e fagocitata dai media ): l’esigenza di assistere alla disgregazione, alla violenza e al nonsense che riporta tutto alla vita come simulazione anche dei sentimenti più profondi. Naturalmente la riuscita del film questo la si deve anche ad un cast perfetto e in stato di grazia, con un Michael Keaton ( Il Batman di Tim Burton ) messo letteralmente a nudo e in un ruolo quasi autobiografico; con un Edward Norton, ( L’Incredibile Hulk di Louis Leterrier ) bravissimo e finalmente in un ruolo per lui; con Emma Stone ( la ragazza di Spider-man ) e Naomi Watts ( la donna amata da King Kong ).

Riggan Thompson ( Michael Keaton ) è stata una star internazionale, ha avuto il ruolo del supereroe Birdman. Ha rifiutato l’ennesimo sequel e Hollywood non lo ha più chiamato. Vuole dimostrare a se stesso ma anche al mondo intero il suo valore di attore. Decide di mettere in scena a teatro un racconto dall’opera di Raymond Carver ( Di cosa parliamo quando parliamo d’amore ). Investe tutti i soldi che ha, come fosse l’ultima possibilità della sua vita, e se andrà male… Per realizzare lo spettacolo coinvolge la figlia ribelle Sam ( Emma Stone ) appena uscita da un centro di disintossicazione; la sua compagna che forse aspetta un figlio, Laura ( Andrea Riseborough ), l’amico produttore Jake ( Zach Galifianakis ), un’attrice ( Naomi Watts ) il cui unico sogno è stare sul palcoscenico di Broadway e un attore di grande talento ( Edward Norton ), bravo ma troppo egocentrico. La storia si sviluppa sulle prime rappresentazioni che sono di prova, i rapporti turbolenti tra i due maschi della rappresentazione e sullo spettacolo che sembra che debba andare alla malora da un momento all’altro anche perché l’Io egocentrico passato di Riggan si manifesta con la comparsa del supereroe Birdman con tanto di becco da uccello che lo spinge a tornare indietro a quello che era. Ma solo ‘ morendo ‘ si può rinascere e Riggan tenta di percorre questa strada e quando tutto sembra mettersi bene lui sceglie la sua vera natura come nella favola della rana e dello scorpione.

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