Abbiamo visto Il primo incarico regia di Giorgia Cecere.
A quasi cinquant’anni, Giorgia Cecere debutta con un piccolo film indipendente, fatto di nutrimenti estetici e culturali che ricordano il buon Cinema di alcuni decenni fa e allo stesso tempo emergono delle “modernità” nel raccontare i passaggi psicologici della protagonista (la brava e convincente Isabella Ragonese) che non fanno cadere il film in quelle ‘lungaggini’ estatiche e in dettagli inutili che spesso capita di vedere in opere di questo genere. C’è una compattezza di narrazione, grazie anche ad un abile montaggio, che riesce a tenere in tensione lo spettatore per cento minuti circa. C’è un’accuratezza nei visi scelti, nei luoghi, nelle ricostruzioni che fanno pensare ad un film meditato a lungo e ‘posseduto’ nei minimi dettagli dalla regista. Tuttavia se dobbiamo trovare qualche difetto potremmo dire che il film è in assoluto sulle spalle della protagonista e che gli altri personaggi, anche se descritti con attenzione, le fanno da corollario e specchio speculare al suo agire; inoltre ci sembra che alcuni dei protagonisti (soprattutto il marito: un povero muratore analfabeta dell’estremo sud italiano degli Anni Cinquanta) sia troppo “moderno” nel suo modo di agire, forse se andassimo in giro da quelle parti oggi ne troveremmo di più arretrati e meno comprensivi. Come potremmo definire questo film? Un romanzo di formazione? Una storia di una donna “libera”? Un racconto di un prefemminismo senza ideologie? Una semplice storia di autodeterminazione? Forse un po’ di tutto questo.

Nena (Isabella Ragonese) è una giovane donna pugliese, non ribelle ma determinata, vive in quella provincia addormentata dell’estremo sud che oggi tutti vivrebbero come un carcere mentale e alienante. Vive con la madre vedova e una sorellina adolescente. Non vuole starsene con le mani in mano aspettando il matrimonio e quando arriva una lettera che le dà un primo incarico in una scuola elementare di un villaggio a duecentocinquanta chilometri da casa lei accetta nonostante la madre non ne sia felice e il suo ‘fidanzato’ -figlio di una famiglia ricca e giovanotto colto (prepara la tesi di laurea sui simbolisti russi) ma dal carattere fragile e poco deciso e involontariamente manipolatore nei confronti della ragazza- accetti in modo algido e ipocrita questa decisione. Nena tuttavia parte senza alcun entusiasmo, quasi come dovesse dimostrare a se stessa di essere una donna decisa e diversa dalle sue coetanee e, facendo questo, mostrarsi al suo ‘fidanzato’ come una donna diversa da quello che in fondo è: quasi per stupirlo e rendersi interessante. Giunge nel villaggio composto da uomini silenti e duri, donne semplici e analfabete e luoghi solitari e vuoti. Si sistema in una stanza modesta e monacale di un trullo sperduto e inizia a insegnare a sette bimbetti sporchi, intimoriti e analfabeti. Ben presto su Nena cade la disperazione della solitudine e di un mestiere che scopre non interessarle. Quando poi le giunge una lettera del suo ragazzo che le dice di stare con un’altra, Nena sembra non farcela più. Esce una notte e va a trovare un muratore-spaccalegna che ha cercato a modo suo di corteggiarla. Ma ben presto nel villaggio qualcuno si accorge delle sue fughe notturne e deve scegliere tra perdere il lavoro o sposare quel ragazzo. E lei senza pensarci molto se lo sposa, ma il matrimonio è di convenienza perché lui lo accetta per evitare che degli zingari lo ammazzino perché ha importunato una loro donna e lei per evitare scandali. La vita di coppia è inesistente e priva di affetti e quando il vecchio fidanzato la richiama lei si precipita da lui lasciando tutto, ma rivedendolo si rende conto che… Un finale interessante, un po’ a sorpresa perché poco è detto e raccontato e questa è la forza ma anche un po’ la debolezza della sceneggiatura.

Giorgia Cecere è al suo debutto ma la sua carriera è lunga e oscura, ha iniziato negli Anni Ottanta frequentando il Centro Sperimentale di Cinema a Roma ed ha avuto come insegnante di regia Gianni Amelio (e per lui sarà nel 1988 assistente per il film Porte Aperte e nel 1992 dialoghista per Ladro di bambini); frequenta anche la scuola di Bassano “Ipotesi Cinema” diretta da Olmi e lì riesce a dirigere il suo primo mediometraggio Mareterra. In Puglia collaborerà alla sceneggiatura di due film di Edoardo Winspeare (regista pugliese raffinato e marginale dall’industria romana) e ha anche scritto alcuni episodi televisivi, tra i vari I Cesaroni.

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