Abbiamo visto “ Io sono l’amore “ regia di Luca Guadagnini.
Ci sono dei registi poco definibili che la filmografia non aiuta a comprendere o a identificare nello stile o se c’è tipo di ricerca. Nonostante i quarantanni raggiunti e parecchi film realizzati, Guadagnini è sicuramente uno di questi. Ha debuttato con un film nel 1999 dal titolo inglese “ Protagonists “ in cui c’erano il futuro premio Oscar Tilda Swinton e Michelle Hunziker, la storia ambientata a metà degli anni ’90, racconta di due ragazzi londinesi che decidono di compiere, per puro piacere, un delitto perfetto: uccidere qualcuno e poi sparire. La vittima è un automobilista di passaggio. Nel 2003 ha girato il docudramma “ Mundo civilazado “ che qualche critico ha definito “… autocompiacimento che coglie chi sia sicuro di stare dalla parte giusta, sempre e comunque, il viaggio (ri)visto oggi pare una sorta di anti-Lucignolo, un reportage antiglobal tra cilum e tempi dilatati “. Nel 2004 realizza il documentario “ Cuoco contadino “, la vita di Paolo Masieri, uno dei più innovativi chef italiani: il lavoro in cucina, la sua casa, i momenti di relax , con piani-sequenza e inquadrature a camera fissa. Con una colonna sonora fatta da musiche di Wagner, Mozart, Beethoven e fruscii delle fronde. Nel 2005 invece gira quel romanzo adolescenziale non proprio holdeniano che è “ Melissa P. “ con uno stile semplice, quasi vanziniano. In questi giorni esce il film “ Io sono l’amore “ ( 2009 ) in cui ci sono gli stilemi del suo cinema ma forse proprio perché è un “ suo “ film si è così innamorato della storia da diventare il David Hamilton di un melodramma borghese. Sui titoli di testa una serie di inquadrature di Milano sotto la neve che per stile ricordano il cinema italiano degli anni Sessanta, tra Zurlini e Lattuada. Invece il film inizia con la preparazione di un pranzo di compleanno del vecchio patriarca Recchi, grande industriale della seta e alto borghese, come potremmo immaginare della famiglia Agnelli o giù di lì. Splendida villa, governanti, cuochi, camerieri, grande cucina, splendido salone e meravigliosi angoli, specchi, fiori, quadri, e una famiglia perfetta nella sua freddezza quasi algida. Si parla con naturalezza in inglese, russo e anche in italiano. Si potrebbe pensare leggendo queste righe a “ Quel che resta del giorno “ o a un interno di gruppo familiare alla Visconti di Modrone. No, siamo al documentario dei dettagli, all’eleganza per l’eleganza, al piacere del regista di farci notare dettagli e contorni come scarpe, bracciali, gruppo di piatti e di vivande. Più un documentario di interni, quasi un’elegia di una borghesia italiana che forse non c’è più. E non basta metterci un paio d’attori dal cognome importante ( per l’appunto, Visconti di Modrone ) per essere un emulo di cotanto regista. La preparazione e il pranzo durano quasi venti minuti, quasi ci fa sentire partecipi della festa ma con la leggerezza di non dover essere notati e dover rispettare quei riti; questo inizio potrebbe essere proiettato come didattica in una scuola alberghiera; comunque siamo contenti di ritrovare un vecchio splendido attore come Gabriele Ferzetti che il cinema italiano ha dimenticato, restiamo straniti nel constatare come il tempo passi e la “ nonna “ sia Marisa Barenson ( attrice di Visconti e di Kubrick ), non possiamo non restare affascinati dalla bellezza inconsueta di Tilda Swinton. E verso la fine del pranzo, ormai sera, si presenta con una torta un giovane cuoco Antonio amico di Eduardo, uno dei tre figli di Emma e Tancredi Recchi, ha portato una splendida torta in regalo per l’amico. E’ lui “ l’amore che arriva “ per l’annoiata ma ancora distratta Emma.
Il film riprende con il sole e l’estate, il vecchio Recchi è morto e l’azienda è passata agli eredi. Ci sono i passaggi di consegne, gli avvicendamenti alla guida dell’impresa le differenti strategie dei vari familiari e i consolidamenti. Il rapporto tra Emma e Tancredi prosegue esangue e formale, la giovane figlia se ne va a vivere a Londra e s’innamora di una amica lasciando il fidanzato senza risposte, Eduardo fa una società con l’amico Antonio per aprire un ristorante sulle montagne di Imperia e decide anche di sposarsi. Antonio, il giovane cuoco, prepara piatti che sono emozioni ma che non hanno diritto di cittadinanza nella trattoria di famiglia. La signora Emma assaggia un piatto di Antonio e se ne innamora, sono due creature inorganiche agli universi in cui gravitano. Scoppia la passione travolgente che li porta in diretto contatto con la natura, l’amore e la libertà. Ma il prezzo del loro amore è altissimo e qui tra la morte del figlio-amico che ha compreso tutto vedendo un piatto preparato da Antonio e la improbabile confessione al cimitero davanti alla tomba del socialista Turati ( non capiamo la scelta del luogo ) il melodramma si trasforma in felleiton un po’ imbarazzante e non vi sveliamo la scena finale un po’ ventre della balena.
Probabilmente Guadagnini è un bravo documentarista di moda e di interni ma non ha lo spessore culturale delle sue ambizioni. Evidente, ma giusto segnalare la scenografia e i costumi, la parte più eclatante e da apprezzare. Gli attori quasi tutti molto bravi e molto giusti nelle loro parti, qualcuno soffre per un ruolo un po’ marginale.

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