Abbiamo visto “ Due giorni e una notte “ diretto da Luc Dardenne e Jean Pierre Dardenne.
Ritratto di una giovane operaia, ritratto di una condizione sociale, ritratto dei nostri giorni feroci, individualisti e senza alcuna certezza morale e politica. I Fratelli Dardenne continuano a fare un Cinema necessario, essenziale, resistenziale e con questa loro ultima Opera riprendono, conservando lo stesso stile di sempre, i problemi del lavoro, della mancanza di occupazione ( ricordiamo le due loro prime opere La promessa e Rosetta ). Co questo modo di fare Cinema sono riusciti a vincere due volte il Festival di Cannes, nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’enfant. Mentre nel 2002, Olivier Gourmet, protagonista de Il figlio ha vinto il premio come miglior attore. Tutto ha origine dalla loro esperienza giovanile, consistita in una lunga carriera documentaristica di impostazione sociale, ricca di video militanti. Ma se dobbiamo accostarli a qualche altro cineasta, il loro cinema è più vicino a quello di Robert Bresson per estetica e scelta stilistica che non a quello di Ken Loach. Ogni loro film racconta la normalità del quotidiano, di quelli del palazzo accanto che incontriamo al bar o dal gommista senza forse notarli, e mostrano con geometrica potenza tutta la tragicità di vite ai margini, sospese, rarefatte da una realtà senza più alcun Umanesimo. Con la macchina da presa pedinano senza alcun effluorescenza i protagonisti che vengono inquadrati in primi e primissimi piani, a volte claustrofobici, a volte ripresi di spalle, per dare in profondità l’itinerario psicologico e le sofferenze di gente normale. In questo film si inquadrano due mani che tengono strette una sbarra, o due mani che si sfiorano, le spalle della protagonista curve alla ricerca di una possibilità o sdraiata a letto in posizione quasi fetale.
A Sandra ( una perfetta Marion Cotillard ), giovane madre e operaia appena uscita da un momento depressivo, serve un fine settimane, per l’appunto due giorni e una notta, per convincere i suoi colleghi a non votare il suo licenziamento in cambio di un bonus aziendale. Sandra è fragile, apparentemente sola nonostante un bravo marito e due bambini piccoli, è sconfortata e senza reale reazioni al sopruso che sta per subire. Ma spinta da una collega più amica e coscienziosa che sindacalizzata e da un marito che l’ama e vuole aiutarla, affronta di mala voglia la sua missione quasi impossibile: andare a trovare a casa tutti i colleghi per convincerli a rinunciare al bonus di mille euro e di votare per il suo rientro nella piccola azienda. E si ritrova davanti i colleghi di lavoro di tanti anni, sono come lei ma frettolosi, imbarazzati, induriti dalla crisi, si negano al citofono o il più giovane e facinoroso l’aggredisce e c’è chi la vorrebbe aiutare ma ha paura delle conseguenze e chi ha votato contro di lei – alla prima votazione – anche se ricorda con le lacrime agli occhi di un suo gesto di generosità del passato che lei ha avuto nei suoi confronti. E in questo sottoproletariato ideologico ci sono francesi, ma anche magrebini e di altri posti d’origine, tutti con un senso di insicurezza, precarietà e infelicità.
Certo raccontata così potrebbe sembrare un meccanismo claustrofobico e ripetitivo ed invece I Fratelli Dardenne riescono a tenere in tensione lo spettatore pur non facendo mai entrare Sandra nelle case degli altri e quindi nelle loro vite private. Tantomeno fanno apparire spunti ideologici oramai anacronistici in un mondo che ha fatto della liquidità la sua sostanza. Anzi lei resta sempre sulla soglia delle case o sul portone accanto ad un citofono, sempre educata, comprensiva davanti ai no o ad un pugno, sempre pronta a rinunciare e a tornarsene a casa sconfitta se non fosse per le insistenze del marito o qualche improvvisa speranza. E i Dardenne non usano nemmeno quei graffi un po’ folli di Loach per dare delle scosse alla storia, loro riescono con geometria e freddezza quasi chirurgica a raccontare e condannare questa nuova endemica malattia, la perdita del posto di lavoro. E sopra di tutti c’è Sandra, donna, madre, proletaria, senza autostima, fragile e ancora un po’ depressa che affronta questo girone infernale di umiliazioni e che ne esce comunque vincente nonostante tutto…

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