Abbiamo visto “ Figli delle stelle “ regia di Lucio Pellegrini.
Si può parlare dei problemi terribili della disoccupazione, della precarietà, della morte sul lavoro con leggerezza e ironia ? Certo che si può, probabilmente si deve in questi tempi. In Italia dalla metà degli Anni Cinquanta è stato ‘ inventato ‘ il filone cinematografico della Commedia all’Italiana, quindi si può percorrere questa strada serenamente e con le spalle forti. Tanto per intenderci il film “ Divorzio all’italiana “ di Pietro Germi ha dato il via ufficialmente al genere e con “ C’eravamo tanto amati “ di Ettore Scola questo filone si è per la prima volta concluso. Poi ci sono stati tentativi per rianimarlo e abbiamo visto che la lezione l’hanno imparata – a volte meglio – i registi indipendenti degli Usa, alcuni registi europei e anche asiatici. Negli ultimi venti anni tra alti e bassi la ‘ commedia ‘ in Italia è stata ripresa da registi come Verdone, Veronesi, Paolo Virzì. Poi ci sono “ i giovani “, alcuni registi quarantenni dall’esperienza televisiva varia, che hanno imparato male e in modo imbarazzante la lezione dei padri, dei Monicelli, dei Risi, degli Scola. A quanto pare Lucio Pellegrini ( e con lui anche i suoi sceneggiatori Francesco Cenni e Michele Pellegrini; ma in questo caso anche i produttori Rita Rognoni e Gianni Zanasi ) ha creato un prodotto presuntuosetto, scombiccherato, in alcuni momenti imbarazzante narrativamente, drammaturgicamente inesistente, quasi irritante per ignoranza culturale e per aideologismo da edonismo berlusconiano. Un film del genere lo dovrebbero far vedere nelle scuole di Cinema per insegnare cosa non si deve fare al Cinema ( ma neanche in televisione o alla radio, o in camera caritatis ). Insomma uno spreco di risorse, uno spreco di attori e quant’altro. Un film in cui i poveracci sono una manica di sfessati, un po’ ebeti; le giornaliste da programma alla Santoro sembrano fatte di acido lisergico, gli ex detenuti ( di chissà cosa, poi ) sono indecifrabili e fresconi, gli intellettualini vanesi sognano di fare la lotta armata o reputano un “ comunicato politico “ stolto, ‘ raffinatissimo’ e dove i politici di governo di questa bella Repubblica si dividono in un povero cristo di sottosegretario che vuole una cura per il cancro e che diventerà ministro ( ottimista e di sinistra ? ) e il ‘ cattivissimo ‘ trascorre il tempo a telefono o ride con una faccia paciosa e bonaria. Non stiamo dicendo che non si può scegliere questo tipo di ‘ stile ‘, ma che in questo caso è totalmente fuori registro, sfocato e traballante. Un prodotto realizzato da modesti cinematografari soddisfatti di chissà cosa.
“ Figli delle stelle “ è un film solo apparentemente vitale, sicuramente demenziale ( ma non nel senso positivo del termine ), anche un po’ presuntuosetto perché non teme di sbagliare tono o di cadere negli errori evidentissimi che ci sono e anche il tono che dovrebbe essere tra il comico, il malinconico e il dolente sbaglia tutti i registri, perché effettivamente non si ride, non ci si identifica e non si è solidali con niente e nessuno. E il finale elducorato, da pubblicità del mulino bianco, con carceriere latitante ed ex prigioniero ora potente ministro che si trovano a condividere chissà cosa seduti sulla riva della spiaggia con le spalle al pubblico.
La storia inizia con la morte sul lavoro di un portuale di Marghera e di un suo collega timido e bonario che va a partecipare a una trasmissione televisiva dove ha pochi secondi per confrontarsi con il cinico ministro Gerardi. L’insensatezza della discussione e la timidezza dell’operaio lo rendono muto davanti al ballo mascherato del rito televisivo. Va via, ma è inseguito dalla giovane giornalista del programma, Marilù, una donna sensibile e solidale con i perdenti. Poi c’è Pepe, un precario della scuola che non lavora più come supplente e di nascosto della vecchia madre malata, cucina nella mensa di un fast food, e Ramon, appena scarcerato, malinconico e disilluso, con problemi di salute. Dovrebbero essere tutti dei grandi sognatori, in realtà sembrano dei gran fresconi senza arte né parte. Un sottoproletariato ai tempi della pubblicità. Alcuni di loro diventano amici – non si sa come – e decidono di sequestrare il ministro Gerardi e di fare un po’ di soldi e anche di risarcire la vedova dell’operaio di Marghera. Ma essendo dei perdenti ( i soliti ignoti ? ) rapiscono l’uomo sbagliato, l’onesto sottosegretario… Dopo alcuni giorni e alcuni inciampi fuggiranno da Roma con il prigioniero, andranno in un residence sulle montagne della Val d’ Aosta, a casa della giornalista coinvolta e ‘ felice ‘ ( ma senza interviste ). Verranno scoperti dai buoni cittadini della zona ( la maggioranza silenziosa e ostativa ) ma avranno una solidarietà viscida e opportunista: davanti ai soldi nessuno sente ragioni o rivendica valori. Fino a quando per colpa del più “ romantico “ del gruppo verranno scoperti e identificati

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