Il libro curato da Roberto Carocci (Errico Malatesta. Un anarchico nella Roma liberale e fascista, a cura di Roberto Carocci, BFS Edizioni, Pisa 2018, pp. 178, € 18,00) nasce dal convegno “Errico Malatesta. Un rivoluzionario a Roma” organizzato nel maggio del 2016 dall’Associazione di idee I refrattari al Cinema Palazzo Occupato a Roma. Il convegno ha visto una partecipazione di circa 200 persone e “una tensione che forse nessuno si aspettava e che ha costituito il fattore più prezioso e più stimolante dell’intero evento” (p.12).
Il libro riporta, riviste e ampliate, le relazioni esposte al convegno. I contributi pongono un’attenzione particolare al rapporto intercorso tra Malatesta e la città di Roma nel periodo liberale e durante la dittatura fascista, ma al tempo stesso esplorano questioni più profonde: il rapporto tra anarchici e il movimento operaio, la questione della violenza e del suo utilizzo, le forme di resistenza allo squadrismo, le interpretazioni e le letture che gli anarchici hanno dato del fascismo e della sua dittatura. Si tratta di interventi che pongono domande e indicano spunti per ulteriori ricerche, oltre a suggerire connessioni con temi di estrema attualità, e questo è uno dei punti di forza di questa pubblicazione.
Nel primo contributo Carocci offre un’utile panoramica delle idee di Malatesta sul rapporto degli anarchici con il movimento operaio e con le organizzazioni sindacali sottolineando come Malatesta, pur critico delle teorie sindacaliste (si veda il dibattito con Monatte sullo sciopero generale al congresso anarchico di Amsterdam del 1907) sia un forte sostenitore della partecipazione degli anarchici all’associazionismo operaio. Il pezzo si sposta poi sul rapporto di Malatesta con il movimento anarchico romano ed offre diversi spunti di riflessione. Il primo è la raccomandazione di usare cautela quando si investigano le divisioni all’interno del movimento anarchico romano su questioni di principio come la partecipazione alla lotta elettorale, una esortazione che va estesa anche ad altre realtà come quelle delle comunità anarchiche all’estero poiché il movimento anarchico era comunque molto fluido e spesso a forti divisioni si sovrapponevano anche forme di collaborazione. Un altro elemento di riflessione, sia dal punto di vista storico ma anche della militanza, che emerge anche nel contributo di Gentili, è la capacità di Malatesta di legare e costruire rapporti strettissimi con gli abitanti dei quartieri dove viveva, non solo a Roma, ma anche per esempio ad Ancona o a Londra dove fu la mobilitazione popolare del quartiere di Islington ad impedirne la deportazione nel 1912.
Ugualmente stimolante è il contributo di Sacchetti che analizza l’evoluzione del pensiero di Malatesta sul ruolo e l’uso della violenza nell’azione rivoluzionaria. Il saggio individua e analizza i passaggi chiave di questa elaborazione partendo dal superamento del metodo cospirativo di tradizione risorgimentale con quello dell’insurrezione di massa teorizzata da Malatesta nel 1884, per passare al sindacalismo rivoluzionario ed arrivare dopo l’attentato al Teatro Diana nel 1921 al concetto di “guerra civile dispiegata”, idea che andava ad agganciarsi anche all’esperienza degli Arditi del popolo nella lotta contro il fascismo. Il saggio si sofferma soprattutto sul primo di questi passaggi chiave focalizzando l’attenzione sui tentativi insurrezionali degli anarchici italiani negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento e discute, necessariamente in breve, il passaggio al sindacalismo rivoluzionario, il regicidio di Monza, la Settimana Rossa e l’attentato al Teatro Diana, suggerendo tuttavia diverse aree da approfondire.
All’interno del saggio Sacchetti sviluppa un’importante riflessione sull’inadeguatezza del termine “terrorismo” come strumento analitico e metodologico. Quest’inadeguatezza non riguarda solo lo studio di Malatesta, ma anche la sua applicazione al movimento anarchico in generale che, in modo perlomeno discutibile, è stato recentemente indicato su riviste accademiche come precursore del terrorismo jihadista e di Al-Qaeda (si vedano gli articoli sulla rivista “Terrorism and Political Violence”, 20:4, 2008).
Più breve il contributo di Gentili incentrato su Malatesta e gli Arditi del Popolo che sottolinea lo stretto rapporto che l’anarchico intrattenne con le sezioni romane dell’organizzazione antifascista, nonostante vi facessero parte molti ex interventisti di sinistra e legionari fiumani. Gentili rimarca l’appoggio che l’anarchico diede al progetto politico-militare dell’arditismo, a differenza dei dirigenti socialisti e comunisti che ne boicottarono l’organizzazione e quindi l’efficacia.
L’analisi delle interpretazioni e delle letture che Malatesta diede del Fascismo e di come combatterlo è il fulcro del contributo finale che si incentra sull’ultimo decennio della vita di Malatesta, dal suo trasferimento nella capitale nel 1922 fino alla morte nel 1932. Malatesta, come ricordato anche nel saggio di Gentili, era comunque un convinto fautore della necessità di organizzare, sia politicamente che militarmente, la difesa contro il Fascismo. Bertolucci offre un’acuta analisi delle letture elaborate al tempo non solo da Malatesta ma anche da altri esponenti di spicco dell’anarchismo italiano – Fabbri, Berneri, Bertoni e Borghi – che vedono il Fascismo come prodotto della Prima Guerra Mondiale, ne denunciano la funzione di “controrivoluzione preventiva” in difesa degli interessi di industriali e agrari, e ne intuiscono la natura eversiva e anticostituzionale. Al tempo stesso il saggio sottolinea anche i limiti di queste analisi e l’incapacità di comprendere appieno le profonde differenze del Fascismo dal precedente sistema liberale, come per esempio la sua capacità nella mobilitazione delle masse, o nel percepirlo come un fenomeno di carattere temporaneo.
Un punto di interesse che lega il contenuto del libro con la realtà odierna è la lettura di Malatesta del Fascismo come caduta etica. Per Malatesta una delle ragioni del successo del fascismo era dovuta “alla mancata rivolta morale contro l’abuso della forza brutale, contro il disprezzo della libertà e delle dignità umana che sono la caratteristica del movimento fascista” (p. 92). Caduta di carattere etico e morale che oggi sembrerebbe dilagare di fronte alla questione dell’immigrazione, del razzismo, della violenza di genere e che rende evidente quanto difficile sia da contrastare un tale processo. La seconda parte dell’intervento si sviluppa attorno al giornale Pensiero e Volontà i cui scritti rappresentano “il maggior lascito, dal punto di vista teorico” di Malatesta che “forse possono essere anche interpretate come una sorta di testamento politico” (p.76).
Il libro si conclude con un’utile appendice – per gli studiosi e non – dell’indice del giornale Pensiero e Volontà che permette di avere una panoramica dei temi trattati nel giornale e dei suoi principali collaboratori. Il libro è corredato da alcune affascinanti fotografie che facevano parte della mostra che ha accompagnato il convegno.
La pubblicazione di questo volume offre sia agli studiosi sia ai lettori che si avvicinano per la prima volta a Malatesta e al suo pensiero uno stimolante strumento di ricerca e conoscenza che offre molti spunti di riflessione soprattutto perché indaga un periodo della vita di Malatesta e il suo rapporto con la città di Roma che deve essere ancora adeguatamente studiato. E questo libro rappresenta un ottimo primo passo in questa direzione.

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