Abbiamo visto “ La mafia non è più quella di una volta “ regia di Franco Maresco.

Scritto da Franco Maresco, Francesco Guttuso, Claudia Uzzo, Uliano Greca, Direttore della fotografia: Tommaso Lucena, Montaggio: Francesco Guttuso, Edoardo Morabito, Musiche: Salvatore Bonafede.  Con Ciccio Mira, Letizia Battaglia, Cristian Miscel, Franco Maresco.  Docu-fiction, durata 98 min. – Italia 2019. – Cinecittà Luce uscita giovedì 12 settembre.

Il mondo oramai è capovolto, il sentire e il dolore sono sostituiti da una ritualità – oltre che morta  anche stantia -; si può ballare e cantare per ricordare due giudici uccisi dalla mafia, senza malizia; poi se il tutto è ammantato dall’ignoranza, dalla superstizione e dalla paura il tutto si trasforma in un facile grottesco che può trasformarsi in una cerimonia mortale.

Il regista Franco Maresco riprende il suo cammino in controtendenza anche con questo docu-film appena presentato al Festival di Venezia; il regista ha un suo modo di raccontare originale ( famoso e originale è Cinico Tv inventato assieme a Daniele Ciprì negli Anni Novanta ), in cui pone il confine tra memoria collettiva e manipolazione, tra reale sentimento e apparenza collettiva e lo fa non citando i massimi sistemi bensì entrando nel ventre molle della Palermo di oggi e perseguendo un obbiettivo preciso, scegliendo personaggi ai limiti e a volte piccoli-piccoli, a volte dei freaks – ma senza l’amore di un Tod Browning – bensì approfittando un po’ troppo di casi clinici come per il giovane cantante Cristian Miscel – e rischiando di avere anche lui un pensiero unico e uniforme anche se contrapposto.  E durante la visione si passa a volte da suggestioni che ricordano il primo Pablo Larrain ( Toni Manero ) e a volte a delle gag che possono ricordare il buon Frassica.  Si sorride, a volte si ride, ma sembra quasi che lo si faccia per superficialità o per dimostrare di essere in fondo molto differenti dagli altri.

Per dare un tono ‘ colto ‘ Maresca usa come Caronte nella città di Palermo la fotografa Letizia Battaglia che ci accompagna saltuariamente un po’ qui e un po’ là mostrando una sua indipendenza dall’autore e dal film; per far ridere prende come bersaglio facile, l’impresario di cantanti neomelodici Ciccio Mira che sembra sì naturale ma un po’ come gli autori dei temi di Io speriamo che me la cavo.

Siamo nel 2017 a Palermo, nel venticinquesimo anniversario delle stragi che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino; c’è l’intervista da parte di Franco Maresco a ‘ quei bravi ragazzi ‘ della periferia palermitana che naturalmente si dicono indifferenti per la morte dei due giudici o forse non sanno nemmeno chi siano e diventano anche riottosi, beffardi e a volte aggressivi quando le domande si ripetono ( e questo è già stato visto in tanti servizi tv ).  C’è poi la manifestazione degli studenti medi che ridono e ballano inconsapevoli per strada, e poi la storia si incanala nella lunga preparazione di un concerto allo Zen per la sera organizzata da Ciccio Mira ( visto anche nel   precedente documentario Belluscone ), una specie  di impresario buzzurro che organizza matrimoni, feste per mafiosi e concerti di piazza di infima lega con cantanti che si definiscono neomelodici; ma che in realtà è un caravanserraglio di marginalità.  Mira rappresenta la classica mentalità mafiosa siciliana ma è anche  pronto a tutto per qualche soldo da guadagnare.  Verso la fine compare il nome del Presidente Sergio Mattarella e il racconto di una specie di conoscenza che avevano i genitori di Mira con il padre del presidente, Bernardo noto politico democristiano dell’epoca: ma chissà perché il fratello del Presidente risulta solo Piersanti quando invece ha anche altri due fratelli tra cui Nino.

 

 

 

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