Abbiamo visto “ In another country “ regia di Hong Sang-soo.

Quest’anno le visioni cinematografiche d’autore promettono delusioni; piani sequenza interminabili, piani fissi su muri o storielle all’italiana banali e noiosette.  Nessun film necessario è all’orizzonte, nemmeno se il regista si chiama Amos Gitai o Tsai Ming Liang; anche i film papabili per un premio a Venezia come ” Die Frau des polizisten ” o “Child of God” di James Franco possono essere definiti dei film importanti o indispensabili.   Forse – perché ha vinto Venezia, perché è piaciuto a Bertolucci e perché non l’abbiamo ancora visto – il “  Santo Gra “ – di Gianfranco Rosi, documentario sulle vite di chi vive intorno alla strada che circonda Roma potrà risollevare un po’ le sorti di questo inizio di stagione 2013/2014.  Oppure c’è ” Under the Skin ” di Jonathan Glazer, esaltato nelle riviste internazionali.  In questa marea di film modesti in uscita, non fa eccezione “ In another country “ diretto dal regista coreano Hong Sang-soo, autore considerato nel suo Paese uno dei maggiori rappresentanti del Nuovo Cinema Coreano, sconosciuto ai più e con poche chance di diventare un oggetto d’attenzione del grande pubblico europeo.  Un regista che sembra apprezzare – come molti suoi colleghi asiatici – la Nouvelle vague francese e le immerge nei gusti coreani fatti di blanda ironia, ripetizoni di scene e una leggerezza di tono che a volte sembra un soufflè venuto male.  Alcuni ineterpretano il suo Cinema come realista, altri iperrealista, altri lo ritengono surreale e quest’ultimo film non ci pone nella condizione di decidere effettivamente a quale di questi stili possiamo collocarlo.   Anche perché sono tre piccole storie al femminile, tutte e tre interpretate dalla bravissima Isabelle Hupper, collocate nello stesso luogo di mare incredibilmente squallido, con alcuni personaggi che ritornano ma senza definizione e dati precisi.  A questo si inserisce l’ironia coreana sul machismo degli uomini sinceramente ridicoli e buffi e su piccoli spostamenti umorali dei personaggi.

C’è una giovane donna coreana che fa da sceneggiatrice-demiurgo a tre storie da lei immaginate e abbozzate su carta.  Protagonista di tutte e tre ( la Hupper ) è una donna francese con lo stesso nome ma che cambia  in modo impercettibile il suo modo di essere.  In tutti e tre i casi giunge in un  luogo di mare parecchio squallido, una località chiamata Mohang senza alcuna attrattive se non per un piccolo faro, affitta una stanza per un giorno, dialoga con le persone della casa in un inglese che con i coreani è approssimativo e senza sbocchi, fa conoscenze casuali come quella con un bagnino rimorchione e allo stesso tempo stupidotto.  Nel primo episodio è una regista francese, nel secondo la moglie di un regista che ha una relazione extraconiugale con un altro regista, coreano, che giunge in ritardo all’appuntamento per motivi di lavoro e nella terza è una donna tradita.  In tutti e tre gli episodi Anne ha qualcosa in comune, è una donna sola, con delle fragilità e con un bisogno tattile dell’amore.  I personaggi che le girano intorno sono ragazze gentili, mogli gelose, uomini un po’ ridicoli – visti da noi – ossessionati dalle occidentali e ci provano nelle maniere più strambe.  Il tutto è raccontato con uno sguardo ironico, bonario e ripetitivo per scelta narrativa.  Una ripetitività che oltre ai personaggi, alle inquadrature, ai dialoghi, alle storie e ai sogni sono la cifra stilistica del film che richiederebbe allo spettatore una benevolenza e una pazienza che chi vi scrive non aveva al momento.  Certo i riferimenti e i debiti narrativi sono tanti ( Da “ Gli esercizi di stile “ di Queneau, ai film di Rohmer  degli Anni Ottanta, al Resnais di “ Smoking/No Smoking “ ) il tutto con nonsense, ironia e iperrealismo coreano che aiuta solo in parte l’esercio di stile dell’autore.  Vogliamo citare qualcuno che ha scritto di questo film “ … In una messa in abisso autoriale che si dimostra più suggestiva con proporzione diretta rispetto alla propria artificiosità. Quasi un loop di situazioni palesemente stereotipate su seduzione e guerra dei sessi, maschi fedifraghi e attrazioni inspiegabili… “

Come abbiamo già scritto, Hong Sang-soo, è un regista e sceneggiatore coreano assai conosciuto nel suo Paese.  Il suo primo film fu un successo straordinario di pubblico e critica “ The Day a Pig Fell Into the Well “ ( 1996 ). Anche in quel caso era uno studio sulla natura umana e le sue debolezze,   usando un timbro stilistico sentimentale ha  messo in scena amori e tradimenti.   Da allora ha diretto altri 12 film che non hanno avuto un gran consenso fuori dalla Corea fatta eccezione per “ Hahaha “, premio come miglior film nella sezione Un Certain Regarde al Festival di Cannes del 2010,

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