Il nuovo, importante libro di Saviano esce in una collana di romanzi, anche se il “genere” è ancora quello, oggi troppo frequentato, della mescolanza tra romanzo e inchiesta giornalistica. Se una forma diversa di inchiesta è presente in questo libro essa è, più che quella sociologica, l’inchiesta giudiziaria, perché Saviano non può per ovvi motivi investigare liberamente, muovendosi come suo dirsi “sul campo”, ed è costretto a ricorrere ad altri strumenti, primo fra tutti le informazioni reperibili da atti processuali e quelle desumibili da materiali forniti da magistrati e poliziotti, fonti scritte o fonti orali, ampiamente citate nei ringraziamenti di rito.

E’ inoltre evidente la quantità di lavoro che questo libro è costato all’autore, portata avanti insieme ai suoi interventi giornalistici e televisivi che, se gli garantiscono il successo, si direbbe che abbiano però finito per condizionarlo non poco, ma non nella comprensione del fenomeno che ha studiato e di cui in Zero Zero Zero (Feltrinelli) offre le risultanze, ma nella comprensione della vita sociale e politica italiana di questi anni. Era uno scotto da pagare? C’è da dubitarne, e si può concluderne, con un po’ di amarezza, che anche Saviano si è lasciato irretire nella logica “scalfarista” in cui tanti prima di lui sono caduti e continuano a cadere senza che egli abbia creduto opportuno considerarne gli esiti – diciamo pure, a costo di scandalizzare gli adepti, che entrare nel giro di “la Repubblica” (a Nord nell’ancor più insulso strumento di sotto-potere che è il “Corriere”) è stato per quasi tutti i cooptati una sorta di  “patto col diavolo” che, se li ha resi personaggi noti e “importanti”, li ha anche fatti complici della superficialità dominante, e della tremenda decadenza nella capacità di pensare e di incidere degli intellettuali, incapaci da tempo di ragionare attivamente e sensatamente sull’Italia, di opporsi al degrado crescente del paese e in particolare – per “la Repubblica” come per i tanti giornaletti della cerchia romana – contribuendo invece che contrastando il suicidio della sinistra, consumato definitivamente con le ultime elezioni e i loro esiti governativi.
Quel che è accaduto non è certamente colpa di Saviano! Ma in quel che è accaduto, il modello Repubblica, il modello Corriere, il modello tv (Fazio compreso, e forse in testa come la più ambigua spiaggia di questo modello, che in tv si è fatto pura infamia) di cui Saviano si è fatto membro portano una responsabilità immensa, imperdonabile. E oggi non è un caso se la voce degli intellettuali italiani – tutti o quasi tutti ridotti al rango di meri giornalisti o accademici, e non si sa chi “ammirare” di più per ciò che fanno e rappresentano – conta niente, o conta solo nella logica, sempre gradita al potere, di conformatori di ciò che è, mai messo davvero in discussione e tanto meno nei fatti.
Ci si perdoni questa digressione – derivata da una constatazione che data ormai da qualche decennio sulla facilità con la quale tanti indubbi talenti giovanili si sono lasciati catturare dalle sirene suddette, castrandosi in qualche modo da soli nel mentre che diventavano alcuni “ricchi e famosi” ma certamente anche bolsi e retorici. Ovviamente questo riguarda solo in parte Saviano, anche perché Saviano ha scontato più di altri, e perché questo libro dimostra che, nonostante i suoi cedimenti, ha continuato a pensare, a cercare di capire e reagire, sia pure in una direzione quasi esclusiva, ed esclusivamente mediatica.
Il libro, dunque. Parla di droga, di presenza della droga nel mondo contemporaneo, e di una droga in particolare, la cocaina, della quale sembra che il mondo contemporaneo non riesca a fare a meno. Stimolante ed eccitante di indubbia efficacia, dicono, secondo Saviano ne fanno uso tantissimi, anche in mezzo a noi, anche da noi insospettabili. Tema del libro, inchiesta o romanzo che sia, o romanzo-con-basi-d’inchiesta, inchiesta-romanzata, è la cocaina, è il suo mercato, sono i suoi produttori e spacciatori e clienti, è la sua enorme importanza nell’economia di molti paesi e, di conseguenza, visto che si tratta di un prodotto e un traffico fuorilegge, la sua forza di ricatto proprio economico nei confronti di governi e purtroppo di intere popolazioni.
Certe parti del libro appaiono ridondanti e superflue (ci voleva un editing più duro e serrato, e il libro ne avrebbe certamente guadagnato), e pur se certe parti appaiono “gonfiate” con gli “effetti speciali” (qualche capitolo, in particolare quello sui narcos, concede a una sequenza di atroci messe a morte che fa pensare, per ossessività e morbosità, ai film di Dario Argento o a certi registi dell’horror statunitense più sensazionalista, sperimentatori di tarantinate) e altre, come i capitoli sulla cocaina “in persona”, secondo punti di vista vari e però concentrici. In altri affiora o si conferma, nel modo in cui il narratore presenta se stesso, un forte narcisismo e viene dichiarato un vittimismo a tratti fastidioso, autogiustificativo. Ma sono limiti che davamo in qualche modo per scontati, e che non inficiano la forza di questo lavoro, la cui natura ci ha ricordato tutto un filone narrativo (e di inchiesta) di stampo ottocentesco.
Tra Spengler e Darwin e tra London e Zola questo romanzo e/o inchiesta indaga di fatto la presenza del male, anzi il suo dominio, nel mondo contemporaneo, e ci fornisce un quadro allucinato e disperato di questa vittoria. Un paesaggio mondiale o quasi, una verifica che inquieta e sconcerta, e una scrittura lucida e nervosa benché ossessiva, con brani da antologia. In questo Zero ci si perde, e si rischia di perdere ogni speranza nel futuro.
Ma è proprio questo a dare forza e dignità al libro, a farne un’operazione provocatoriamente utile e necessaria. Pensiamo infatti al contesto in cui cade, in Italia: un lasciarsi vivere senza porsi le grandi domande che sarebbe indispensabile porsi oggi più che mai: il senso di una civiltà la cui potenza di morte è infinita, ma in cui ogni evidenza viene mistificata, nascosta o “truccata” da media (e intellettuali) che si rifiutano di guardare e da ceti interi, per esempio insegnanti e sacerdoti, che si lasciano guidare dai media e vedono solo quel che fa loro comodo vedere, da cittadini d’ogni ceto abituati o condizionati a vedere solo la minima cerchia dei loro privati interessi, privati da tempo di ogni super-io civile, comunitario. Trent’anni di Craxi e Berlusconi non sono passati invano, e la sinistra, sviluppista come non mai, non ha avuto nulla da opporre al loro trionfo. Ma i conti si pagano, alla fine, e le conseguenze si vedono. Il libro di Saviano è infine, nella sua barocca ossessione, nel suo vedere dovunque il trionfo del Male, più vicino, che so, ai film di Maresco che non alle ipocrisie dei Travaglio e degli altri candidissimi denunciatori di professione.
E’ un “libro del tempo”, che questo tempo – con i suoi guru e ciarlatani – riuscirà molto presto a esorcizzare.

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