Abbiamo visto “ Julieta “ diretto da Pedro Almodovar.

Con Emma Suarèz, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Darío Grandinetti. Titolo originale Silencio. Drammatico, durata 99 min. – Spagna 2016. – Warner Bros Italia uscita giovedì 26 maggio 2016.

Almodovar sceglie tre racconti ( Fatalità, Fra poco e Silenzio ) dal libro In fuga del Premio Nobel Alice Munro per realizzare questo Julieta. Così vicino al suo mondo creativo e narrativo eppure così lontano. La storia è quella di una semplice donna, per l’appunto Julieta, in cui il destino incombe minaccioso e tra morti sinistre, sventure che sembrano maledizioni, irruzioni umane che potrebbero sembrare amore ma che non lo diventa mai, ferite indelebili che procurano i figli, vive una vita di sofferenza estrema, di senso della perdita costante che forse solo in tarda età e per un ennesimo dramma indiretto riesce a riconciliarsi con la vita e i dolori che produce. Abbiamo detto un film così vicino e così lontano dall’Almodovar che conosciamo, perché se da un lato ci sono sempre le donne al centro del suo mondo narrativo, le piccole e grandi tragedie della vita, dall’altra – forse l’età, forse un periodo di malinconia – il regista spagnolo realizza una storia senza la follia, il tocco alla Almodovar, privandoci delle note splendenti dl suo Cinema, togliendoci il buonumore e qualche sorriso e facendoci piombare in una malinconia estrema. Realizzando così un film dall’impostazione melodrammatica ma che va oltre, nella più profonda delle tragedie, perché è il destino che gioca un ruolo fondamentale più che gli esseri umani e gli errori che possono commettere.

Il film nonostante un po’ di delusione ( per la sua freddezza formale, per dei silenzi che non sono riempiti, per l’incongruenza della protagonista che scrive alla figlia anche di fatti che entrambe conoscono bene ) è realizzato in modo eccellente e va segnalato l’inizio formalmente perfetto, un primo piano sulle pieghe di un tessuto rosso mentre la musica porta attesa e inquietudine quasi ci trovassimo in un thriller. Rossi i sedili del pendolino che ci fa scoprire Julieta da giovane, rossi i suoi orecchini e le labbra, rossa la chioma dell’albero di carta che racchiude segreti inconfessati. Come tipicamente melò – tra l’Hitchcock degli Anni Cinquanta e il Douglas Sirk – una delle scene, quella del treno in cui una giovane e sprovveduta Julieta entra in contatto con i due poli dell’esistenza: la morte e l’amore fisico: un signore desidera parlare ma lei lo evita e chissà se questo non sia la causa del suo suicidio, certamente però del senso di colpa che si insinua nella ragazza, che aumenta con la morte del marito in mare dopo un litigio ( conosciuto proprio quella stessa sera in treno ) ed anche con la scomparsa della figlia che ha deciso di vivere lontano da lei.

 

Julieta ( una brava Emma Suárez, come sorprendente è Adriana Ugarte, la Julieta da giovane ) è una signora sulla cinquantina che sta lasciando Madrid per andare a vivere in Portogallo con il suo discreto compagno. Sta liberando casa e preparando gli ultimi cartoni, ma casualmente per strada incontra un’amica d’infanzia della figlia, Beatriz che le svela che ha incontrato a Como Antia, la figlia. Sembra un incontro qualsiasi, ma un segreto e il passato tornano violentemente nella vita di Julieta, sono ormai diciotto anni che non ha notizie di Antia, lè stata abbandonata senza nessuna motivazione se non quella di non cercarla. Adesso sa che ha tre figli e che forse vive in Svizzera. Profondamente scossa decide di non partire più, di lasciare il suo uomo e di tornare a vivere nella casa in cui viveva con la figlia. Come se avesse voglia di vivere quel senso di colpa che ha sopito da tanti anni. Inizia a vivere completamente da sola e scrive un diario in cui ricorda la sua vita da quella sera in treno. Fino a quando ha un piccolo incidente stradale, ricompare nella sua vita l’uomo che l’ama e le giunge una lettera di sua figlia che probabilmente vuole riconciliarsi con lei perché adesso è lei a soffrire per un figlio che è morto.

Se dovessimo trovare nella drammaturgia del film un difetto lo troveremmo nella mancanza di vere ragioni che hanno portato Antía a fuggire da lei. Ma qualcuno potrebbe dire che per essere credibili alcuni passaggi umani ed emotivi non si devono spiegare del tutto perché forse è impossibile spiegare sempre tutto.

Notevole la colonna sonora, fatta di contenimento e sincronizzata sulle voci e gli sguardi dei protagonisti, realizzata da Alberto Iglesias, che si è ispirato al lavoro di Toru Takemitsu per il film La donna di sabbia di Teshigahara del 1966.

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