Abbiamo visto “ Pastorale americana “ regia di Ewan McGregor.

Con Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning, David Strathairn, Uzo Aduba. Drammatico, durata 126 min. – USA 2016. – Eagle Pictures uscita giovedì 20 ottobre 2016.

Deve essere un po’ spericolato se non inconsapevole Ewan McGregor, forse anche un po’ ambizioso, per decidere di debuttare alla regia con un libro come Pastorale americana. Roba da far venire i brividi anche a un regista con esperienza e non privo di coraggio. Pastorale americana, è un romanzo che racconta un mondo ( e Roth può permetterselo ), quello della seconda metà del Novecento, e gli stravolgimenti ( i Kennedy, la Guerra del Vietnam, Le Pantere nere e la rivolta giovanile) si sviluppano attraverso gli occhi e l’esistenza di un uomo che cammina accanto alla Storia senza mai farsi trascinare e cercando di essere sempre nel giusto e di salvare il salvabile ( la sua azienda, la sua famiglia, un po’ meno se stesso ); insomma Roth ha scritto un magistrale affresco della storia americana attraverso un uomo della classe media inserendolo in quel filone ebraico-americano che ci ha descritto ripetutamente.   Il protagonista è un brav’uomo fatto di certezze e di buona volontà – si potrebbe definirlo un vincente senza ambizioni -, mentre intorno sta andando in frantumi il sogno americano, mentre una buona parte della nuova generazione quasi detesta quel falso sogno e la bandiera a stelle e strisce che spesso brucia nelle manifestazioni. Affrontare un romanzo del genere, con una prosa a volte che prende a dilungarsi su dettagli anche per varie pagine, quindi poco cinematografici, ma essenziali per creare un climax, richiedeva filmicamente di tradire il romanzo ( come quasi sempre si dovrebbe ), forse azzardando e creando uno scontro tra normalità ed epicità di un’epoca; invece McGregor ha tentato di essere fedele al libro e ha realizzato un film modesto, incredibilmente convenzionale e noioso in alcuni passaggi, sfiatando anche quell’ironia ebraica che tanto funziona con i Fratelli Coen al cinema e rendendo flebile e solo malinconico anche ciò che è effettivamente drammatico.

 

Lo scrittore Nathan Zuckerman ( David Strathairn – Coppa Volpi come miglior interprete in Good Night, and Good Luck ), decide per la prima volta di tornare al classico ritrovo di ex compagni di college. E qui incontra il suo migliore amico di un tempo Jerry Levov ( Rupert Evans, un trentenne che interpreta un sessantenne e quindi truccato da vecchio senza alcuna utilità ), viene a sapere che il fratello maggiore Seymour, mito scolastico per la loro generazione per essere stato un campione di baseball, basket e football, è appena morto e che il giorno dopo ci saranno i funerali. I due amici si siedono in disparte e l’amico racconta su richiesta dello scrittore le vicissitudini di Seymour, soprannominato lo svedese, per i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri ( Ewan McGregor, in buona forma ma non come in altre performance ). La sua vita era predestinata al successo, eroe della scuola, sposato con la bellissima Dawn ( Jennifer Connelly ) giunta in finale a Miss America e con una bella figlia però balbuziente. Ha vissuto sereno in una bella villa fuori città e ha diretto un guantificio di famiglia con un buon successo economico. La vita però si è spezzata quando la figlia è diventata adolescente e a sedici anni, frequentando tutti i sabati New York, ha conosciuto dei giovani ribelli, diventando anche lei una contestatrice per poi sparire nel nulla quando la polizia la sospetta di aver fatto un attentato. Lo svedese ma anche la moglie perdono qualsiasi certezza, lui si ostina a cercarla mentre lei si perde fino a finire in una clinica. Intanto il Paese si trasforma, i neri scendono in piazza, iniziano gli scontri e ci sono i primi attentati un po’ dappertutto. E quella vita semplice, di prosperità e di ipocrisia viene meno e la famiglia Levoy va in pezzi…

Tutto è sviluppato nel più classico ( e monotono ) dei plot, la costruzione narrativa impedisce allo spettatore qualsiasi sorpresa e purtroppo il personaggio di Seymour è talmente presente con i suoi sguardi nel vuoto e da uomo buono che non riesce a comprendere cosa succede intorno, che tutti gli altri scompaiono un po’; imbarazzante il personaggio della clandestina che lo ricatta e vuole venire a letto con lui mentre il finale è veramente qualcosa di malinconicamente banale.

 

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