Abbiamo visto “ La parte degli angeli “ regia di Ken Loach.

Loach è uno dei grandi registi europei in circolazione, figlio della classe operaia inglese ha dedicato i suoi film alla descrizione delle condizioni di vita degli ultimi.  E’ del 1936, quindi ha circa 77 anni, e la sua formazione culturale ed estetica proviene dal lontano Free Cinema Inglese, corrente che ha fatto del rinnovamento estetico e della collocazione politica ben definita i suoi cardini; i maggiori rappresentanti sono stati Lindsay Anderson ( “ If “ ), Karel Reisz ( “ Sabato sera, domenica mattina “, “ Morgan, matto da legare “  ), Tony Richardson ( “ Gioventù, amore e rabbia “ ), John Schlesinger ( “ Billy il bugiardo “ ) ed anche maestri come Joseph Losey ( “ Il servo “ ), Richard Lester ( “ Non tutti ce l’hanno “ ) e ancora altri.   Hanno raccontato con lucidità ma anche con leggerezza il conformismo sclerotizzante del cinema dell’epoca e denunciavano una società di piacere senza gioia ( e pensate che erano gli anni dei Beatles e dei Rolling Stone ).  Il Cinema di Loach è arrivato in Italia nel 1971 con un film come “ Family Life “, che con stile documentaristico metteva in scena un dramma ispirato dalle teorie antipsichiatriche di Ronald Laing,  in cui una ragazza è costretta ad abortire a causa di una made autoritaria e scivola nella schizofrenia.  Da allora Loach ha lavorato soprattutto per la televisione ma nel 1991 è ricomparso sulle scene internazionali con film di notevolissimo impatto emotivo “ Riff Raff “, “ Piovono pietre “,  “ Ladybird, Ladibird “ e una serie di film tutti più o meno riusciti, a volte necessari, sicuramente ben definiti politicamente.  Poi nel 2009, pur conservando gli stessi panorami umani e sociali, sembra abbia virato su storie con lieto fine e un po’ più ammiccanti per il grande pubblico come “ Il mio amico Eric “, sulla bonaria mitizzazione del campione di calcio francese Eric Cantona ed è così con quest’ultimo “ La parte degli angeli “ che ha ottenuto il Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes.

Scegliendo un cast perfetto e ben amalgamato, riprendendo le vite degli ultimi e scegliendo di nuovo la città di Glasgow, Loach ci racconta dei più sfortunati di quella città.  La prima scena è sui visi di tanti poveri cristi che sono processati per reati minori e che subiscono condanne, come hanno subìto la vita.   Il giovane Robbie è tra questi,  ma ha la fortuna di evitare il carcere perché il giudice spera nel suo recupero  giacchè la sua compagna   sta aspettando un figlio.  Viene condannato a 300 ore di lavori socialmente utili e messe sotto il controllo di Rhino, un bonario responsabile di giovani sfuggiti al carcere.   Quando sa che la donna di Robbie ha partorito lo accompagna in ospedale, ma appena giunti assiste impotente al pestaggio di Robbie da parte degli zii della ragazza che lo odiano.  Allora lo aiuta e lo ospita a casa e lì brindando con del whisky ( questa è il passaggio meno sviluppato o forse è il doppiaggio italiano )  e si scopre che il giovane ha una particolare sensibilità gustativa ( riesce a riconoscere il liquore, di cosa è fatto e  anche in che tipo di botte è invecchiato il distillato ).  Si continua a seguire Robbie con le sue disavventure, con gli zii che cercano ancora una volta di pestarlo a sangue, con l’impossibilità di trovare un lavoro, con la sua quasi resa al destino, e con la sua ragazza che lo minaccia che se si mette ancora nei guai lo lascerà.  E qui allora che Loach cambia registro, tono e passa dal dramma alla commedia.  Robbie comprende che deve fare qualcosa di netto perché la sua vita non finisca male e senza alcuna possibilità: con alcuni suoi compagni di rieducazione, uno più tenero dell’altro, uno più scemo dell’altro, ha l’idea di un ‘ colpo ‘ assai particolare che riguarda il Whisky, le aste milionarie del distillato e degli intenditori fanatici e ricchi.   Il finale è un happy end alla Charlot del xxi° secolo, ‘ quasi di spalle ‘, lungo la strada dell’avvenire.

Loach continua a definirsi un trotskista, ma la sua idea di socialismo è di stampo più individualista e umanitario che non sovversivo e collettivista.  La ricerca di un riscatto sociale e una ‘ liberazione ‘ dallo stato di proletario viene trovata in questo caso attraverso la nascita di un figlio e grazie ad un liquore che normalemente in un proletario provoca annebbiamento e perdita.  Comunque male non fa in questi tempi di totale confusione, di conformismo e di decadenza una storia di ‘ buon cuore ‘.  Una lotta di classe senza classe sociale  e con l’ottimismo della volontà che irrimediabilmente sconfigge il pessimismo della ragione.

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