Abbiamo visto Scialla regia di Francesco Bruni.
Bruni è uno dei più affermati sceneggiatori italiani, ha scritto e scrive per Calopresti, Virzì, è uno degli autori di Montalbano e recentemente ha scritto I Vicerè di Roberto Faenza. Adesso, come vari altri scrittori di cinema che hanno avuto dei riconoscimenti (da Enrico Oldoini a Franco Ferrini, da Enzo Monteleone a Franco Bernini), ha deciso di passare alla regia. E lo ha fatto con un film scritto in maniera sicura ma senza trovare vie originali o colpi d’autore, ma forse non era nemmeno nelle sue intenzioni.
Ha realizzato un film senza particolari pretese, non tentando di dire qualcosa di sostanzialmente diverso né di correre in parallelo con un regista come Virzì (anche se l’inizio del film, con questo ex professore di liceo un po’ in decadenza che gira in motorino ci fa pensare a come sarebbe potuto diventare il papà di Caterina va in città dopo una quindicina d’anni, forse stesso background, stesse frustrazioni culturali), ma a differenza dei film di Virzì qui c’è meno ironia meno coralità anche feroce, meno sguardo sociale e anche meno risate amare. Scialla più che fare un ritratto corale di una società si avvinghia sui due protagonisti, un giovanissimo e un anziano per scelta, perdendo di vista uno sguardo alla Risi del Sorpasso e ritraendo uno scenario romano con tono un po’ monocorde e dove lo sviluppo del film in realtà non c’è, pur tuttavia il film risulta scorrevole e qualche risata un po’ costruita e a volte forse prevedibile scappa (L’eroe Achille e il suo amico Patroclo definiti in classe dall’alunno ‘froci’ per dimostrare di aver studiato, ci sembra oltre che banalotta anche poco coerente con il personaggio del ragazzo ‘ignorante’ sì, ma ‘maturo’ e ‘consapevole’), come anche la romanità nel linguaggio si fossilizza su tre o quattro battute idiomatiche, rinunciando all’enorme potenzialità della lingua romana che Magni così sapientemente ci ha mostrato. In fondo, ad un film scorrevole, privo di fronzoli inessenziali ed anche decoroso (se pensiamo alla paccottiglia di film definiti da Commedia all’italiana che sono usciti negli ultimi due mesi), possiamo dire che avrebbe potuto osare un po’ di più ed anche servirsi della romanità genuina a disposizione di chi guarda con attenzione e affetto; ma forse Bruni è persona troppo seria e compassata e quindi ha realizzato una pellicola un po’ a cavallo tra Commedia leggera e un tentativo di Cinema d’autore senza decidersi fino in fondo a quale strada prendere.

I protagonisti di questo film sono due, Bruno Beltrame (Fabrizio Bentivoglio), un ultra cinquantenne solitario, indifferente al mondo, ex professore di Liceo e forse ex scrittore che vive dando presunte lezioni private (un personaggio che ricorda l’ultimo Salvatores) e scrivendo autobiografie di calciatori e pornostar. Il secondo protagonista è Luca (Filippo Scicchitano, al suo debutto), un quindicenne, anche lui sostanzialmente solo, malinconico e una frana a scuola. L’uno diventa il professore privato dell’altro, entrambi improbabili in quei ruoli, ma ecco che c’è il primo coup de théatre all’americana (scusate il connubio): si presenta la madre di Luca in un bar dove cena Bruno e in quattro battute gli dice che quello è suo figlio, che quindici anni prima hanno avuto una bellissima notte d’amore e che lei deve partire per l’Africa per un progetto di lavoro e glielo affida per almeno sei mesi, con la promessa che lui non gli riveli chi è Bruno non sembra avere dubbi e così Luca arriva in taxi e si piazza a casa sua. Naturalmente le loro vite dapprima marciano parallele, come due persone che condividono una casa, e mentre Luca trascorre la sua vita tra scuola, qualche raro amico suo subalterno, gli allenamenti nella palestra di pugilato e qualche maramaldata, Bruno continua a vivere libero e solitario e ogni tanto va da una pornostar per ricevere le confidenze erotiche passate per scrivere la sua biografia. Ma arriva l’incontro tra Bruno e la professoressa di Italiano del ragazzo, da quello che sente l’uomo entra in crisi genitoriale e obbliga il ragazzo a studiare e non con poche difficoltà; la tensione arriva al punto topico quando Luca esce una sera e Bruno vorrebbe impedirglielo, nello scontro l’uomo gli dice di essere suo padre, ma l ragazzo non sembra apparentemente risentirne: esce e va con degli amici e con un balordo criminale a casa di un vero criminale. Ed ecco il secondo coup de théatre all’americana: Luca si intrufola nella villa hollywoodiana del boss (un uomo innamorato di Calvino e Pasolini, che ha un gran rispetto della cultura e che con ragazze in costume da bagno e altri malavitosi si vede film come I 400 colpi di Truffaut) e senza farsi vedere ruba soldi e droga come manifestazione naturale del malessere represso per la scoperta del padre. E qui la storia s’impenna e sarà il padre quasi inconsapevolmente a salvare il figlio da vendetta certa…

In Scialla anche se nelle intenzioni non c’è un’idea moralista e una facile soluzione ai problemi, comunque emerge una semplice conclusione, che i ragazzi – anche se sembrano chiusi, poco comunicativi e privi di stimoli – hanno bisogno della figura del padre e della madre e che devono in qualche modo esserne dei modelli ‘vincenti’ anche non in modo convenzionale. Ecco a noi non sembra nulla di particolarmente efficace questo tipo di conclusione.
Da segnalare l’interpretazione dei due protagonisti, un sempre bravo e convincente Bentivoglio che interpreta un ruolo effettivamente originale e fuori dagli stereotipi italici, e Filippo Scicchitano, al suo esordio più che convincente.
Il film ha vinto il Premio Controcampo all’ultimo festival di Venezia, il Premio Vittorio Veneto Film Festival e altri premi.

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