Abbiamo visto “ Il Club “ regia di Pablo Larrain.

Un film di Pablo Larrain. Con Roberto Farías, Antonia Zegers, Alfredo Castro, Alejandro Goic, Alejandro Sieveking. Drammatico, durata 98 min. – Cile 2015. – Bolero Film uscita giovedì 25 febbraio 2016

In un’ipotetica classifica dei registi non ancora quarantenni che si possano definire già dei maestri del Cinema, sicuramente potremmo annoverare il cileno Pablo Larrain. Un regista originale, crudo e complesso, potentissimo sul versante formale, da Cinema frontale, con idee da cineasta portate sullo schermo con uno stile scheletrico, assoluto, disturbante, senza remissioni e concessioni allo spettacolo, e che regala sempre un Cinema crudele, inquietante e in controtendenza. I suoi film sono ombrosi, quasi grevi, dall’estetica ‘ chiusa ‘, senza concessioni allo spettatore e senza alcuna empatia. Si assomigliano un po’ con il carattere del regista che litiga con i giornalisti quando lo intervistano, con dei modi duri e antipatici al punto che scrivono che non si sa come prenderlo. Da cosa deriva questo suo carattere ? E da cosa nasce la sua ossessione per il colpo di stato del boia Pinochet ? Probabilmente deve avere un bel conflitto con suo padre ex presidente del Senato e senatore del partito più a destra del Cile, la Unión Demócrata Independiente (Udi), ricettacolo dei sentimenti politici più reazionari e fascisti.  La madre invece, Magdalena Matte, è stata la ministra dell’Abitazione nell’ultimo governo di destra. Pablo Larrain invece è uno che dichiara da sempre che Pinochet è stato un assassino e un ladro, e ha ambientato ben tre film ai tempi della dittatura ( gli splendidi Tony Manero, del 2007, Post Mortem, del 2010, e No – i giorni dell’arcobaleno, del 2013 ) perché è in quell’epoca, sostiene, che affondano le radici di un certo modo d’essere cileni, che si dovrebbe elaborare quel lutto per poi liberarsene. Ma allo stesso tempo, suoi spettatori alle prime sono proprio quei rappresentanti di quel partito paterno che tanto detesta. Un bel groviglio personale. Ma è indiscutibilmente un grandissimo regista contro, come eccellente è l’attore dei suoi film il grande Alfredo Castro ( visto nelle settimane scorse nel film venezuelano Ti guardo ).

Il Club ( El Club ) è Il quinto film di Larrein e si apre con dei versetti presi dalla Genesi: Dio vide che la luce era cosa buona, e separò la luce dalle tenebre. Sposta quindi la sua ossessione sul potere, da Pinochet e dall’oscenità morale che la dittatura ha portato nella vita dei cileni a quella dei preti pedofili e criminali. Realizza quindi un film ancora più rigoroso dei precedenti, ancora più duro se può essere possibile; fatto di inquadrature che riprendono in primo piano i cinque sacerdoti che sembrano essere soli con la loro depravazione dolente e la loro vergogna, isole nella nebbia, costretti a una relazione diretta e personalissima con la propria pena. E Pablo Larrein per rendere ancora più vivida la nefandezza di questi esseri impiega vecchi obiettivi sovietici, usati anche da Tarkovskij, e filtri per rendere tutto in una sorta di trasfigurazione visiva.

In un paesino sperduto e solitario sulla costa cilena, vivono in esilio in una delle tante case della Chiesa una suora e quattro sacerdoti, sono forse scomunicati, certamente gli sono state tolte tutte le funzioni talari. I quattro sono stati mandati in questo luogo per espiare i peccati commessi. Gli ex preti hanno profanato la sacralità del loro mandato con azioni nefande, dalla pedofilia, alla vendita di bambini, alla complicità con la dittatura, ad altre attività ancora più oscure. Ognuno di loro deve espiare una colpa, colpa che senza gli abiti talari significherebbe crimini contro l’umanità. Vivono osservando un regime rigoroso sotto l’occhio vigile di una custode.  Questa specie di stabilità fatta di preghiere, passeggiate al mare e allenamenti di un cane levriero per delle gare, viene interrotta dall’arrivo di un quinto prete, padre Lazcano appena caduto in disgrazia, che porta con sé il suo passato osceno. A lui si aggiunge Sandokan, un infelice senza tetto e senza niente, regredito mentalmente che segue con discrezione gli spostamenti del padre che lo ha violentato sin da bambino e adesso lo segue e lo aspetta fuori dalla porta in una relazione perversa. Sfinito dai sensi di colpa, Lazcano si spara sotto gli occhi della vittima. Giunge allora il gesuita padre Garcia per indagare, fare chiarezza sull’accaduto ed eventualmente chiudere la casa interrompendo così la vita nel buen retiro dei quattro osceni preti. Ma loro sapranno come fare per poter rimanere lì, organizzano un’azione degna della loro malvagità. Padre Garcia rappresenta quella Chiesa politica che tra lacune, omissioni e dossier mancanti, scopre sì le responsabilità morali e politiche dei suoi prelati ma rimette i peccati, disloca mostri e volta pagina; Sandokan è quel fantasma con cui fare i conti per rimettere insieme il corpus christi della nazione, sprofondandolo o riconducendolo alla pienezza e all’integrazione della vocazione.

Un film importante, potentissimo formalmente, quasi insostenibile per un pubblico abituato a ben altro. il film colpisce per l’analisi quasi chirurgica che fa il regista, per il suo presentare la mostruosità umana senza moralismi, ma anche senza clemenza, coinvolgendo e regalando momenti di cinema classico ma allo stesso tempo moderno. Naturalmente da segnalare un cast perfetto composto da Alfredo Castro e Antonia Zegers ( moglie del regista ), Roberto Farias, Alejandro Goic, Marcelo Alonso.

 

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