Un viaggio nel narrare che si  permette di raccontare la realtà nella maniera meno realistica che si possa immaginare   ( N.d.R. )

 

Ciò è quanto potrebbe capitare al Lettore muovendosi attorno al segnale territoriale, chiaro, netto, nitido, che è il Grand’Hotel Des Bains di Domenico Astuti.

Arrivare a pagina 287 per incontrare il lemma ‘viaggiatori’ che fa ritornare alle prime due pagine, al «nostro viaggiatore», un uomo che potrebbe «aver perso la capacità di adeguare l’ambiente che lo circonda alle proprie necessità.». Sostare a pagina 107 immaginando di fermarci a parlare con «tutti quelli che abbiamo incontrato fino ad adesso» e chiedendoci se realmente «vivano secondo la propria volontà» o abbiano «organizzato la loro vita per il loro meglio e con totale libertà di decisione». Decidere a pagina 150 di andarsene in compagnia di Matteo, mentre a passo altrettanto rapido una domanda ci attraversa la mente -«Cosa potrebbe succedere se Matteo invece di andare alla metro andasse nel bar e incontrasse Sofia?»- bloccandoci come se all’improvviso avessimo «imparato l’arte di aspettare» (p. 208). Camminare per una città sconosciuta e chiedere informazioni insieme a Sofia pur ‘viaggiando’ nella consapevolezza che, nel frattempo, Sergi «va sulle orme già impresse sulla terra (…) da mille altri.» (p. 286; p. 110; pp. 187-188).

In questo intrecciarsi di percorsi, comportamenti e condotte, individuali e collettivi precede Domenico Astuti: «nasce a Napoli, dove si laurea in Filosofia. Ha abitato a Parigi, Londra, Città del Messico, San Pedro Atitlan. Ha scritto sceneggiature per il cinema e per la televisione, ha diretto film. Free Lance per giornali e blog, ha pubblicato le poesie Scie interiori e i racconti Pulque. Oggi vive a Roma, insegna» (Quarta di copertina)

La dedica ed il doppio esergo sembrano ancorare la lettura. Invece i tempi dell’ abbandono e del ricordo sospingono ad incamminarsi lungo un percorso di riflessione che attraverso la memoria trasforma, ripete, distorce, giustifica, interroga e risponde. Il primo passo è l’incipit «È seduto in uno dei tanti bar, all’aeroporto.», una vera e propria impostazione del teorema che Astuti, intende dimostrare, vale a dire che riconciliarsi almeno con il proprio essere, se non con il mondo intero, è possibile. Questa immagine d’apertura, statica, è l’ anticipazione del movimento in cui verrà sospinto il Lettore, il quale avrà quale punto di riferimento quel Grand’Hotel Des Bains, reso facilmente individuabile nella sua piantina mnemonica, dallo schizzo infilato nelle pagine dal viaggiatore/autore. Presta al Lettore la propria mappa cognitiva, Domenico Astuti, concede il proprio schema percettivo -«pensiamolo adesso sul balcone assieme a Matteo»- accetta e regala informazioni e dettagli, guidando riflessioni/esplorazioni «sulla complessità della mente, sul disordine indecifrabile, sulle ragioni dei comportamenti, delle azioni e dei sentimenti che producono. Cioè tutto ciò che muove il mondo.» (p. 107-108).

Intanto la narrazione non si ferma, tanto meno la Storia. La narrazione/Storia continua indefessa ed il viaggiatore, scrittore o lettore che sia, sente aprirsi le possibilità di intraprendere nuovi itinerari, come il viandante agli incroci. Tuttavia, il presente storico attraverso cui sono raccontati gli eventi non lascia scampo. Quanto è avvenuto non può essere cambiato, e viene da chiedersi in quale misura sia deleterio coltivare l’illusione di poter recuperare.

La persona diviene lo spazio in cui muoversi e la coscienza il suo tempo.

Vi sono molte pagine in Grand’Hotel Des Bains leggendo le quali si potrebbe avere l’impressione che il filosofo-Astuti prenda il sopravvento in quanto molti rimandi (con uso del corsivo; intertestuali; introduzioni a ragionamenti in pause inserite nelle pieghe della narrazione, etc.), ripropongono ‘temi’, ad esempio, della psicologia moderna e più tradizionale (vedi comportamentismo; comportamento; condotta), alla luce dei quali, il narratore/viaggiatore sembra voler aiutare/rsi a comprendere le scelte dei percorsi di vita dei singoli o di gruppi di individui (cap. 27; cap. 46) e delle loro fermate.

Riconciliarsi con il passato, con il presente che attimo dopo attimo diviene inesorabilmente passato, e pure con il futuro (indeterminabile?), sembra impossibile senza riuscire a focalizzare le località/mete del nostro immaginario. Località/mete raggiunte e oltrepassate (a volte senza nemmeno accorgersene), dai personaggi di Astuti.

Non siamo per noi stessi una città ben conosciuta.

No, davvero: «una signora che non sa di essere anziana si fa fare quattro foto con l’autore sottobraccio» (p. 200).

Non possediamo, per dirla con Kevin Lynch, l’immagine della città che è in noi. Le nostre personalissime cartine stradali sono incomplete, sempre obsolete; i dettagli dai più recenti ai più remoti sono falsificati dall’oblio. Zone affettive, positive e/o negative, un tempo familiari spariscono dalle nostre mappe. Sostituite da altre. E andiamo avanti.

Obbligatorie o a richiesta, quelle fermate pretendono attenzione costante. Anche se fermo il viaggiatore non è mai immobile, poichè in qualsiasi ambiente, anche il più piccolo movimento porta nuovi oggetti e nuove visioni, per non parlare di quanto, malgrado si stia immobili, scorra dinanzi, e dei moti interiori, delle aspettative, dei desideri, dell’essere viandanti in se stessi. Per tale motivo, quelle numerose pagine in Grand’Hotel Des Bains piene di interrogativi esistenziali che sono alla base dei primordiali e contemporanei dubbi sull’accadere di persone, cose e fatti, non allungano inutilmente il cammino, anzi, lo arricchiscono. Necessarie, quelle pagine, a rendere Grand’Hotel Des Bains un romanzo da cui attingere la forza di chiedersi in quale direzione andare. Senza arrendersi e lasciarsi trasportare.

Infatti, abituato a gestire l’idea del viaggio dal punto di vista del consumatore veloce di cose, luoghi e persone, il Lettore potrebbe perdere di vista il senso del viaggio: espresso in quel «quando partire e con chi» (p. 255), oppure in quel «metro di paragone» (p. 244), e nella decisione di smettere una volta per tutte di viaggiare, fuggire definitivamente, non avendo più o non desiderando, traguardi. Se è vero come dicono gli astrofosici che siamo il prodotto residuale del Big Bang, e che fotografare galassie lontane significa avere sotto gli occhi ciò che era l’universo quasi quattordici miliardi di anni fa, allora per capire l’energia che ci muove e che ci fa procedere, è necessario tornare indietro. Ritornare indietro al segnale territoriale maggiormente (ri)conosciuto anche se l”attentato’ (del tempo) può averlo fatto crollare.

Dentro al Grand’Hotel Des Bains, edificio letterario, un testo che può essere letto come una traiettoria parabolica del pensiero, Domenico Astuti è guida onnisciente, utilizzando ora un linguaggio introspettivo al limite della (auto)testimonianza, ora il linguaggio resocontante, da sperimentatore di una propria teoria filosofica riguardo il tempo lungo (sempre più sostituito dal macinare chilometri e giorni ad una velocità artificiale penalizzante memoria e intima geografia) del viaggiare/vivere.

Buona lettura sostando nelle pagine!

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