Abbiamo visto “ Genius “ regia di Michael Grandage.

Con Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman, Laura Linney, Guy Pearce. Drammatico, durata 104 min. – USA 2016. – Eagle Pictures uscita, mercoledì 9 novembre

Negli Anni Venti e Trenta comparve negli Stati Uniti una generazione di grandi scrittori che solo a citarli viene dello stupore, F. Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, William Faulkner, John Dos Passos, Sherwood Anderson, Henry Miller, tanto per citarne solo alcuni. Molti di loro furono collocati nella corrente letteraria della Lost Generation, espressione coniata dalla scrittrice Gertrude Stein  e raccontata da Hemingway nel capitolo Une Generation Perdue in Fiesta Mobile. Tra i tanti grandi scrittori c’era anche Thomas Clayton Wolfe, quello che la critica dell’epoca definì un genio sin dal debutto. Ma che è rimasto meno nell’immaginario collettivo dei lettori perché morto a non ancora trentotto anni, perché viveva in modo sregolato e solitario ( e pensando all’epoca e ad alcuni scrittori sopra citati doveva essere un bel po’ drop out ), ma sicuramente è stato colui che ha influenzato di più la generazione successiva collocata poi nella Beat Generation. Conoscendo la sua vita si può dedurre che è stata molto più sofferta e controversa di come ci è stata raccontata in questo classico film per attori, quasi teatrale per certi versi; e la possibilità di affrontare al Cinema il rapporto tra un grande scrittore e un grande editor come William Maxwell Evarts Perkins poteva essere intellettualmente interessante. Invece risulta un film di attori che sfoggiano una bravura un po’ classica, con una sceneggiatura convenzionale e senza alcuna originalità. Eppure la vita professionale di Perkins è leggenda nell’ambito editoriale, scopritore ed editor di scrittori come Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway e anche loro amico, mentre dall’altra, nella vita privata, era un uomo dall’esistenza normalissima, quasi impiegatizia, con una moglie paziente, cinque figlie affettuose e una vita con loro lontana dalla città e da qualsiasi glamour. C’era la possibilità di realizzare un film originale e particolare, ragionare sul genio e la normalità, tra l’importanza della resa finale di un romanzo tra lo scrittore e il suo editor ( pensate a quante polemiche ci sono state sui testi di Carver, solo pochi anni fa ), del rapporto sofferto e non risolto tra lo scrittore e suo padre, ma anche della storia d’amore di Wolfe per una donna più vecchia di lui di vent’anni e che non ha mai voluto lasciare il marito e che è stata trasformata invece in una banale storia d’amore con una donna che soffre e quasi sragiona per l’egoismo del suo uomo.   Il regista teatrale inglese Michael Grandage, al suo debutto cinematografico, sfoggia una bravura senza importanza e sembra in realtà che non conosca i fondamentali del Cinema moderno. Un vero peccato perché l’opportunità era ghiotta e invece è stata realizzato un film semplice, quasi modesto.

Siamo nella New York della fine degli Anni Venti. Max Perkins è il bravo editor della casa editrice Scribner’s Son, ha già al suo attivo la scoperta di autori come Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway.   Qualcuno gli chiede di leggere un romanzo scartato da varie case editrici e lui mentre torna a casa in treno e rientra in ufficio il giorno dopo legge quelle mille pagine e ritiene di pubblicarlo. Il 2 gennaio del 1929 incontra il giovane scrittore Thomas Wolfe, un uomo dal carattere difficile, che oltre a necessità economiche ha bisogno anche di sostegno umano e professionale.   Inizia una conoscenza che diventa amicizia, ma c’è anche uno scontro continuo, tra due caratteri differenti; Wolfe è il classico genio sofferente che vive in modo scombinato e sregolato, incapace di avere un legame affettivo con la sua compagna che fa soffrire, immerso costantemente nella sua creatività, ma in fondo bisognoso di avere come contraltare una figura paterna rassicurante e paziente, mentre Perkins è un uomo sempre tranquillo e rassicurante, con in testa il cappello anche a tavola e che vive solo per il suo lavoro e in seconda battuta per la simpatica famigliola che tiene relegata lontana dalla città.   Ma entrambi hanno una cosa in comune, una volta che devono costruire un testo, finiscono col disinteressarsi del mondo. Il regista si sofferma sulla costruzione e le sofferenze che provocano la realizzazione di un grande romanzo e che naturalmente non è frutto solo della creatività dell’autore anche se geniale, ma che occorre che ci sia un curatore editoriale che sappia entrare nell’intimità e nella funzionalità del testo sapendone cogliere il meglio e spurgandolo di eccessività, di fragilità.

Tratto dal romanzo Max Perkins: L’Editore dei Geni ( in Italia lo pubblica Elliot) di A. Scott Berg, ha un cast in buona forma e dai nomi d’eccellenza. Perkins è interpretato da Colin Firth, mentre Wolfe è incarnato da Jude Law ( finalmente in un ruolo da protagonista dopo tanti coruoli ). Nicole Kidman è l’amante sofferente di Wolfe, Laura Linney la moglie paziente e sorridente di Perkins.

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