Abbiamo visto “ Glory – Non c’è tempo per gli onesti “ regia di Kristina Grozeva e Petar Valchanov.

con Stefan Denolyubov, Margita Goscheva, Ana Bratoeva, Stanislav Ganchev. Titolo originale Slava. Genere Drammatico – Bulgaria, Grecia, 2016. Durata 101 minuti. Uscita giovedì 21 settembre 2017. Distribuito da I Wonder Pictures.

Il buon Cinema di Grozeva e Valchanov, tra dramma sociale e tragicommedia, questa volta produce una storia prevedibile e senza novità.   Con una parabola scontata e in fondo priva di cattiveria.

In Glory – Non c’è tempo per gli onesti, Kristina Grozeva e Petar Valchanov continuano la “ trilogia dei ritagli di giornale ”, storie tratte più o meno dalla cronaca. Siamo nella Bulgaria contemporanea, tra case povere di persone ai limiti dell’indigenza e l’ufficio stampa di un ministero apparentemente all’occidentale.   Tsanko Petrov ( un bravo Stefan Denolyubov, star del cinema bulgaro ) è un ferroviere balbuziente, non troppo sveglio e ripiegato su se stesso; vive da solo in campagna con i suoi conigli, lavora alla manutenzione dei binari, curandone l’efficienza. Un giorno mentre lavora trova un’ingente somma di denaro sparso sul binario.  Potrebbe metterlo nello zaino e cambiare vita invece, un po’ per onesta e un po’ per sbigottimento, avvisa la polizia e diventa un eroe nazionale sulla stampa; nonostante intorno a sé tutti quelli che possono rubano, dai suoi amici ai potenti di turno.  Viene convocato dal capo ufficio stampa del ministero, Julia Staikova. una donna in carriera cinica e pronta a tutto ( Margita Goscheva ) che per far dimenticare un’indagine sulla corruzione all’interno del ministero ha organizzato una premiazione per la stampa per il nuovo eroe.   C’è un bambino che recita una poesia, il ministro che fa un breve discorso e al ferroviere viene consegnato un mazzo di fiori e un orologio malfunzionante, mentre quello che ha l’uomo viene perso dallo staff.  Ma Tsanko rivuole il suo, a cui è affezionato perché gli era stato regalato dal padre.  Allora l’uomo inizia da casa a telefonare e insiste, ritorna al ministero, si fa coinvolgere da un altro giornalista che vuole screditare il ministro coinvolto nella corruzione e la vita del povero Tsanko cambia ma non certo in meglio

Una regia semplice e povera, una sceneggiatura indecisa, dopo il bel The Lesson un film poco riuscito.

Kristina Grozeva e Petar Valchanov sono al loro secondo film collettivo, il primo The Lesson – scuola di vita ( uscito in Italia nel 2014 ) ha ottenuto molti riconoscimenti nei vari festival e, per il loro modo di raccontare, – con la logica del pedinamento – sono stati paragonati ai fratelli Dardenne e acclamati come nuovi autori dell’est europeo.  Con questa seconda pellicola invece a noi sembra che i due autori non siano riusciti a decidere la direzione da prendere e quindi a dosare gli ingredienti convincenti per portare a buon fine le loro intenzioni narrative; l’intento è sempre quello di mettere in luce le contraddizioni di una società postcomunista che ha preso dalla democrazia solo la corruzione, il carrierismo e una componente di cinismo, ma manca di l’equilibrio, di profondità e sembra tutto già visto e anche sbiadito a confronto di altre storie.  Il personaggio del ferroviere Tsanko Petrov è presentato da subito come un drop out, solitario, ingenuo, forse un po’ stupido e vittima sacrificale con cui il pubblico non può provare né particolare pena né tantomeno empatia; la donna in carriera Julia Staikova, più interessata a rispondere al telefono che ad ascoltare il medico che le parla della sua possibile maternità, disposta ad andare a letto con uno dei servizi segreti per ottenere un favore lavorativo e che tratta il marito più da segretario che da compagno di vita, non produce né riflessione ma nemmeno una particolare critica sociale, tutto già visto e anche in maniera più complessa e piena e in fondo non risulta nemmeno particolarmente antipatica.  E l’incontro tra questi due personaggi così differenti e lontani non produce nulla di vero se non ricadere nella pochade o nella trovata ilare non particolarmente efficace ( il cambio di pantaloni con i dipendenti del ministero, lui dimenticato che resta in mutande in bagno per delle ore, il cambio della camicia con un operatore o sempre lui che rischia l’arresto e si preoccupa solo dei suoi conigli ). In alcuni passaggi il film più che una critica feroce di una società rasenta il grottesco se non l’umoristico ma appena prende questa direzione la cambia per altro. Insomma un film non del tutto riuscito, con una regia semplicistica più che semplice, una sceneggiatura che non trova il tocco e lo stile narrativo e a questo si deve aggiungere che un film così povero nei mezzi ( tutto praticamente avviene tra una casa poverissima e degli uffici ministeriali ) avrebbe dovuto essere supportato da delle idee forti e invece se non fosse per delle auto occidentali potremmo pensare che lì vige ancora il socialismo degli anni ottanta.

 

Un buon cast, con attori che hanno già lavorato assieme.

Un film povero, indipendente ( low budget, camera a mano e location rubate alla strada ) che ha tuttavia un’indiscutibile nota a merito, le interpretazioni dei due attori protagonisti. Stefan Denolyubov ( Posoki, 2017, The Lesson – lezioni di vita, 2015 ) nei panni del ferroviere drop out, triste e solitario, che non si lamenta mai nonostante che gli ingranaggi del sistema lo umili, e la convincente e algida PR del Ministero dei Trasporti, Margita Gosheva ( attrice di teatro preferita da Grozeva e Valchanov ), capo che mal sopporta quasi tutti e che risulta perfettamente infelice e integrata. Peccato che i loro ruoli siano a tutto tondo e quindi senza colpi di teatro.

 

voto 6

 

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