In quell’eccellente film di Fernando Meirelles “The Constant Gardener”,un omicidio copriva una cospirazione da parte di una burocrazia corrotta e le sperequazioni su sperimentazioni illegali effettuate da una multinazionale farmaceutica per un proprio prodotto.
L’evocativo “Limitless” affascinava menti e fantasie con la seduzione dell’attività cerebrale portata al di là dei suoi naturali limiti da una droga tanto sottile quanto pericolosa.

Anche Soderbergh sembra un po’ Le Carrè,in “Effetti collaterali”,tagliente psycho-thriller dove il regista non si tira indietro davanti agli stessi stimoli provocatori di “Contagion”,fratello in viscere di questo studio sull’ambiguità dei territori dell’industria farmaceutica.
In un appartamento a New York viene commesso un crimine. Impronte insanguinate di piedi nudi attraversano il pavimento,muto palcoscenico del delitto.
Un flashback riporta il racconto a tre mesi prima,quando Martin (Channing Tatum) torna a casa da sua moglie Emily (Rooney Mara) dopo un periodo di galera per spionaggio industriale. Ma la riunione non è solare. Martin è coinvolto in faccende poco chiare e Emily è preda di un’ansia che non le concede tregua.

Di lì a poco,la donna è al volante della sua auto lanciata contro un muro. Al suo risveglio in ospedale,Emily viene presa in cura da dottor Jonathan Banks (Jude Law) che viene presto a sapere che in passato la donna era già stata assistita nelle sue crisi depressive da un’altra psichiatra,Victoria Siebert (Catherine Zeta-Jones). Le somministrazioni di farmaci che seguono imbastiscono la trama di un film complesso e fortemente provocatorio.

Soderbergh non si accontenta di confezionare un thriller sociale e in “Effetti collaterali” costruisce un sistema a matrioska dove ogni evento ne contiene un altro e la narrazione procede articolata in una serie infinita di svolte e tourniquet come in un vortice di accadimenti da rompicapo ad effetto. Ma nonostante il componimento a strati della sceneggiatura di Scott Z. Burns,autore di “Contagion” e “The Informant!”,il film fruisce della virtù di una fluidità fuori dal comune e del magnetismo di un lavoro privo di arzigogoli e riccioli decorativi,a beneficio di un ritmo in continuo crescendo.
Lo score di Thomas Newman copre il ruolo fondamentale di un’anima onnipresente,sempre lasciata in sospeso,con le note irrisolte di un’armonia che accompagna ovunque,adattandosi,le svolte di una storia,che scorre sciolta,aprendosi in un delta di sottrotrame fatte di psicoanalisi,nerbate sociali,derivate di accuse al lucro,denuncie al sistema farmaceutico e arringhe agli inviluppi sanitari.

“Effetti collaterali” è un cinema da guardare come un libro di Grisham,un compendio acre di possibilismo e cronaca fantastica,messa in piedi sulla realtà dei bisogni,le fragilità e le debolezze di una società che si agita fra necessità e mercato.
Il regista sa usare con disinvoltura i diversi linguaggi di un cinema critico e intransigente e interpola denuncia,crimine,sesso in un lavoro che porta la firma della sua regia di sempre,un thriller che è anche dramma con risvolti sociali.
Affascinante e posticcia oltre ogni probabilità,Catherine Zeta-Jones emana il fascino fasullo dei suoi occhiali giocattolo,da sexy poster. Al contrario,Jude Law,parco di mimica e generoso in spirito,gioca il ruolo pericoloso dell’equivoco,con il respiro disinvolto di un cinema noir d’altri tempi.
La Emily di Rooney Mara è agli antipodi di Lisbeth Salander,ma l’empatia e l’emotività della protagonista sanno far partecipare alle sue crisi d’ansia. Forse “Effetti collateriali” non solleva opinioni morali o esplorazioni etiche,ma di certo reagisce allo stato calmo del cinema di quiete che oggi avvolge il clima tiepido dello spettacolo e si fa pagina benvenuta per ogni spettatore di buona volontà.

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