«Perché essere difficili quando con un minimo sforzo si può essere impossibili?», recitava un cartello appeso nello studio di Buster Keaton all’inizio degli anni Trenta. Si direbbe che lo stesso principio abbia guidato l’ultima impresa di Francesco Ballo: invece di limitarsi a confezionare una semplice, ennesima monografia sul grande autore-attore comico, ha realizzato un volume monstre (oltre settecento pagine, duecento delle quali di sola biblio-filmografia) in cui, muovendo dal film Sherlock Jr. (noto in Italia come La palla n.13), vengono passate al microscopio, con l’acribia del cinefilo e la precisione dello studioso, la carriera e l’opera del più moderno fra i cineasti statunitensi degli anni Venti. Ne abbiamo parlato con lui nella sua casa-studio di Milano, città dove vive e insegna storia del cinema e del video presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.

Frequenti il cinema di Keaton da più di trent’anni, dedicandogli libri, articoli, rassegne cinematografiche e ultimamente anche alcuni video. Che cosa ti ha spinto a scrivere un altro libro su di lui?

Da qualche tempo pensavo che fosse necessario fare un po’ il punto della situazione su Buster Keaton. Da una parte perché, come sai, i libri non è che vengano ristampati troppo spesso e alcuni dei miei erano ormai difficili da recuperare, dall’altra perché negli ultimi anni sono usciti nuovi testi su Keaton e sono state fatte nuove scoperte anche interessanti, come la versione inedita della sua comica The Blacksmith, vista a Pordenone qualche mese fa. Insomma, ho sentito il bisogno di riproporre alcune mie osservazioni sul cinema di Keaton, come studioso ma anche come spettatore e cinefilo. Il primo capitolo del libro, “Apertura dal nero” riflette questo atteggiamento, un po’ autobiografico se vuoi…
Inoltre, mi interessava affrontare l’opera di Keaton nella sua totalità a partire proprio da questo film, che secondo me rappresenta davvero un distillato, un “condensato” del suo universo poetico. Sherlock Jr. (1924) è anche una sorta di ricapitolazione di quella  tradizione spettacolare che va dal vaudeville – nel quale Keaton aveva mosso, bambino, i primi passi – alla slapstick: ci sono i gag “classici” basati sulla colla e sulle bucce di banana, le trovate illusionistiche e i trucchi cinematografici alla Méliès. Per non parlare del momento momento culminante del film, l’attraversamento dello schermo, che mostra una consapevolezza degna delle avanguardie dell’epoca, dai surrealisti a Dziga Vertov.

Chi conosce i tuoi libri, non solo quelli dedicati a Keaton, sa che una delle caratteristiche del tuo “metodo di lavoro” è l’analisi dei singoli fotogrammi del film, che puntualmente ritroviamo anche in questo caso…

Sì, perché ritengo che facendo il découpage del film, considerando ogni singola inquadratura quasi come un elemento a sé stante, si possano analizzare con la giusta attenzione la regia, la concezione della messa in scena, il montaggio. Questo poi è particolarmente vero davanti alle opere di Keaton, nelle quali ogni inquadratura è concepita secondo una precisa composizione degli spazi. C’è una bellissima immagine in The General (1926), in cui l’occhio di Buster guarda attraverso il foro rotondo di una tovaglia, che secondo me rappresenta un po’ lo sguardo “rinascimentale” del suo cinema.

 


The General

Keaton costruisce l’inquadratura secondo precise linee prospettiche, ma poi ne scombina l’ordine, rimette tutto in discussione, crea uno spazio in continuo divenire. Questa caratteristica è presente già nei cortometraggi: in The Playhouse, del 1921, Buster viene buttato giù dal letto da quello che sembra il padrone di casa venuto a sfrattarlo. In realtà si tratta del direttore di scena che gli ordina di smontare la scenografia. Ecco che le pareti vengono spostate e la camera da letto si trasforma in un altro spazio, il palcoscenico. In Sherlock Jr., invece, abbiamo la lunga sequenza nella quale il proiezionista Buster si addormenta e sogna di entrare nel film. Non appena ha attraversato lo schermo viene sballottato da un ambiente all’altro: un cortile, una strada di città, un dirupo, una foresta popolata di leoni, il deserto… Secondo Keaton non c’è nulla di stabile o sicuro: e da vero pragmatista americano lo dimostra semplicemente capovolgendo e ricapovolgendo ogni volta i presupposti della messa in scena, mandando in crisi le attese dello spettatore.

 

 

 

Attraversamento e percorribilità sono concetti che ritornano molto spesso nella tua analisi del film.

Sì, perché mi sembrano due “nodi” essenziali del cinema di Keaton. The High Sign, il suo primissimo cortometraggio, girato nel 1920, mostra in sezione ortogonale un’abitazione nella quale Buster sfugge ai suoi inseguitori correndo da una stanza all’altra, grazie a una serie di botole e trabocchetti – un’idea scenografica che verrà ripresa, molti anni dopo, addirittura da Godard per il suo Tout va bien.

 


The High Sign

 

Tout va bien

Penso tuttavia che Sherlock Jr. contenga gli esempi più significativi perché Keaton, grazie all’espediente del sogno, può liberare senza problemi le costruzioni comiche fondate sull’assurdo e il nonsense. In una scena del film “sognato”, Buster sembra sistemarsi l’abito davanti a uno specchio e subito dopo, improvvisamente, lo attraversa; in quella successiva, lo sportello di una cassaforte si rivela essere la porta di casa, oltrepassata la quale il protagonista si avvia nel traffico cittadino, sempre perfettamente inscritto nel perimetro dell’uscio.

 


Sherlock Jr. (il finto specchio)

 

Sherlock Jr. (la finta cassaforte)

Personalmente trovo che l’originalità di Keaton stia anche nel suo atteggiamento di interprete, nell’assoluta impassibilità con cui si confronta con l’instabilità del mondo intorno a lui.

Fai attenzione, però: Keaton non è impassibile, semplicemente adotta un registro interpretativo molto diverso rispetto a quello di Chaplin o di Harold Lloyd. La sua recitazione è astratta, perché riduce ai minimi termini i movimenti del volto (lo sbattere delle palpebre, ad esempio) e i gesti (la mano sopra gli occhi per scrutare l’orizzonte). La malinconia o l’ansia esistenziale che puoi trovare in alcuni momenti del suo cinema non è data dal fatto che Buster non sorrida mai, bensì – ancora una volta – dal suo mettere in discussione le consuetudini degli spettatori. In Sherlock Jr. Buster corteggia la fidanzata sbirciando le mosse della coppia di amanti sul grande schermo… ma così facendo guarda direttamente noi, il suo pubblico. Oggi come allora, lo sguardo in macchina di Keaton rimane un occhio che (ci) interroga.

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