La riedizione di All’ombra delle maggioranze silenziose. Ovvero la fine del sociale (Mimesis, 2019) è un’occasione per rileggere alcuni aspetti dell’opera di Baudrillard che, al di là della centralità simulacro, congiunge due approcci fondamentali: la filosofia della scienza e la sociologia. Il testo in questione fissa alcuni punti chiave che saranno poi ripresi e spinti vero le loro più logiche conseguenze in L’illusione della fine (Anabasi 1993), rispetto al quale questo testo si pone in una relazione complementare.

Il filosofo pare quasi cogliere il paradosso secondo cui la società di massa si afferma proprio quando il paradigma cartesiano-newtoniano entra in crisi. Così, a dispetto di una sociologia positivista da cui deriva l’idea di una società, di un mercato, dei media di massa, la visione del nostro è molto più complessa. Il mito di un osservatore obiettivo, l’atomizzazione degli individui, la fisica sociale, il determinismo economico e tecnologico ecc., sono tutti esempi del tentativo di applicare un paradigma obsoleto a un fenomeno che per complessità compete o supera quelli fisici (aspetto che persino i sociologi classici, da A. Comte a T. Parsons, avevano compreso). L’abilità di Baudrillard sta nel giocare con una sostanziale ambiguità del termine massa che, a ben vedere, è sospeso tra una dimensione corpuscolare e una ondulatoria. Così, sin dal primo capitolo è chiaro che il termine massa non indica tanto una qualità meccanicistica del sociale, quanto soprattutto una concezione elettromagnetica. Le masse non esprimono tanto una concretezza tangibile, come nell’espressione “massa critica” (si veda nota a p. 48) che insiste sul fatto che ci sia qualcosa piuttosto che niente. Ciò che le caratterizza è il “fare massa”, ovvero il modo in cui esse assorbono “tutta l’elettricità del sociale e del politico e la neutralizzano per sempre … tutto le attraversa, tutto le magnetizza, ma tutto vi si diffonde senza lasciare traccia” (p. 25).

In questo sta la somma attualità del pensiero di Baudrillard, non solo nella sua sfida al paradigma newtoniano ma anche nell’idea di superare una concezione materialista delle masse, per esaminare la sua trasformazione “elettronica”, quasi sulla scia di M. McLuhan a cui Baudrillard in altri testi fa spesso riferimento. Con la differenza che, se il secondo era decisamente più affascinato dai progressi della fisica quantistica, tanto da citare spesso W. Heisenberg e N. Bohr, Baudrillard va più nella direzione dell’astrofisica, quasi a voler fondare una nuova antropologia relativistica. La categoria di buco nero è oggi attualissima. Ad esempio lo splendido film filosofico Interstellar di C. Nolan (2014) è riuscito a ribaltarla in una metafora escatologica e positiva. O più recentemente in Decadenza. Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana, di M. Onfray (Ponte alle grazie 2017), in cui invece il buco nero è esaminato all’interno di una concezione vitalistica. Al contrario nel testo di Baudrillard la massa viene introdotta quasi come categoria neutra. Essa difatti non riflette il sociale, espressione non corretta perché “evoca ancora un’idea di sostanza piena”, al contrario “le masse funzionano come un gigantesco buco nero che flette, curva e distorce inesorabilmente tutte le energie e le radiazioni luminose che vi si avvicinano. Sfera implosiva dove la curvatura degli spazi accelera, dove tutte le dimensioni s’incurvano su sé stesse e involvono fino ad annullarsi, lasciando al loro posto nient’altro che l’inghiottimento potenziale” (p. 31).

L’autore approfondirà tale discorso in testi successivi, da Simulacri e simulazioni a L’altro visto da sé, in cui la schizofrenia viene dipinta come una sorta di buco nero del soggetto, e poi in L’illusione della fine e in Il delitto perfetto. Il buco nero pertanto non è meramente una metafora della morte del sociale, ma rappresenta forse il suo più proprio compimento. Il processo implosivo che è intrinseco alla natura della massa (ancora un’analogia con M. McLuhan che per primo ha parlato di implosione della Galassia Elettronica), è pertanto accelerato, intensificato dall’azione entropica di tecnologia e consumo. Dinanzi a questa sfida la sociologia stessa è messa in scacco, dato che prima postula la massa come uno dei concetti chiave tramite cui porta avanti la sua analisi del sociale, poi si rende conto che l’ipotesi della “morte del sociale è anche quella della sua propria morte” (p. 27).  Dalla sociologia alle Scienze Politiche il passo è breve. L’ipotesi di una sostanziale passività della massa rispetto a un’attività manipolatoria del potere (p. 37) è altrettanto forviante. Se fino al Rinascimento il politico mette in scena una sorta di gioco autoreferenziale che mima le macchine del teatro e la prospettiva, nella sua assenza di una verità, con la Rivoluzione Francese il politico si “inflette, in modo decisivo … si carica di una referenza sociale, il sociale lo investe (p. 42). A quel punto compare sul teatro della rappresentazione politica il popolo, la volontà del popolo. Grazie specularmente al pensiero liberale e a quello socialista che postula “una dissoluzione del politico alla fine della storia”, il sociale risulta il vero vincitore di una contesa che però inaugura anche il suo proprio declino. Cosicché il “politico si è volatilizzato, ma lo stesso sociale non ha più nome. Anonimo.

La massa. Le masse” (p. 43). Come si vede, in alcuni passaggi del libro si offre una rappresentazione delle masse che oggi consideriamo superata, come appunto la questione dell’anonimato che oggi è invece sostituito da un protagonismo esasperato di leader, elettori, consumatori ecc. Tuttavia, il quadro generale che viene costruito risulta ancora utile. Per ribadire l’attualità di tale approccio, possiamo seguire due traiettorie. La prima è quella dell’informazione e della sua diffusione. Aspetto che non è affrontato qui sistematicamente come in altri testi ma solo accennato. Il tentativo di “bombardare” (p. 49) la massa inerte del sociale per sondarla (grazie ai sondaggi), attivarla, farla uscire dalla sua proverbiale indifferenza, è fallimentare. Esso fa riferimento a una “dialettica del senso” (p. 33) che non fa presa sull’oggetto in questione (che a ben vedere non è oggetto né soggetto). Obiettivo del politico è utilizzare l’informazione per sottrarre le maggioranze silenziose al loro proprio silenzio, liberare la loro energia per “fare il sociale” (p. 50). Si tratta altresì di “strutturare le masse iniettandole di informazione” (ibidem). Tale processo produce una sorta di “fissione” del sociale da parte della violenza dei media e dell’informazione. Al di là di un uso spregiudicato di concetti mutuati da vari registri, come quello di emulsione o appunto di fissione, e pur esagerando con i cliché derivati da una vecchia riflessione mediologica (il bombardamento e l’iniezione in stile Bullet Theory), qui Baudrillard pone una questione fondamentale che svilupperà meglio nei suoi lavori successivi. L’informazione, che per sua natura svolge una funzione neghentropica ovvero di riduzione dell’entropia (fisica, sociale, mediale ecc.), a un dato momento si trasforma in un mezzo di ulteriore produzione di disordine. L’attualità di questo discorso è ciclica.

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