Abbiamo visto “ Copia conforme “ diretto da Abbas Kiarostami.
Kiarostami è probabilmente il più importante regista iraniano, tra i grandi maestri in circolazione. Godard ha detto “ Il cinema inizia co D. W. Griffith e finisce con Abbas Kiastorami “, Scorsese ha affermato “ Kiarostami rappresenta il livello più alto di un regista cinematografico “, il filosofo Jean-luc Nancy ha scritto il saggio “ L’evidenza del film “ in cui asserisce che ‘ il cinema di Kiarostami sta nell’«evidenza», che è un altro modo per dire la presenza finita. Il suo cinema apre al mondo così com’è, e tuttavia non si tratta in alcun modo di realismo ‘. Fra poco compirà settant’anni e la sua filmografia è piuttosto estesa, una quarantina tra sceneggiature e documentari ( da ricordare i docu “ Gli scolari “ (1984) , “ Compiti a casa “ (1989), “ ABC Africa “ (2001) e “ Five Dedicated to Ozu “), e quattordici film, Il primo è del Settanta, “ Il pane e il vicolo “, quelli da segnalare come essenziali per la cinematografia degli ultimi quaranta anni sono i bellissimi “ Il sapore della ciliegia “ ( 1987 ), “ Il vento ci porterà via “ (1999 ). Ma è anche sceneggiatore del film “ Il palloncino bianco “ diretto nel 1995 da Jafar Panahi che in questi mesi è in carcere in Iran con l’accusa di star pensando di realizzare un nuovo film e da quattro giorni ha iniziato lo sciopero della fame. Per Kiarostami fa parte di quella generazione di registi del suo Paese nota anche come “ L’Iranian New Wave ”, che comincia a farsi sentire alla fine degli Anni Sessanta e che include pionieri come Forough Farrokhzad, Sohrab Shahid Saless, Bahram Beizai e Parviz Kimiavi. E il suo lavoro artistico non si limita solo al cinema, ma anche alla fotografia, alla pittura, all’illustrazione e al design grafico.
Nei suoi film ci sono le domande del mondo, quelle essenziali, quelle che fanno dire a chi se le pone di essere stati complici della vita. Utilizza nei dialoghi una poetica, nella narrazione e nelle immagini delle allegorie; i suoi film sono intrisi di politica e filosofia, di riflessioni sull’etica del fare cinema, usa spesso come protagonisti i bambini come pretesto della riflessione. Le sue storie partono da villaggi rurali, esplorati soprattutto usando una cinepresa dentro un’automobile. Non si limita però a descrivere la sua realtà, ma va oltre. E’ spoglio, penetrante, realistico ma con vocazioni simboliche.
Tuttavia pensando alla sua filmografia, in tutta onestà, dobbiamo ricordare che il film collettivo “ Tickets “ girato con Olmi e Loach è stata una prova deludente se non insignificante, E anche questo film “ Copia conforme “ è un film sostanzialmente deludente, in alcuni passaggi irrisolto e più che introspettivo è non compiuto, nevrotico e in alcuni passaggi narrativi psicologicamente banale. Probabilmente, come per “ Tickets “ l’Italia non gli porta fortuna.
James Miller ( il cantante lirico WIlliam Shimell al suo debutto cinematografico ) è un saggista chiuso nel suo mondo di intellettuale e quindi un po’ distratto anche umanamente, giunge in ritardo alla presentazione a Firenze del suo ultimo libro intitolato « Copia conforme », nel quale sostiene che le copie abbiano un valore superiore all’originale. E questa presentazione sembra durare in tempo reale. Tra il pubblico c’è una donna ( la sempre meravigliosa Juliette Binoche ), una piccola mercante d’arte, probabilmente francese, che vive in Toscana assieme a un figlio adolescente un po’ pestifero. Durante la presentazione fa in modo di entrare in contatto con l’autore per fargli firmare il giorno successivo alcune copie del libro che ha comprato. E il giorno dopo, è domenica, si incontrano nel negozio di lei, ma lui vuole subito uscire, andare all’aperto. Andranno a San Gimignano, lei vuole ‘ mostrargli una sorpresa ‘. Mentre si trovano in un piccolo bar, lui inizia a raccontarle di una donna che ha visto per strada anni prima e quel racconto sembra riguardare proprio lei e il suo bambino. Squilla il cellulare e lui esce dal locale per rispondere alla telefonata: la barista inizia a parlare con la donna e allude a loro come a una coppia sposata e Lei sta al gioco. Gioco che prosegue anche al rientro di James e a cui lui sembra starci. A questo punto però il gioco tra i due si trasforma in realtà e i due diventano una coppia ‘scoppiata’ e iniziano i litigi e le ripicche. Fino a che entrambi finiscono nella camera d’albergo in cui erano stati quindici anni prima, la sera delle nozze. Lei gli chiede di restare, di iniziare una vera storia. Ma lui ha un treno quella sera.
Un film, dobbiamo dirlo, poco compiuto, non del tutto espresso; anche la critica a Cannes è sembrata spiazzata, nonostante il regista anche con quest’opera non ha affatto smesso di interrogarsi sulla natura umana e non ha neppure rinunciato a una ricerca stilistica. Ha però scelto una modalità nuova per lui ( quasi all’Antonioni, per certi versi) e in più ha usato una leggerezza e una voglia di ‘ giocare ‘ ( in francese e in inglese recitare diventa ‘to play’ e ‘jouer’ ) con un doppio livello di rappresentazione. Molto brava Juliette Binoche – è ovvio dirlo – ma altrettanto bravo il baritono prestato al cinema William Shimell. Splendida la fotografia del nostro Bigazzi.

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