Il fiume tra di noi è il romanzo uscito postumo di Bijan Zarmandili, scrittore e giornalista che per decenni  ci ha narrato del suo Iran e della sua Italia attraverso giornali e libri.

Il fiume tra di noi è una storia di legami forti e controversi, di dolore e di amore, come in tutti i romanzi che lo scrittore iraniano ha scritto: il legame non è solamente tra le persone, ma un legame alla terra, a un paese, ai ricordi, alla storia.

Come nel bellissimo L’estate è crudele, uscito nel 2007, la narrazione parte da un affetto familiare spezzato da ricostruire: allora era un figlio giovane che arrivato a Roma dall’Iran cercava con i suoi occhi ciò che gli occhi del padre avevano visto in quel luogo molti anni prima, ora è una giovane donna iraniana che arriva in Italia, in Umbria, per rivedere il padre che da molto tempo non torna in patria. Lo sfondo politico è sempre un metatesto sostanziale in tutti i suoi libri: l’autore stesso è stato un esiliato a Roma in quanto oppositore del regime dello scià Pahlavi, e di lotta e dissenso politico parlano i suoi libri.

La storia è quella di un uomo apparentemente debole, il padre, con una infanzia dolorosa e una passione per gli antichi testi persiani in special modo per la poesia, e una donna forte, la figlia, che ha ereditato la lotta politica dal padre conoscendo così il carcere. Farhad tormentato dal passato familiare e dal presente personale e politico inizia a sviluppare delle manie di persecuzione che lo porteranno a rinchiudersi in un piccolissimo borgo nel cuore dell’Italia, dove poter continuare a studiare e insegnare liberamente: abbandona la figlia, la cui madre era morta da non molto tempo, abbandona tutti e non fa più rientro dando poche notizie di sé. È una lettera scritta da Farhad alla figlia Parvaneh a preparare il terreno del romanzo che si svolge per lo più nell’arco di una giornata lungo un fiume: tra nuvole, sole e pioggia il padre si racconterà alla figlia per far sì che sappia e capisca ogni cosa che lo ha spinto alla sparizione.

Sono i vecchi versi di Rumi a tessere i fili che li fanno via via avvicinare e allontanare. Si apre un sipario molto ampio sulla vita di Farhad, un sipario che include le vicende storiche di un paese, le difficoltà relazionali di una famiglia, i sogni di un ragazzino infelice, l’amore per la storia e la poesia persiana. È l’Iran a cavallo tra la dittatura laica dello scià Reza Pahlavi e lo Stato islamico dell’ayatollah Khomeyni, un periodo di caos e di straniamento che spinge il protagonista a chiudersi in sé sempre più impaurito.

Bijan Zarmandili ha sempre avuto uno sguardo attento sui conflitti del suo paese di origine ma anche sulla pace, e in questo romanzo lo ha abilmente declinato coniugando lo stato di un paese con lo stato di un uomo che deve andare in un paese in pace per trovare una tregua con la vita. Un uomo che parrebbe incentrato solo in sé stesso, narciso e autoreferenziale, ma che la storia rivela come un uomo segnato dalla mancanza di amore nella sua infanzia e dalla incapacità di relazionarsi poi in età adulta.

Una storia che ci racconta quanto essere perseguitati e controllati nelle vicende di tutti i giorni durante la dittatura possa marchiare una persona già fragile; ma ci racconta anche di come la fuga non cancelli ma forse solo sopisca le paure pronte a riaffiorare anche negli eventi più innocui.

E come in tutti i romanzi di Bijan è la figura della donna che svolta e circoscrive: la figura femminile che rappresenta il ruolo importante delle donne iraniane nella società. Era Miryam in L’estate è crudele dal ruolo forte, duro, ma al contempo pieno di amore per il suo paese e per le genti; era Zahra in La grande casa di Monirrieh, donna riservata e tenacissima che, attraverso il racconto della figlia, altre donna risoluta e coraggiosa, rivela di sé la grande lotta per la vita e per la dignità; era Anna in I demoni nel deserto, donna impegnata con ogni sua forza a cambiare gli eventi. Tutte queste donne hanno grandi storie d’amore alle spalle, storie per le quali combattono o dalle quali nascono. In Il fiume tra di noi molte sono le figure femminili che si muovono nella vicenda, tutte molto caratterizzate e forti, tra le quali spicca Parvaneh, la figlia, che lotta in un manciata di ore per ripristinare l’antico amore che provava per il padre.

In questo romanzo Farhad, il padre, assume i panni di Sima in Storia di Sima, la protagonista dell’ultimo romanzo pubblicato in vita da Zarmandili: una donna vista da tutti come strana ed eccentrica, una donna che si era rinchiusa man mano in un silenzio grandissimo fino a sparire, una donna figlia dell’Iran doloroso dello scià, proveniva da una famiglia borghese ricca di denaro ma povera di affetti. Farhad ha le stesse origini sociali e storiche, e anche lui si incarcera nel silenzio fino a scomparire. Lo scrittore con questo romanzo ha dato una possibilità a Sima, tirandola fuori dal vuoto dove si era rifugiata per farla rivivere in Farhad che trova nella figlia una mano tesa.

Il fiume tra di noi è un inatteso e grande dono per chi, come chi scrive, pensava le storie di Bijan fossero finite con la sua scomparsa. Altresì in questo romanzo ha sottolineato il suo grande amore per l’essere umano, per la vita, per il rispetto della storia; la sua sconfinata attenzione per il tema della fuga, l’immigrazione, la speranza di trovare pace, l’impegno quotidiano. Ma sopra a tutto il suo impegno nel far conoscere le storie e la Storia per contribuire alla conoscenza del mondo contro le vessazioni e la prevaricazione.

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