Una sottile nebbia sale rapida e assorbe il panorama rendendolo fatuo. Sul coche de lìnea da Puno in Perù, quasi un’intera giornata fino a Desaguadero, confine boliviano. Tra i passeggeri gira “mate de coca”, infuso caldo di foglie di coca per non cadere nel “soroche”, mal d’altitudine. Giacconi indossati uno sull’altro. Calze, jeans e CD nascosti dentro le fodere dei sedili. E’ il “choce de contrabando”. Sicuro e veloce. Paradigma di vita. Un gruppo di giovani “pacenos”, abitanti di La Paz intonano “con làgrimas en los ojos”, malinconiche note d’amore e d’ombra. Una lentezza magica entra nelle vene mentre l’ultima polvere di luce si spande sull’aia del mondo a quattromila metri di altitudine. Poi la pianura gialla s’interrompe sul bordo d’un precipizio. La luce del sole è all’orizzonte e già sorge la luna. Alzi lo sguardo e l’Illimani coi suoi 6460 metri di altitudine carico di neve e di ghiaccio ti cattura in un lungo brivido. Prima rosa e poi azzurro nella luce del tramonto. Un indio ti scuote con un sibilo tra i denti “ mira hacia, abajo”. Sbirci in basso e vedi rotolare case, palazzi, chiese e grattacieli. L’una sull’altro con migliaia di luci accese che scivolano per quattromila-tremila metri strappandoti il cuore. E’ La Paz, la capitale più alta del mondo. Una conca di case, persone e brulicante vita. Più di ottocento metri di dislivello sotto due picchi innevati, l’Illimani e l’Huayana Potosì. La Paz, due città dentro un canyon. Quella ricca adagiata sul fondo, dove fa più caldo. Quella povera, El Alto, arranca fino ai bordi del cratere. Incanto dell’ora. Il sole indugia dietro la Cordigliera e la luce crepuscolare regala una magica atmosfera. Una finestra sull’alba che respira la città e ascolta i primi suoni. Mujeras y niños sono già in strada, coi buffi cappellini, strette dagli scialli grigi sulle gonne nere, larghe, strato su strato. Unte e logore. Le fusciacche sorreggono i piccoli. Sono Ayamara come il Presidente indio Evo Morales. In fila, le lunghe trecce, cappello a bombetta. Protestano per mancanza d’acqua in una città che continua a crescere. E le fontanelle restano a secco per diversi giorni la settimana. Poi, con lo stesso passo si disperdono nelle calli coloniali, i bimbi aggrappati con le guanciotte arse dal sole della vita. Le ritrovi al mercato de las brujas, delle streghe (Hechicheria) dove vendono pozioni e filtri. Tutto ciò che serve alla salute. Soldi, casa e un marito. Si un marito, se laborioso e astemio, aiuta. In molti sono scomparsi nelle miniere di stagno, nelle caserme, negli stadi. Morti ammazzati o di stenti nel precedente “gobierno asesino y fascista”, perché prima di “el Evo” indio ayamara come noi, era “mejor la muerte de una vida de miseria, de hambre”. Parlano le donne con la bombetta che s’impiglia tra penzolanti feti di lama sulle bancarelle. Pozioni, filtri magici e amuleti che inondano i mille mercati della città, nelle piazze, lungo le vie dei bassifondi che a La Paz sono in alto verso la luce. La merce appoggiata in terra. Maglioni, cinture, terracotta, occhiali, scarpe. Frutta e verdura, carne e spezie. Calle Linares, calle Sagarnaga poi giù a Plaza Pedro Murillo fino in centro a Plaza San Francisco con l’omonima chiesa dalla facciata di pietra scolpita con disegni indio. Dentro, il barocco sfrenato dei fregi, statue, icone, raso e velluto. Oro delle balaustre, luci sempre accese. Un organo e tanto incenso. Fuori, di nuovo nel caos circondati da palazzi e grattacieli che puntano verso El Alto e riempiono ogni centimetro quadrato delle colline a quattromila metri di altitudine. In cerca d’aria. Un saliscendi di vie e vicoli. Non puoi andare giù se non sai come tornare su. Allora fermi un “colectivo” che strombazza ad ogni incrocio. Sfiori suoni e profumi. Vivi immagini che scivolano via veloci ma si fissano nella mente come gli occhi di quel bambino col moccio al naso. Quel vecchio disteso a terra tra un cumulo di “basura”, dentro un cartone. Vuoi scendere. Lo fai. Cammini in salita a tremila metri respirando aria inquinata e troppo pura vicino alle nuvole. Paradosso di La Paz. Nascondi le Nikon, non per paura. Per rispetto della dignità di uno sguardo profondo, di un sorriso senza denti. Della miseria ancora da debellare nei sobborghi della città, di Calacoto e Florida. Di un dolore lungo quanto la fila di quelle madri e mogli che sostavano di fronte alle caserme con l’orrore, ancora, vivido sul volto. Ti stringono sentimenti che poi penetrano dentro senza abbandonarti mai. Piangere o sorridere. Parlare o tacere. Solo quelle immagini che pensavi di non vedere più. Neanche la “Puerta del Sol” e i misteri di Tiahuanaco o la Valle della Luna coi pinnacoli franosi, capricci di una natura magica e le cime dell’Illimani, ti fanno distogliere da quel groviglio di sensazioni che stringono il cuore fino a farti soffocare

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