Il Sogno di Nietzsche: il capolavoro messo in scena dai Coltorti.
Non esiste figura più indegna di rispetto di chi manipola il pensiero di Friedrich Nietzsche, una delle menti più alte e abissali della storia della filosofia, forzandolo a letture biecamente fascistoidi.

O meglio, a ben pensarci, qualcosa di peggio esiste: coloro che ne fanno un fautore dell’immoralismo tout court, che lo erigono a emblema di una visione egotica e rapace dell’esistenza, quasi fosse un profeta dell’edonismo pseudolibertario che domina e intorpidisce le coscienze in questa fase decadente del capitalismo.

C’è chi usa frasi decontestualizzate di Nietzsche per giustificare la propria condotta irresponsabile o amorale, altri per corroborare tesi razziste, altri, peggio ancora, per celebrare la grigia sarabanda del proprio ego.

Tali grottesche riduzioni di una visione così complessa e vertiginosa a frasette da Baci Perugina o a slogan da volantino della destra extraparlamentare, quanto dovrebbero far arrossire di vergogna i propri autori, allo stesso modo fanno sorridere chiunque con umiltà si sia accostato all’abisso di riflessione del filosofo tedesco.

Il pensiero di Nietzsche è un unicum, per molti versi solitario grande erede in Occidente della dottrina eraclitea dei contrari, un monumento impossibile al mysterium coniuctionis: iniziatico nel momento in cui ambisce a sancire un’emancipazione collettiva, mistico nella negazione della spiritualità tradizionale, profondamente etico nello sconfessare ogni morale, sommo per compassione nel celebrare il disprezzo, esoterico e antimetafisico nel suo essere, irriducibilmente, “per tutti e per nessuno”.

Proprio per questo, lode sia agli autori di un piccolo grande miracolo teatrale. In occasione dei 130 anni di Ecce Homo (ovvero il testo che a una lettura superficiale appare più prossimo al delirio e quindi, a una lettura profonda, al contrario più teso verso l’indicibile) al Teatro delle Stanze Segrete di Roma è andato in scena Il Sogno di Nietzsche.

Fare una riduzione teatrale di uno dei libri più discussi del filosofo più controverso e segnante dell’800 era impresa assai ardua: andare incontro a una totale disfatta era quasi matematico.
Invece, Il Sogno di Nietzsche è senza dubbio, la cosa più bella che abbiamo visto a teatro da quando Carmelo Bene è tornato nell’inorganico da lui tanto auspicato. Uno spettacolo di raro rigore filologico, realizzato con pressoché nulla, in una saletta minuscola, con gli attori che camminano in mezzo al pubblico, eppure in grado di restituire per incanto l’atmosfera e la potenza psichica del grande filosofo.

È una pièce dove impera con mitezza e modestia il “saper fare”. Non a caso l’assai difficile drammaturgia è stata redatta da un’eccellenza d’altri tempi: Maricla Boggio, la quale sapientemente è riuscita a far emergere la dignità e la potenza del pensiero nietzschiano, inserendolo in una storia d’amore e d’amicizia, entrambi finiti male. Il filo rosso è infatti il rapporto tra Nietzsche, la coltissima e goffamente spericolata Lou Von Salomè e l’eccentrico quanto languido filosofo Paul Rèe.
Qui, c’è Apollo che scrive di Dioniso: un testo perfetto.

Giusto corollario di tale perfezione è la regia di Ennio Coltorti: minimale, evocativa (bastano i costumi e l’interpretazione di tre attori, musiche ad hoc e quattro tavoli d’epoca per creare l’atmosfera del tempo) e con un ritmo magistrale. L’impeccabile gestione dei tempi recitativi è data da un accorto uso delle luci di scena (la perfetta costruzione di un attimo di buio e l’accensione di un spot sull’attore recitante) e dal vertiginoso taglia e cuci filologico in grado di restituire con sommo pudore le estasi altissime e i tormenti abissali di un animo oltreumano.

La recitazione è apicale. Adriana Ortolani, nei panni della coltissima, granitica e suo malgrado civetta Lou Von Salomè è strepitosa: riesce a trasmettere allo spettatore il fascino assieme alla leggiadria del personaggio. Ennio Coltorti, che interpreta Nietzsche, sbalordisce sin dai primi secondi sia per una somiglianza impressionante col filosofo tedesco, che per la resa delle sfumature emozionali che attraversavano la personalità del febbricitante pensatore. Notevole anche l’interpretazione del figlio di Coltorti, Jesus Emiliano, nel ruolo dell’amico Paul Rèe: anche qui una leggiadra restituzione di un coté emozionale quasi commovente.

Per citare Pasolini, Il Sogno di Nietzsche è in grado di esplorare “le suture più delicate dei sentimenti” di tutti i suoi personaggi. Auguriamo lunga vita a questo spettacolo, che per la bellezza che regala meriterebbe di essere messo in scena nei teatri più importanti. Sicuramente un aiuto a diventare ciò che si è.

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